Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. I, 27 settembre 2001, n. 35234 (ud. 19 aprile 2001). Pres. Sossi - Est. Bardovagni - P.M. Favalli (diff.) - Ric. Barbagallo ed altra.

Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone - Strepito di animali - Configurabilità - Potenziale disturbo ad una pluralità di soggetti - Eccedenza rispetto ai limiti della normale tollerabilità - Necessità.

L'art. 659 c.p. nel sanzionare la condotta di chi suscita o non impedisce strepiti di animali, presuppone che lo «strepito» venga realizzato proprio per mezzo delle manifestazioni sonore tipiche e connaturali all'animale, che assumono connotazione di illiceità quando eccedono i limiti della normale tollerabilità e realizzano potenziale offesa alla quiete di una collettività indifferenziata di persone. (Fattispecie relativa a latrati di cani in ambito condominiale). (C.p., art. 659) (1).

    (1) In argomento v. la giurisprudenza, pacifica sul punto, espressa da Cass. pen., sez. I, 4 febbraio 2000, Bedogni, in Riv. pen. 2000, 464; Cass. pen., sez. I, 28 marzo 1997, Sevarin, ivi 1998, 371 con nota di L. FAVINO e in questa Rivista 1998, 416 e Cass. pen., sez. I, 10 febbraio 1994, Villa, in Riv. pen. 1994, 1260.

FATTO. - Con la sentenza in epigrafe Barbagallo Alfio e Morra Luisa, opponenti a decreto penale, venivano condannati a lire 400.000 di ammenda ciascuno per contravvenzione all'art. 659 c.p., non avendo impedito il molesto abbaiare, anche in ore notturne, di due cani di loro proprietà, custoditi nel cortile di un edificio condominiale. L'affermazione di responsabilità è fondata sulla valutazione di deposizioni testimoniali e sull'esito dell'interrogatorio della Morra.

La difesa ha proposto ricorso per cassazione, denunciando con un primo motivo l'omessa assunzione di prove decisive, in quanto il giudice di merito, accolte le istanze probatorie delle parti, aveva sentito i testi a carico ed uno soltanto dei due indicati a discarico, procedendo all'esame di un solo imputato, e non di entrambi; aveva quindi invitato le parti a concludere. Con altro motivo si denuncia erronea applicazione della norma incriminatrice, che punisce chi non impedisce «strepiti» di animali, e non già il normale abbaiare dei cani, comportamento inesigibile; sotto altro profilo, l'avere a tale titolo riconosciuto la responsabilità comporterebbe immutazione del fatto contestato; infine, sarebbe comunque carente la coscienza della potenzialità disturbatrice dell'usuale verso dell'animale.

Osserva in

DIRITTO. - La questione sollevata in rito è infondata. Come questa Corte ha ripetutamente rilevato (cfr., per tutte, Cass., sez. V, 9 novembre 1998 - 12 febbraio 1999, Storni) il controllo di legittimità - quando venga denunciata ex art. 606, comma 1, lett. c) c.p.p. la mancata assunzione di prova decisiva - riguarda sia la manifestazione del convincimento del giudice (per l'eventualità che la carenza dell'indagine probatoria abbia inciso sulla motivazione, rendendola apodittica o congetturale) sia il procedimento di formazione del detto convincimento (onde va stabilito se i fatti dalla parte indicati siano tali da poter inficiare le argomentazioni poste a fondamento della decisione adottata, o tendano invece ad un risultato conoscitivo già acquisito). Nel caso di specie il giudice a quo, nel chiudere l'istruttoria dibattimentale, ha ritenuto «il processo maturo per la decisione», e quindi superflue le ulteriori prove in precedenza ammesse. Premesso che i testi della difesa erano stati indicati «a prova contraria» e che l'esame degli imputati era stato richiesto dal P.M., il ricorso non chiarisce l'influenza (potenzialmente) decisiva attribuita alle circostanze oggetto delle prove non assunte se non con la generica osservazione che la deposizione della teste non ammessa era «finalizzata a smentire l'accusa»; d'altra parte, il diritto degli imputati all'ammissione delle prove a discarico, di cui al comma 2 dell'art. 495 c.p.p., va coordinato con il potere, riconosciuto al giudice dal successivo comma 4 di revocare l'ammissione quando le prove risultino superflue. Tale potere, esercitato sulla base delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, è ben più ampio di quello attribuitogli all'inizio del dibattimento, fase processuale caratterizzata dalla normale «verginità conoscitiva» dell'organo giudicante rispetto alla res judicanda e pertanto regolata dal più restrittivo canone di cui all'art. 190, comma 1, del codice di rito (richiamato dall'art. 495) che consente l'esclusione delle sole prove «manifestamente» superflue (Cass., sez. VI, 6 ottobre - 1 dicembre 1999, Malorgio). Ne segue che, ove la sentenza chiarisca - attraverso puntuale disamina - le ragioni che consentono di decidere sulla base del materiale probatorio raccolto, sono automaticamente dimostrate la superfluità di ulteriori acquisizioni sugli stessi temi e la legittimità della revoca. Tale verifica degli esiti probatori è stata nel caso di specie effettuata, né il ricorso solleva sul punto specifiche censure.

Manifestamente infondate sono le residue doglianze. L'art. 659 c.p., nel sanzionare la condotta di chi suscita o non impedisce strepiti di animali, evidentemente presuppone che lo «strepito» venga realizzato proprio per mezzo delle manifestazioni sonore tipiche e connaturali all'animale, che assumono connotazione di illiceità quando eccedano i limiti della normale tollerabilità e realizzano potenziale offesa alla quiete di una collettività indifferenziata di persone. Il fatto contestato e ritenuto è appunto quello di non avere impedito ai cani non già «di abbaiare», ma di farlo in maniera smodata ed in orari tali da disturbare l'intero condominio (anche se non il teste a discarico, che abita in un fabbricato separato). Né in proposito può essere prospettata una sorta di caso fortuito o affermata l'inconsapevolezza degli imputati poiché, secondo le risultanze dell'interrogatorio cui ha fatto riferimento il giudice di merito, gli animali vennero volutamente tenuti in cortile - ove abbaiavano a lungo ad ogni movimento dei condomini e dei loro frequentatori - anche per ripicca dopo una prima denuncia. In ogni caso, ai fini dell'elemento psicologico del reato di cui all'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone), non occorre neppure l'intenzione dell'agente di arreca- Page 794 re disturbo alla quiete pubblica, essendo sufficiente la volontarietà della condotta desunta da obiettive circostanze (Cass., sez. I, 17 dicembre 1993 - 10 febbraio 1994, Villa).

Il ricorso va perciò respinto. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 3 settembre 2001, n. 32773. Pres. Rizzo - Est. Quitadamo - P.M. Siniscalchi (conf.) - Ric. Gariazzo.

Edilizia e urbanistica - Barriere architettoniche - Eliminazione - Previsioni di cui agli artt. 20 e 24 L. n. 104/1992 - Architetto direttore dei lavori finalizzati alla realizzazione di due sale cinematografiche - Costruzione di ascensore - Modifica del progetto iniziale - Responsabilità.

Risponde del reato di cui agli artt. 20 e 24 L. 5 febbraio 1992, n. 104 l'architetto che, nella propria qualità di progettista, collaudatore e direttore dei lavori finalizzati alla realizzazione di due sale cinematografiche, non osservi le disposizioni dirette alla eliminazione delle barriere architettoniche, modificando ingiustificatamente l'iniziale progetto che prevedeva la costruzione di un ascensore atto a consentire ai portatori di handicap l'accesso alla sala cinematografica posta al piano superiore. (L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 20; L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 24) (1).

    (1) Nulla negli esatti termini.

FATTO E DIRITTO. - Con sentenza in data 25 febbraio 2000 il Tribunale di Verbania condannava Gariazzo Pier Renza, con le attenuanti generiche, alla pena di lire 20.000.000 di ammenda con sospensione per tre mesi dall'albo degli architetti e risarcimento dei danni morali a favore della costituita p.c. come colpevole del reato di cui agli artt. 20 e 24 legge 5 febbraio 1992 n. 104 perché quale direttore dei lavori finalizzati alla realizzazione di due sale cinematografiche non osservava le disposizioni dirette all'eliminazione delle barriere architettoniche omettendo, in particolare, la realizzazione di un ascensore per il raggiungimento della sala cinematografica posta al primo piano. Fatto accertato in Verbania il 28 febbraio 1999.

Avverso la predetta sentenza interponeva l'imputato appello (convertito in ricorso per cassazione) deducendo l'avvenuto erroneo rigetto dell'istanza di ammissione dei testi a difesa (ai fini della prova contraria rispetto a quella richiesta dal P.M.) nonché l'erronea applicazione della legge penale in quanto l'autorità preposta alla prevenzione degli incendi aveva ritenuto non meritevole di approvazione ogni progetto comportante la possibilità di accesso per persone disabili nella sala cinematografica sita al piano superiore in difetto di valide soluzioni tecniche tali da garantire il rapido e sicuro deflusso degli handicappati in caso d'incendio. Aggiungeva che per tale ragione era stato costretto a modificare il suo progetto eliminando dallo stesso la prevista realizzazione dell'ascensore per i disabili.

Ciò premesso va osservato che rettamente nella specie non è stata ammessa la lista dei testi a difesa in quanto non depositata almeno due giorni prima della data fissata per il dibattimento.

Quanto alle dedotte questioni di merito va rilevato che rettamente il giudice di primo grado, dopo aver ricordato che per l'art. 24 della legge 5 febbraio 1992 n. 104 è penalmente punita la realizzazione di opere in edifici privati aperti al pubblico in maniera difforme dalle disposizioni vigenti in materia di accessibilità da parte di persone portatrici di handicap e con difformità tali da rendere impossibile l'accesso alle persone predette, ha osservato che nella specie l'imputato (progettista, direttore e collocatore delle opere) doveva ritenersi responsabile del reato ascrittogli per aver...

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