Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. III, 2 aprile 2001, n. 4783. Pres. Favara - Est. Petti - P.M. Fedeli (conf.) - Loiarro ed altri c. Assitalia spa.

Risarcimento del danno - Danno biologico - Risarcibilità - Morte immediata causata dall'altrui illecito - Trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento - Esclusione - Spatium vivendi tra fatto illecito e morte - Risarcibilità a favore degli eredi - Sussistenza.

La morte di un soggetto, causata in modo immediato dall'altrui atto illecito, non fa acquistare al defunto - quindi non fa trasmettere agli eredi - né il diritto al risarcimento del danno biologico né quello al risarcimento del danno per perdita della vita. Nel caso, invece, che tra il fatto illecito e la morte sussista uno spatium vivendi, indipendentemente dalla durata dello stesso, il giudice deve motivare sulla rilevanza e l'incidenza del fatto «durata» in ordine alla valutazione dell'esistenza (an) e della consistenza (quantum) del danno e se detta valutazione è positiva deve riconoscersi la trasmissibilità del danno biologico jure hereditatis. (C.c., art. 2059) (1).

    (1) Nel senso che l'immediatezza della morte in conseguenza dell'altrui atto illecito non determina la trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno biologico, v. Cass. civ. 14 febbraio 2000, n. 1633, in Arch. civ. 2000, 1415; Cass. civ. 29 novembre 1999, n. 13336, ivi 2000, 1047 e Cass. civ. 17 novembre 1999, n. 12756, in questa Rivista 2000, 848, con nota di V. TONINELLI, La più recente giurisprudenza della Corte di cassazione tende a restringere l'area del danno risarcibile. La citata sentenza Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372, trovasi pubblicata ivi 1995, 145, con ampia nota di riferimenti dottrinari e giurisprudenziali alla quale si rimanda.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Il 1° marzo 1990, in località Grifalco, l'autovettura Fiat 127 sport, di proprietà di Stranieri Pietro, condotta dal medesimo collideva con il motociclo Piaggio Vespa condotto da Cristofaro Roberto, che decedeva quattro ore dopo il verificarsi del sinistro.

Con citazione (del 30 marzo e 3 aprile 1991) gli aventi causa del defunto, e cioè la madre Loiarro Barbara, in proprio e quale esercente la potestà sulla minore Cristofaro Rossella, ed i germani Cristofaro Stefania, Antonella, Domenico, Marisa, Angela Rosa e Giuseppe, convenivano in giudizio il conducente danneggiante e l'assicurazione Assitalia e ne chiedevano la condanna al pagamento dei danni patrimoniali e morali conseguenti al decesso, quantificati come in citazione.

Restava contumace il conducente e si costituiva l'Assitalia contestando il fondamento della domanda.

Istruita la causa il Tribunale di Catanzaro, accertava la pari responsabilità dei conducenti in ordine alla produzione del sinistro ai sensi dell'articolo 2054 secondo comma del codice civile; negava il danno morale richiesto avendo ritenuto la colpa cosiddetta presunta, e liquidava a titolo di danno biologico, iure hereditario, la somma di lire 70 milioni di lire ai valori attuali, oltre interessi legali dalla data del fatto al soddisfo e poneva le spese di lite a carico dei convenuti.

La decisione era impugnata con appello principale dell'assicurazione, sul punto della trasmissibilità iure hereditario del danno biologico; con appello incidentale dai danneggiati sul punto della responsabilità e sulle voci di danno, analiticamente indicate, per un totale globale di 150 milioni.

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 18 luglio 1997 così decideva:

- in riforma della appellata sentenza, riconosciuta la totale responsabilità di Stranieri Pietro in ordine al sinistro per cui è causa, accoglie per quanto di ragione l'appello principale e l'appello incidentale e per l'effetto:

- liquida l'ammontare del danno morale, in favore di Loiarro Barbara, in 40 milioni di lire ed in favore dei congiunti (v. amplius in dispositivo) in 5 milioni di lire per ciascuno di essi.

Rigetta la domanda di liquidazione del danno biologico; conferma nel resto e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di appello.

Contro la decisione ricorrono i danneggiati deducendo quattro motivi di gravame; resiste l'assicurazione con controricorso e ricorso incidentale sul punto dell'attribuzione della responsabilità esclusiva al danneggiante.

I ricorsi sono stati previamente riuniti ex articolo 335 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Precede l'esame del ricorso incidentale con il quale la Assitalia deduce la violazione dell'articolo 2043 c.c. in relazione alla attribuzione delle responsabilità dell'incidente, ed il vizio della motivazione, ritenuta illogica e contraddittoria sul punto.

Il ricorso incidentale è infondato; ed in vero esso si sostanzia in censure in fatto (le contraddizioni del teste Morlino o la ricostruzione della dinamica disattendendo la ricostruzione proposta dai carabinieri) che attengono al prudente e critico apprezzamento delle prove, compiuto dai giudici del riesame, valorizzando la relazione sulla dinamica dell'incidente, svolta dall'ingegner Savarese, ma tenendo conto delle altre prove e dei dati oggettivi. In tale contesto la critica dei rilievi del codice civile e la rilevanza della deposizione del teste, appaiono secondarie, ed attengono ad una selezione critica del materiale probatorio che conduce ad una valutazione in fatto non sindacabile in questa sede.

È fondato, per quanto di ragione, il ricorso agli aventi causa della vittima primaria, deceduta a seguito di lesioni mortali.

Cristofaro Roberto aveva 18 anni al tempo dell'incidente, e decedeva circa quattro ore dopo l'incidente occorsogli, lasciando la madre e ben otto tra fratelli e sorelle.

Nel primo motivo di ricorso si deduce l'error iuris sotto un duplice profilo: da un lato si assume che la lesione mortale è a sua volta la causa dans della lesione al bene della vita, che è costituzionalmente protetto (articolo 2 Costituzione) e che è più vasto del bene della salute.

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Dunque non vi è ragione per non considerare trasmesso iure hereditatis il diritto di credito risarcitorio immediatamente acquisito per effetto della lesione.

D'altro lato (secondo profilo) si deduce che comunque la morte intervenne oltre quattro ore dopo il fatto, e che nessuna motivazione è stata data circa la rilevanza di questo intervallo in relazione alla lesione gravissima della salute.

Il primo profilo è infondato. Infatti è assolutamente consolidato il principio che distingue - tra la lesione del bene della vita (sanzionato penalmente e civilmente con la configurazione di un danno morale) e il bene della salute, trasmissibile agli eredi del defunto, nel caso in cui la morte sia sopravvenuta alla lesione dopo apprezzabile intervallo (cfr. Cass. 197 n. 1704; 12756/99; 13336/99; 1633/00, tra le tante).

Questa Corte conosce tuttavia la dottrina che propone una tesi di tutela più estesa, proprio per la discrasia che si crea tra la morte immediata e lesioni mortali, con conseguente disparità di trattamento per i superstiti.

È una discrasia che è superata da norme internazionali ed europee (ad esempio in tema di risarcimento ai superstiti di disastri aerei) o da progetti di convenzioni europee (v. Consiglio d'Europa deliberazione 75/7 in tema di risarcimento del danno alla persona), ma che non costituisce lacuna o discriminazione costituzionalmente rilevante per il nostro ordinamento interno, posto che comunque il legislatore appresta mezzi di tutela, giurisdizionalmente azionabili (in sede penale e civile).

De iure condendo è dunque auspicabile una riforma che possa allineare il sistema italiano a quello internazionale o di diritto comune (ma ancora in fieri).

Il secondo profilo è fondato. Ed in vero, il riferimento alle numerose sentenze appena citate, conferma l'esigenza di una attenta motivazione del breve lasso di tempo tra la lesione e la morte, ai fini della trasmissibilità del diritto di credito.

Questa Corte ritiene che la motivazione debba essere accurata e circostanziata: ed in vero, posto che le lesioni mortali, conducono, secondo la esperienza medico legale e psichiatrica, alla presenza di un danno «catastrofico», per intensità, a carico della psiche del soggetto che attende lucidamente l'estinzione della propria vita (danno considerato dalla psichiatria nordamericana nella scala Dsm III degli eventi psicosociali stressanti, di sesto livello, che è quello più elevato) essenzialmente come «sofferenza» esistenziale e non già come dolore, occorre riflettere (come del resto, metodologicamente, propone la stessa Consulta, quando considera il danno psichico riflesso delle vittime secondarie come danno psichico riconducibile sotto l'articolo 2059 c.c.: v. Corte costituzionale sentenza 372/94 e successiva ordinanza 293/96) sulla diversa natura del danno fisico, del soma e delle funzioni vitali, dove l'apprezzamento della durata attiene alla stessa esistenza del danno (come quantum apprezzabile) e del danno psichico, pur esso prodotto da lesioni mortali, come danno catastrofico, la cui intensità può essere apprezzata dalla vittima, pur nel breve intervallo delle residue speranze di vita. Nel danno psichico non è solo il fatto durata a determinare la patologia, ma è la stessa intensità della sofferenza e della disperazione.

Se è esatto dire, con il legislatore riformatore (v. attualmente l'articolo 13 del D.L.vo 23 febbraio 2000, per la riforma Inail, che si occupa del danno biologico previdenziale del lavoratore) e con il diritto vivente (convalidato dalle decisioni della Consulta) che il danno biologico è la lesione della integrità fisica e psichica medicalmente accertabile, allora è alla scienza medica che occorre affidarsi per la determinazione dei casi clinici, delle malattie e degli esiti invalidanti sia per il danno fisico (dove è il soma ad essere materialmente considerato) sia per il danno psichico (che considera la mente umana, sia neurologicamente, sia clinicamente, sia nelle sue funzioni esistenziali essenziali).

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