Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine351-394

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 20 febbraio 2001, n. 6951 (ud. 22 gennaio 2001). Pres. Valente - Est. Carmenini - P.M. Cedrangolo (conf.) - Ric. Ravanesi.

Appropriazione indebita - Appropriazione di cose avute per errore o per caso fortuito - Rapporto di specialità - Sussistenza - Configurabilità del secondo reato con riguardo all'appropriazione di denaro - Sussistenza.

Appropriazione indebita - Appropriazione di cose smarrite - Appropriazione di denaro a seguito di altrui errore - Trasferimento della proprietà del bene - Esclusione - Configurabilità del reato di cui all'art. 647 c.p. - Sussistenza - Fattispecie.

Il reato di appropriazione di «cose» avute per errore o per caso fortuito (art. 647, comma 1, n. 3, c.p.) è configurabile anche con riguardo all'appropriazione di denaro conformemente a quanto previsto dall'art. 646 c.p., rispetto al quale la norma in esame si pone in rapporto di specialità, a nulla rilevando che l'appropriazione del denaro sia invece espressamente prevista nel n. 1 del medesimo art. 647 c.p. (Mass. redaz.). (C.p., art. 647; c.p., art. 646) (1).

L'appropriazione di denaro a seguito di altrui errore non determina un trasferimento della proprietà del bene tale da escludere la sussistenza del reato. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che ricorresse la fattispecie di cui all'art. 647, comma 1, n. 3 e comma 2, nel caso di società che, in persona del suo amministratore, approfittando di un errore costituito dalla duplice corresponsione, mediante bonifico bancario, di una somma dovuta alla suddetta società da una impresa assicuratrice, si era impossessata ed aveva utilizzato il denaro acquisito sine titulo). (Mass. redaz.). (C.p., art. 647) (2).

    (1) L'interpretazione fornita dalla sentenza in epigrafe, secondo cui l'art. 647 c.p. costituirebbe una norma speciale rispetto al precedente art. 646, risulta essere avallata anche dalla migliore dottrina. In tal senso, v. TULLIO PADOVANI, Il codice penale, Ed. Giuffrè, Milano 2000, p. 647.


    (2) Non risultano editi precedenti specifici sul punto.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - La Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza del 13 marzo 1999, con la quale il Pretore di Ascoli Picenosezione distaccata di S. Benedetto del Tronto condannava alla pena come in atti, con il beneficio della sospensione condizionale, Tommaso Ravanesi per il reato previsto dall'art. 647, comma 1 n. 3 e comma 2, c.p.

Ricorrono per cassazione con due distinti atti, sia l'imputato in proprio, sia il suo difensore.

Per una ordinata disamina delle varie questioni dedotte è opportuno riassumere brevemente il fatto e far seguire, analiticamente, i motivi di ricorso e le relative soluzioni.

Il 15 giugno 1992 la soc. Centro Servizi Sociali Srl, corrente in Porto d'Ascoli, assicurata con polizza della Milano Assicurazioni, subiva un violento incendio con danni valutati da una terna arbitrale in lire 947.500.000.

Nell'aprile 1993 la Società Milano emetteva atto di quietanza e disponeva un mandato di pagamento in favore della ditta assicurata, per l'importo convenuto, a mezzo ordine di bonifico sull'Istituto Bancario S. Paolo di Torino, sede di Milano.

Successivamente, per mero errore, la stessa Assicuratrice emetteva un secondo ordine di bonifico, al quale la stessa banca dava corso, effettuando quindi un doppio pagamento per un'unica causale.

I giudici di merito hanno accertato che: 1) la società assicurata, benché fosse del tutto cosciente di avere acquisito la seconda somma sine titulo e sine causa, ne disponeva, appropriandosene; 2) la stessa società veniva posta in liquidazione e la stessa compagine dava vita ad altra società di capitali con diversa ragione sociale, al fine di scoraggiare eventuali azioni risarcitorie; 3) le persone che avevano disposto delle somme, fino a tutto il 29 ottobre 1993, erano Amadio Giovanni e Ravanesi Tommaso.

Hanno, quindi, giudicato i due individui per «il reato di cui agli artt. 110 e 647, comma 1 n. 3 e comma 2, 61 n. 7, c.p., perché, in concorso tra loro, si appropriavano la somma di lire 947.500.000, di proprietà della soc. Milano Assicurazioni, della quale erano venuti in possesso per essere stata accreditata, per errore della Assicuratrice, a mezzo di bonifico bancario, su un conto corrente della Srl Centro Servizi Sociali, della quale erano amministratori, commettendo il fatto con la conoscenza del proprietario del denaro e cagionando alla parte lesa un danno patrimoniale rilevante».

Dopo il sequestro conservativo dei beni degli imputati, autorizzato dal Gip, l'Amodio patteggiava la pena, mentre la posizione del Ravanesi veniva stralciata e perveniva all'odierno grado di giudizio.

Questi i fatti, occorre ora esaminare partitamente i motivi, riuniti, dei due ricorsi.

Primo motivo. - Viene eccepita «la inammissibilità della querela» per violazione dell'art. 337, comma 3, c.p.p., nell'assunto che l'atto di querela non conterrebbe, da parte della persona fisica che l'ha sottoscritto, l'indicazione specifica della fonte dei poteri di rappresentanza della persona giuridica società Milano, a nulla valendo che tale indicazione sarebbe contenuta nella successiva autentica notarile.

L'eccezione è infondata.

Questa Corte ha più volte affermato che non occorrono formule sacramentali ai sensi dell'art. 337, comma 3, c.p.p., quando venga proposta querela per conto di una persona giuridica; che, per altro, la detta norma non commina alcuna nullità al riguardo, in virtù del principio di tassatività delle cause di nullità affermato dall'art. 177 c.p.p. (v. Cass., sez. VI, sent. 7845/99, Fiasco, rv. 214735), potendosi solo porre questione di accertare l'esistenza del potere di rappresentanza. Nel caso di specie il querelante, dott. Giorgio Introvigne, indica specificamente la qualifica attributrice del potere (direttore generale) ed in calce all'atto v'è la completa, e non contestata, ricognizione notarile della fonte del potere di rappresentanza in una con l'autenticazione dellaPage 352 firma: sì che può ritenersi la dichiarazione di querela, intesa nella sua interezza, completa dei riferimenti richiesti.

Secondo motivo. - Viene eccepita la tardività della querela.

Anche questo motivo è infondato.

Il giudice di merito ha correttamente applicato il consolidato principio giurisprudenziale, secondo cui il dies a quo per il computo del termine utile per la presentazione della querela, decorre non già dal giorno di commissione del fatto, ma da quando la vittima ha avuto piena cognizione di tutti gli elementi costitutivi del reato.

Il resto è mero accertamento in fatto, condotto con criteri logici e coerenti, in quanto, pur nella notevole distanza di tempo dal fatto, la corte di appello ha dato giustificato rilievo alle dichiarazioni dei testimoni, confermate dagli accertamenti del sottufficiale dei carabinieri che svolse le indagini.

Terzo motivo. - Si sostiene la nullità dell'ordinanza di revoca dell'ammissione, quale testimone, del querelante, introdotto dal P.M. e, successivamente, dallo stesso rinunciato.

Al riguardo il giudice di merito ha motivatamente esercitato, sulla base delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, il suo potere di revocare l'ammissione di prove ritenute superflue (art. 495, comma 4, c.p.p.).

Premesso che il teste Introvigne fu indicato solo dal P.M. e tuttavia l'imputato era abilitato al controesame, va ribadito che il diritto delle parti all'ammissione delle prove deve essere coordinato con il ricordato potere del giudice di condurre un'istruttoria dibattimentale completa, ma non ridondante. Tale potere, esercitato al termine dell'istruttoria dibattimentale è più incisivo e concreto rispetto a quello iniziale previsto dagli artt. 190 e 468 c.p.p. (per i quali occorre che la sovrabbondanza, superfluità o irrilevanza siano manifeste), in quanto basato su una completa visione delle acquisizioni probatorie («può revocare l'ammissione di prove che risultano superflue», art. 495, comma 4); con la conseguenza che la censura di revoca di una prova ritenuta decisiva si risolve nella verifica motivazionale di logicità e congruenza in rapporto al complesso delle prove raccolto e valutato.

Nel caso di specie, la motivazione regge alle critiche del ricorrente, atteso che il pretore, con l'ordinanza del 9 luglio 1998 ha vagliato tutti gli elementi utili ad avere un quadro completo dei fatti, testualmente ritenendo: «che il teste Introvigne... può considerarsi mero sottoscrittore dell'atto di querela in funzione delle funzioni di amministratore delegato della Milano Assicurazioni... che tra l'altro compiutamente è stata istruita la prova orale e documentale in ordine all'organigramma della Milano Assicurazioni, ovvero ai rapporti intercorrenti fra la stessa e la ditta per cui è processo...»; ritenendo, in definitiva, che nessun apporto di ulteriore conoscenza poteva provenire da quel teste.

A sua volta la Corte territoriale ha motivatamente escluso di poter ricorrere alla rinnovazione del dibattimento, che è istituto di carattere eccezionale a cui il giudice di appello è facultato (non obbligato) a ricorrere, quando non sia in grado di decidere allo stato degli atti.

Poiché nella specie, pertanto, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di consolidati principi, con motivazioni esenti da vizi logico-giuridici, anche questo motivo di ricorso deve essere disatteso.

Quarto motivo. - Questo è il motivo che attiene al diritto sostanziale e che è stato così, icasticamente, espresso: «La condanna impugnata si risolve in null'altro se non in tragico errore giuridico per essere stato il Ravanesi condannato per un reato inconfigurabile, in quanto dal nostro codice non previsto».

Il lungo ed articolato motivo poggia su tre cardini argomentativi: 1) nel caso di specie si è in presenza di denaro, mentre la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 647, comma 1 n. 3, c.p. riguarda unicamente «cose»; 2) non si è mai realizzato un possesso suscettivo di interversione, in quanto...

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