Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. II, 5 gennaio 2001, n. 3031 (ud. 29 novembre 2000). Pres. Zingale - Est. Oddo - Ric. P.G. in proc. Panichella.

Amministratore del condominio - Attribuzioni - Reati in danno del condominio - Azione penale - Querela - Proponibilità da parte dell'amministratore - Autorizzazione dell'assemblea - Necessità.

In caso di reati in danno del condominio (nella fattispecie, sottrazione di cose comuni in relazione all'appropriazione di energia elettrica condominiale da parte di un condomino), in assenza di una unanime manifestazione di volontà dei condomini a che si proceda penalmente in ordine al fatto contestato all'imputato e di un corrispondente unanime specifico incarico conferito all'amministratore, deve escludersi la legittimazione del rappresentante del condominio alla presentazione della querela. (C.p.p., art. 177; c.p.p., art. 377) (1).

    (1) Ha, invece, riconosciuto all'amministratore condominiale un'autonoma legittimazione, quale rappresentante ordinario dell'ente, all'esercizio del diritto di querela, sub condicione dell'assenza di volontà contraria, manifestata dai condomni nel regolamento o nel corso di un'assemblea, Pret. pen. Salerno 16 settembre 1981, in questa Rivista 1981, 452. Decisamente favorevole alla massima in oggetto è l'orientamento, sebbene un po' datato, della Suprema Corte: in tal senso cfr. Cass. pen., sez. III, 9 giugno 1958, Arancio, in Giust. pen. 1959, II, 140 e Cass. pen., sez. I, 16 ottobre 1950, Silvestri, ivi 1951, II, c. 274, n. 303.

(Omissis). - Il Pretore di Campobasso, qualificato come delitto di sottrazione di cose comuni l'appropriazione di energia elettrica condominiale da parte del condomino Andrea Panichella, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato per l'insussistenza della legittimazione alla querela dell'amministratore del condominio.

La decisione, impugnata dal pubblico ministero, era confermata dalla Corte di appello di Campobasso ed avverso quest'ultima pronuncia proponeva ricorso per cassazione il procuratore generale, che denunciava con un unico motivo la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 177 e 337, terzo comma, c.p.p.

Dopo avere premesso che nessuna autorizzazione dell'assemblea condominiale è richiesta all'amministratore, allorquando egli derivi i suoi poteri direttamente dalla legge o dal regolamento di condominio, ha affermato che l'ordinaria attribuzione a quest'ultimo dell'attività di gestione delle cose comuni e di agire per la conservazione e la tutela di esse comporterebbe anche la legittimazione dello stesso a proporre querela per i reati in danno del condominio.

La denuncia è priva di fondamento.

Il condominio di edifici non è un soggetto giuridico dotato di una personalità distinta da quella dei suoi partecipanti (cfr.: Cass. civ., sez. II, sent. 29 agosto 1997, n. 8257; Cass. civ., sez. II, sent. 27 gennaio 1997, n. 826; Cass. civ., sez. II, sent. 12 marzo 1994, n. 2393), bensì uno strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini diretto all'amministrazione ed al buon uso delle cose comuni, che non è suscettibile, in quanto tale, di essere portatore di propri autonomi interessi direttamente protetti dall'ordinamento penale, la cui violazione, prescindendo dalle diverse formalità eventualmente imposte dalla natura di ordinaria o straordinaria dell'atto, possa consentire una legittimazione all'esercizio del diritto di querela dell'amministratore che lo rappresenta.

Un tale esercizio da parte del rappresentante del condominio non è ipotizzabile, inoltre, in relazione alla lesione degli interessi individuali, anche se collettivi, dei partecipanti, dal momento che l'amministratore esplica, come mandatario dei condomini, soltanto le funzioni esecutive, amministrative, di gestione e di tutela dei beni e servizi a lui attribuite dalla legge, dal regolamento di condominio o dall'assemblea, a norma degli artt. 1130 e 1131, primo comma, c.c., ed esclusivamente nell'ambito di queste ha la rappresentanza degli stessi e può agire in giudizio.

Non può, infatti, ricomprendersi la querela tra gli atti di gestione dei beni o di conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, anche se avente ad oggetto un fatto lesivo del patrimonio condominiale, costituendo la stessa un presupposto della validità del promovimento dell'azione penale e non un mezzo di cautela proessuale o sostanziale, ed il competere il relativo diritto in via strettamente personale alla persona offesa deal reato esclude anche che, in assenza dello speciale mandato, previsto dagli artt. 122 e 336 c.p.p., lo stesso possa essere esercitato da un soggetto diverso dal suo titolare.

Corretta, pertanto, appare la decisione del giudice che ha negato, in assenza di una unanime manifestazione di volontà dei condomini che si procedesse penalmente in ordine al fatto contestato all'imputato e di un corrispondente unanime specifico incarico conferito all'amministratore, l'esistenza della legittimazione del rappresentante del condomino alla presentazione della querela (cfr.: Cass. pen., sent. 16 ottobre 1950, ric. Silvestri).

All'infondatezza del motivo segue il rigetto del ricorso (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. II, 14 dicembre 2000, n. 13043 (ud. 7 novembre 2000). Pres. Morelli - Rel. Tardino - P.M. (conf) - Ric. Sala ed altro.

Estorsione - Elemento oggettivo - Minaccia - Estremi di configurabilità - Individuazione - Fattispecie in tema di locazione.

Per la configurabilità del reato di estorsione non basta l'esercizio di una generica pressione alla persuasione o la formulazione di proposte esose o ingiustificate, ma occorre che l'agente si avvalga di modalità coercitive tali da forzare la controparte a scelte in qualche modo obbligate, non essendole lasciata alcuna ragionevole alternativa fra il soggiacere alle altrui pretese o il subire, altrimenti, un pregiudizio diretto e Page 64 immediato. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C. ha escluso che potesse qualificarsi come tentativo di estorsione la condotta del conduttore di un immobile il quale, a fronte di una richiesta di anticipata risoluzione del contratto di locazione da parte del proprietario, subordinava il proprio consenso al versamento di una somma a titolo di «buona uscita»). (C.p., art. 629; c.p., art. 56) (1).

    (1) Sugli estremi della coartazione della volontà della vittima, rilevante ex art. 629 c.p., si vedano Cass. pen., sez. VI, 12 marzo 1999, Savian, in Riv. pen. 1999, 566; Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 1997, De Carlo, ivi 1997, 170; Cass. pen., sez. II, 21 gennaio 1996, Fierro, ivi 1996, 1011 e Cass. pen., sez. I, 14 aprile 1995, Mingacci, ivi 1996, 1498.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Contro la sentenza (10 febbraio 2000) della Corte d'appello di Milano che, in riforma di quella del Pretore di Pavia, appellata dal procuratore generale di quella stessa città, aveva dichiarato Sala Giovanni e Monelli Morena colpevoli di tentata estorsione, condannandoli alla pena di anni uno e mesi due di reclusione e lire 1.000.000 di multa ciascuno, proponeva ricorso per cassazione il difensore per violazione di legge e vizio di motivazione. Con un primo motivo deduceva la nullità della sentenza per errata applicazione degli artt. 629 e 51 c.p., osservando che i suoi assistiti avevano agito nell'esercizio di una facoltà legittima a norma dell'art. 51 c.p. - la pretesa di una legittima buonuscita per l'anticipato recesso dal contratto di locazione che aveva una durata quadriennale - che esclude l'antigiuridicità del fatto previsto dall'art. 629 c.p., in relazione al quale non sarebbe stato sussistente il requisito dell'ingiusto profitto. Con un secondo motivo, l'insussistenza del fatto reato per la ricorrenza di una circostanza scriminante putativa (esercizio di una facoltà legittima).

Con un terzo motivo, la più corretta qualificazione giuridica del fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, e la conseguente declaratoria d'improcedibilità per mancanza di querela, o di estinzione del reato per prescrizione. Con un quarto motivo, il difetto di motivazione per violazione dell'art. 185 c.p.

In tema di buonuscita, per l'anticipata risoluzione di un rapporto di locazione, la corte di merito ha ritenuto gli estremi costitutivi dell'estorsione tentata, argomentando come gl'imputati avessero fatto ricorso ad un molto persuasivo mezzo di pressione...; e come gli stessi, piuttosto che formulare una proposta contrattuale su un piano paritario in via transattiva, avessero fatto una richiesta economicamente ingiustificata quale unica alternativa al grave danno connesso al mancato rilascio dell'immobile. Il difensore degl'imputati, tra l'altro, eccepiva l'insussistenza di una minaccia estorsiva, anche perché la condotta dei suoi assistiti si sarebbe obiettivata nell'esercizio di una facoltà legittima ai sensi dell'art. 51 c.p.

Il ricorso è sostanzialmente fondato e va accolto, con il conseguente annullamento della sentenza impugnata. E invero, la materialità del delitto di estorsione di sostanzia, non già in una qualunque violenza o minaccia mirata al procacciamento di un ingiusto profitto con altrui danno, ma in violenza o minacce concretamente capaci di coartare la libera determinazione della volontà, costringendo un soggetto a fare o ad omettere qualcosa. Si vuole dire che la nota giuridicamente pregnante di questo delitto consiste nel mettere la persona violentata o minacciata in condizione di tale soggezione e dipendenza da non consentirle, senza un apprezzabile sacrificio della sua autonomia decisionale, alternative meno drastiche di quelle alle quali la stessa si considera costretta. Non già, pertanto, di una qualunque forma di generica pressione alla persuasione o di mere proposte esose o ingiustificate... deve parlarsi, ma di modalità coercitive che abbiano forzato la persona a scelte, in qualche modo, obbligate. In questo senso, anche lo strumentale uso di mezzi...

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