Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine891-943

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 18 settembre 2001, n. 33850 (ud. 28 giugno 2001). Pres. Malinconico - Est. Teresi - P.M. Abate (conf.) - Ric. P.M. in proc. Martinez ed altre.

Prostituzione - Favoreggiamento - Nozione - Configurabilità - Fattispecie in tema di associazione di prostitute che prescinde dal rapporto di terzietà dell'agente - Sussistenza.

Per la sussistenza del reato di favoreggiamento della prostituzione non è necessario che il soggetto che favorisce la prostituzione rivesta una posizione di supremazia gerarchica ed organizzativa del gruppo, bastando qualunque condotta materialmente agevolatrice anche nell'ambito di un'associazione di prostitute che prescinde dal rapporto di terzietà dell'agente. (Mass. redaz.). (L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3) (1).

    (1) Non si rinvengono editi precedenti che affrontino l'esatta fattispecie. Sostanzialmente nel medesimo senso, v. Cass. pen., sez. III, 13 aprile 1996, Roero, in questa Rivista 1996, 1400.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza emessa ex art. 425 c.p.p. in data 20 settembre 2000 il Tribunale di Macerata proscioglieva perché il fatto non costituisce reato Martinez Luz Elena, Parades Evelyn e Preciado Vasquez Famy, imputate perché, in concorso tra loro, gestivano una casa di prostituzione e favorivano la prostituzione le une delle altre e tutte quella di Durango Arias Millard.

Riteneva il giudice che le imputate esercitassero in comune la prostituzione, con la locazione di un appartamento, con la suddivisione delle spese, con la ricerca per tutte della clientela, ottenendo in tal modo più sicurezza e mutua assistenza.

La mancanza di un soggetto esterno al gruppo che favorisse la prostituzione e che, comunque, assumesse supremazia gerarchica e organizzativa escludevano la configurabilità del reato che presuppone, come emerge dal dato testuale di cui all'art. 38/1958, un rapporto di alterità tra l'agente e il soggetto che si prostituisce.

Proponeva ricorso per cassazione il P.M. denunciando violazione di legge in ordine all'esclusione della configurabilità del reato per cui non è richiesto che il soggetto che favorisca la prostituzione debba necessariamente rivestire una posizione di supremazia gerarchica ed organizzativa sul gruppo bastando, invece, qualunque condotta materialmente agevolatrice anche nell'ambito di un'associazione di prostitute che prescinde dal rapporto di terzietà dell'agente.

In tal caso, la sussistenza di un rapporto di vita comune tra prostitute non esclude, ove venga compiuto in tale ambito un fatto agevolativo, il favoreggiamento.

Chiedeva l'annullamento dell'ordinanza.

Il ricorso, che non investe il reato di gestione di una casa di appuntamento né l'imputazione di favoreggiamento della prostituzione di Durango Arias Millard sulla quale, peraltro, il Gip non ha motivato, è fondato.

Puntualizzato che il reato di favoreggiamento della prostituzione è ravvisabile in qualsiasi condotta che effettivamente agevoli la prostituzione (Cass., sez. terza, 3588/96, Roero) e che, per integrarlo, non è necessaria un'attività continuativa perché la norma incriminatrice non postula tale attività né una reiterazione della condotta tipica perché il legislatore ha inteso punire il favoreggiamento in qualsiasi modo attuato, indipendentemente da un rapporto di gerarchia, di supremazia od organizzativo tra agente e vittima, va rilevato che la sentenza non ha applicato i richiamati principi secondo cui, ove si riscontri un fatto agevolativo, non può disconoscersi la configurabilità del reato di favoreggiamento anche se si è in presenza di un rapporto di convivenza tra prostitute, da qualsiasi motivazione occasionato.

S'impone, pertanto, l'annullamento della sentenza per nuovo esame in ordine al reato ipotizzato per l'accertamento, alla stregua di concreti e specifici dati fattuali e con riferimento a ciascuna delle imputate, della configurabilità o non del reato in danno delle altre. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 11 settembre 2001, n. 33543 (ud. 11 luglio 2001). Pres. Vessia - Est. Canzio - P.M. Leo (diff.) - Ric. P.G. c. Brembati.

Indagini preliminari - Attività del P.M. - Interrogatorio dell'indagato - Interruzione della prescrizione del reato - Idoneità - Esclusione.

Non costituisce atto idoneo ad interrompere la prescrizione del reato l'interrogatorio effettuato dalla polizia giudiziaria all'uopo delegata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 370 c.p.p. (Mass. redaz.). (C.p., art. 160; c.p.p., art. 370) (1).

    (1) Con questa importante sentenza le SS.UU. risolvono un contrasto giurisprudenziale sorto nell'ambito di questa Corte sulla questione dell'idoneità o meno ad interrompere la prescrizione del reato dell'interrogatorio dell'indagato effettuato dalla P.G., delegata dal P.M. Nel senso dell'idoneità all'interruzione della prescrizione, si sono espresse: Cass. pen., sez. V, 2 marzo 2001, P.G. in proc. Leidi, in Arch. nuova proc. pen. 2001, 301 e Cass. pen., sez. V, 23 ottobre 1999, Assetta, in questa Rivista 2000, 35; Cass. pen., sez. VI, 24 febbraio 1999, P.M. in proc. Dogali, ivi 1999, 567. In senso conforme alla massima de qua, v. Cass. pen., sez. II, 6 febbraio 2001, Bertelli, ivi 2001, 248 e Cass. pen., sez. V, 27 giugno 2000, n. 7531, ivi 2000, 899.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Il giudice del Tribunale di Bergamo, sezione distaccata di Grumello del Monte, con sentenza del 30 novembre 1999 dichiarava non doversi procedere nei confronti di Brembati Camillo, imputato del delitto di truffa commesso nel marzo 1994, per essere il reato estinto per prescrizione, rilevando che il primo atto interruttivo, rappresentato dal decreto di citazione, era intervenuto il 14 maggio 1999, dopo il compi-Page 892mento del termine quinquennale di prescrizione, e che non poteva considerarsi tale l'interrogatorio dell'imputato reso il 18 novembre 1994 innanzi alla polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero: tale atto non era annoverato tra quelli indicati nell'art. 160 comma 2 c.p., né poteva ritenersi equipollente all'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero in considerazione dell'espresso divieto di analogia in materia penale.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso immediato per cassazione il procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Brescia deducendo la violazione dell'art. 160 c.p., perché l'interrogatorio dell'indagato «non cambia natura e funzione» laddove, anziché da parte del pubblico ministero, venga effettuato, su delega e con gli stessi poteri di questi, dalla polizia giudiziaria, dispiegando anche tale atto piena potenzialità interruttiva della prescrizione. Ad avviso del ricorrente P.G., allo «imperfetto coordinamento rispetto al sistema» può porsi rimedio per via di una «interpretazione adeguatrice» della norma sostanziale che, muovendo dalla constatazione della mancanza di tratti differenziali tra l'interrogatorio espletato dallo stesso magistrato e quello espletato dalla polizia giudiziaria su delega del primo, consenta di attribuire anche all'atto delegato la funzione di interrompere il termine di prescrizione.

Il ricorso, assegnato alla seconda sezione penale della Corte di cassazione, è stato rimesso da quest'ultima alle sezioni unite con ordinanza del 6 marzo 2001, sul rilievo dell'esistenza di un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione relativa all'idoneità dell'interrogatorio effettuato dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero ad interrompere il corso della prescrizione del reato, pur affermandosi esplicitamente nella medesima ordinanza di condividere la tesi dell'efficacia interruttiva dell'atto delegato.

Il primo presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle sezioni unite penali fissando per la trattazione l'odierna udienza pubblica.

  1. - La questione controversa sottoposta all'esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se l'interrogatorio dell'indagato effettuato dalla polizia giudiziaria, delegata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 370 primo comma c.p.p., sia atto idoneo ad interrompere il corso della prescrizione.

    Sul tema si contrappongono due indirizzi interpretativi nella giurisprudenza di legittimità.

    Da un lato, si sostiene che l'interrogatorio dell'indagato compiuto dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero è atto idoneo ad interrompere il corso della prescrizione del reato, poiché, pur dandosi atto di un imperfetto coordinamento della norma di cui all'art. 160 comma 2, c.p. con la modifica dell'art. 370 primo comma c.p.p. ad opera dell'art. 5 terzo comma D.L. n. 306/92 conv. in legge n. 356/92, che ha fatto venire meno l'iniziale divieto di delega dell'interrogatorio, si ravvisa la mancanza di tratti differenziali nella natura e nelle funzioni dell'atto: esso ha sempre origine nella determinazione del P.M. di contestare l'accusa nei confronti dell'indagato, così manifestando il persistente interesse punitivo dello Stato. Di talché, è possibile un'interpretazione non analogica ma adeguatrice della norma rispetto al sistema, conforme al dettato costituzionale che ragionevolmente impone un'uguale disciplina di situazioni identiche (Cass., sez. VI, 12 gennaio 1999, P.M. in proc. Dogali, rv. 212796; sez. V, 6 febbraio 2001, P.G. in proc. Leidi).

    Si afferma, in senso contrario, che l'elencazione degli atti del procedimento facenti capo agli organi dell'autorità giudiziaria cui è riconnesso l'effetto interruttivo della prescrizione, contenuta nell'art. 160 comma 2 c.p., deve considerarsi tassativa e che non è consentita in materia di diritto penale sostanziale l'interpretazione analogica in malam partem. L'opposta tesi dell'interpretazione adeguatrice, lungi dall'essere giustificata dalla necessità di assicurare uguale disciplina a situazioni identiche, condurrebbe ad un'illegittima forzatura della norma rispetto alla differente volontà del legislatore, espressa attraverso il...

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