Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 11 settembre 2001, n. 33542 (ud. 27 giugno 2001). Pres. Vessia - Est. De Roberto - P.M. Galgano (conf.) - Ric. Cavalera.

Cassazione penale - Declaratoria immediata di cause di non punibilità - Prescrizione del reato - Ricorso proposto esclusivamente per dedurre la prescrizione - Ammissibilità - Esclusione.

È inammissibile il ricorso per cassazione inteso unicamente a far valere la prescrizione maturata successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. (Mass. redaz.). (C.p.p., art. 606; c.p.p., art. 129) (1).

    (1) Soluzione di contrasto giurisprudenziale sorto sulla questione relativa all'ammissibilità - o meno - del ricorso per cassazione teso unicamente a far accertare la prescrizione del reato maturata nelle more del gravame. Sulle contrapposte linee interpretative formatesi sulla questione de qua, si rinvia ai numerosi richiami giurisprudenziali contenuti in sentenza.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Cavalera Quintino ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza 3 luglio 2000 con la quale la Corte di appello di Lecce confermava la decisione 18 novembre 1999 del locale tribunale, Sezione distaccata di Casarano, che l'aveva condannato alla pena di lire 100.000 di multa per il reato di diffamazione.

Con unico motivo il ricorrente richiede la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata successivamente alla sentenza di appello.

  1. - Il ricorso è stato assegnato alla quinta sezione di questa Corte che, con ordinanza dell'8 febbraio 2001, lo ha rimesso alle sezioni unite a norma dell'art. 618 c.p.p.

    Premesso che il termine di prescrizione del reato ascritto al Cavalera è decorso il 17 agosto 2000, vale a dire nel periodo intercorrente fra la pronuncia della sentenza impugnata e la scadenza del termine per proporre impugnazione, la sezione rimettente sottopone alle sezioni unite il quesito «se sia ammissibile il ricorso per cassazione teso unicamente a far accertare la prescrizione del reato maturata nelle more del gravame».

    Rileva che sul punto esiste un contrasto giurisprudenziale perché, mentre talune decisioni, sul presupposto che fino al momento in cui la sentenza non sia divenuta irrevocabile, il giudice è tenuto sempre ad applicare l'art. 129 c.p.p., operante in ogni stato e grado del processo, si sono pronunciate nel senso della operatività della causa estintiva, altre decisioni, ritenendo il ricorso privo di denunce incentrate sulla legittimità del provvedimento impugnato, si sono pronunciate nel senso della inammissibilità del gravame, in quanto sprovvisto dei necessari motivi.

  2. - Il primo presidente aggiunto ha rimesso il ricorso alle sezioni unite, a norma dell'art. 618 c.p.p., per la soluzione del contrasto giurisprudenziale.

  3. - Le sezioni unite sono chiamate, dunque, a decidere se il ricorso che abbia ad oggetto esclusivo la richiesta di dichiarazione di estinzione del reato maturata - come nel caso di specie - successivamente alla pronuncia della sentenza di appello ma prima della decorrenza del termine per proporre ricorso per cassazione sia ammissibile e se, conseguentemente, la Corte, accertata l'estinzione del reato, debba dichiararla annullando senza rinvio la sentenza denunciata; o se, invece, la deduzione della estinzione del reato per effetto del decorso del tempo (anche accompagnata da motivi inammissibili) precluda l'accesso al giudizio di legittimità per non essere ammissibile la proposizione di una simile «censura».

    Sul punto è effettivamente riscontrabile un contrasto giurisprudenziale, pure se - come si vedrà fra poco - la situazione di conflittualità non sembra incidere con la necessaria proiezione dilemmatica sui presupposti ermeneutici dai quali discende la soluzione cui occorre pervenire e che risultano incentrati sui temi concernenti, da un lato, la nozione di inammissibilità dell'atto di impugnazione e le conseguenze che ad essa si ricollegano e, dall'altro lato, i rapporti tra inammissibilità del ricorso ed applicabilità dell'art. 129 c.p.p.; tematiche che si profilano «logicamente pregiudiziali», oltre che avvinte da un vero e proprio rapporto di complementarità e che già sono divenute oggetto di numerosi interventi da parte di queste sezioni unite.

  4. - Al momento avendo di mira i termini del contrasto, per restare alle più recenti decisioni attestate sulla linea ermeneutica che ritiene in ogni caso operante la causa estintiva, una pronuncia, premesso che l'ipotesi in cui la prescrizione sia maturata nella pendenza del termine per proporre ricorso per cassazione va assimilata a quella del ricorso presentato per far rilevare la prescrizione intervenuta e non dichiarata nel giudizio di merito, assume che fino a quando la sentenza non è divenuta irrevocabile, il giudice deve sempre applicare la legge penale - salvo le eventuali preclusioni non evocabili in presenza di una prescrizione già maturata - in forza del precetto dell'art. 129 c.p.p., che impone di dichiarare l'estinzione del reato in qualsiasi stato e grado del processo. Ove la prescrizione maturi, perciò, dopo il giudizio di merito, ma prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile, poiché l'applicazione di tale causa estintiva non avrebbe potuto essere richiesta se non alla Corte di cassazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lettera b), c.p.p., l'estinzione del reato deve essere dichiarata nel giudizio di legittimità (sez. I, 28 ottobre 1997, Plojer). Una diversa sezione di questa Corte, dopo aver precisato (almeno in apparenza, correttamente) che il ricorso non è affetto da inammissibilità originaria tanto da non precludere la possibilità di prendere in esame il motivo avente ad oggetto la prescrizione, conclude, ma in modo contraddittorio rispetto alle premesse, nel senso che l'imputato ha il diritto di allegare come motivo la causa estintiva che, pur sopravvenuta alla sentenza impugnata, si sia verificata prima della scadenza del termine di impugnazione e della stessa proposizione del ricorso, anche se - e qui l'approccio ai rapporti fra inammissibilità del ricorso e applicazione dell'art. 129 c.p.p. diviene non pertinente - eventuali altri motivi (evidentemente quelli tecnicamente qualificabili come motivi di impugnazione) siano affetti da inammissibilità originaria per genericità (sez. V, Page 504 29 aprile 1999, Russo). Infine, un'altra decisione della stessa V sezione si limita a ricordare quanto statuito dalla sentenza Plojer, osservando che il ricorso per cassazione proposto unicamente al fine di far valere la prescrizione, è ammissibile qualora la causa estintiva sia intervenuta nel periodo corrente tra la pronuncia di merito e la scadenza del termine per il gravame perché fino a quando la condanna non sia divenuta irrevocabile, il giudice deve dichiarare, ex art. 129 c.p.p., l'estinzione del reato (sez. V, 29 aprile 1999, Bux).

  5. - La contrapposta linea interpretativa, pur pervenendo a conclusioni fra loro omologhe, delinea diverse tipologie di inammissibilità, come tali, sempre preclusive all'introduzione di un valido procedimento di impugnazione, ravvisando un insuperabile ostacolo - nel caso in cui l'unica «doglianza» si incentri sulla prescrizione maturata dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello, anche se nella pendenza dei termini per proporre ricorso per cassazione - all'applicazione della causa estintiva.

    Si è ritenuto, più in particolare, che, se è vero che la Corte di cassazione deve, come ogni altro giudice, rilevare di ufficio le cause di estinzione del reato con obbligo di immediata declaratoria ex art. 129 c.p.p., occorre pur sempre, perché un simile potere-dovere venga legittimamente esercitato, che la Corte sia stata investita di doglianze in grado di instaurare il relativo giudizio; di un ricorso, dunque, non affetto da inammissibilità originaria. Un ricorso che si limiti a richiedere l'applicazione della prescrizione, lungi dall'introdurre censure nei confronti della sentenza di condanna, si risolve in una domanda di (mero) accertamento della sopravvenienza di una causa estintiva del reato. La conclusione è davvero perentoria: il ricorso che, per sua stessa natura, dovrebbe tendere a prospettare vizi della sentenza di merito, non è neppure riconducibile allo schema dell'atto di impugnazione, «non essendo stata lamentata l'ingiustizia di quanto in precedenza pronunziato» ed è, quindi, colpito da inammissibilità originaria (sez. V, 7 luglio 1998, Sasso).

    Un'ulteriore sentenza richiama, invece - ma con differenze non decisive rispetto alla pronuncia da ultimo ricordata - l'art. 606, comma 3, sotto il profilo dei motivi non consentiti, rimarcando come la violazione di doveri sostanziali o processuali deve avvenire nel corso del processo riverberandosi sulla sentenza impugnata per cassazione. La semplice deduzione della prescrizione verificatasi dopo la pronuncia della sentenza impugnata, è, si afferma, motivo del tutto estraneo, come tale, inidoneo ad integrare alcuno dei casi per i quali è ammesso il ricorso, implicando l'accesso di una censura non annoverabile tra i «casi» previsti dall'art. 606, comma 1, c.p.p. Gli effetti che se ne fanno scaturire sono pressoché identici a quelli derivanti dalla statuizione prima rammentata; se la sentenza «non viene aggredita in nessuno dei suoi aspetti (... quindi solo apparentemente è oggetto di impugnazione) e se neppure l'iter del procedimento che ha condotto alla pronuncia giudiziale viene sottoposto a censura, è evidente che una sentenza dichiarativa della prescrizione del reato maturata dopo la sentenza di merito finirebbe per «intaccare» il giudicato sulla responsabilità che si è venuto a formare poiché rispetto alla pronuncia che la contiene nessuna censura, neppure di forma, è stata mai prospettata (sez. IV, 12 aprile 1999, Condello).

    Sulla stessa linea, una più recente decisione, penetrando davvero in medias res, rileva che il ricorso per cassazione proposto esclusivamente per far valere la prescrizione maturata...

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