Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine271-309

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@CORTE DI CASSAZIONE 15 aprile 2002, n. 5417. Pres. Pontorieri - Est. Settimj - P.M. Frazzini (diff.) - Donvito (avv. Russi) c. Resta (avv. Cicerone).

Innovazioni della cosa comune - Pregiudizio alla statica o all'estetica - Lesione del decoro architettonico - Accertamento - Criteri - Incensurabilità in sede di legittimità - Limiti.

Nel condominio degli edifici, il giudice, nel decidere dell'incidenza di un'innovazione sul decoro architettonico, deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente ed in quale misura un'unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all'innovazione dedotta in giudizio, nonché se su di essa avessero o meno inciso, menomandola, precedenti diverse modifiche operate da altri condomini. In caso di accertato danno estetico di particolare rilevanza, il danno economico è da ritenersi insito, senza necessità di specifica indagine; il relativo accertamento è demandato alla discrezionalità del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato. (C.c., art. 1120) (1).

    (1) In senso conforme, v. Cass. 6 dicembre 2000, n. 15504, in questa Rivista 2001, 223; Cass. 16 maggio 2000, n. 6341, ivi 2000, 575 e Cass. 27 aprile 1989, n. 1947, ivi 1989, 463.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con atto di citazione 15 ottobre 1992, Giuseppa Convito, proprietaria d'unità immobiliare sita al primo piano d'uno stabile condominiale sito in «Chiatona» dell'Agro di Palagiano alla Via Vasco De Gama, dolendosi che i condomini Angelo Resta e Cecilia Intini avessero abusivamente realizzato alcune opere sul muro perimetrale comune del fabbricato, li conveniva innanzi al Pretore di Taranto chiedendone la condanna al ripristino dello Stato dei luoghi.

Nel costituirsi, il Resta e la Intini, contestavano la fondatezza dell'avversa domanda e ne chiedevano il rigetto assumendo che l'attrice avesse, ella stessa, eseguito opere arrecanti pregiudizio al decoro architettonico dell'immobile condominiale; spiegavano, dunque, domanda riconvenzionale perché la Convito fosse condannata alla rimozione delle opere denunziate, oltre al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.

Con sentenza 9 settembre 1994, il Pretore di Taranto rigettava la domanda proposta dall'attrice ed, in accoglimento della riconvenzionale spiegata dai convenuti, la condannava «a chiudere le aperture praticate nel parapetto del lastrico solare della palazzina condominiale per accedere al suo oggetto esterno, nonché a rimuovere la ringhiera metallica ed ogni altro manufatto a quest'ultimo applicati, ripristinando lo stato dei luoghi», oltre al pagamento delle spese di lite ed al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.

Avverso tale decisione Giuseppa Convito proponeva appello dolendosi che il pretore, nel ritenere le opere lesive del decoro architettonico del fabbricato, non avesse considerato come il prospetto dell'edificio fosse già stato alterato da precedenti innovazioni; ribadiva, altresì, l'illegittimità delle modifiche apportate dalla controparte al prospetto interno del fabbricato, anch'esse da considerare pregiudizievoli per gli altri condomini; concludeva chiedendo rigettarsi la domanda riconvenzionale spiegata nei suoi confronti e di essere assolta dall'addebito di colpa grave, con condanna degli appellati al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Resistevano i Resta-Intini riproponendo le difese già svolte in prime cure e chiedendo il rigetto dell'avverso gravame.

Con sentenza 6 luglio 1998, il Tribunale di Taranto - ritenuto che l'effettiva realizzazione di precedenti modifiche da parte dei vari altri condomini non fosse suffragata da prova certa; che, in ogni caso, le ipotizzate innovazioni non potessero aver alterato il decoro architettonico del fabbricato, stante la loro limitata e trascurabile entità; che, per contro, l'opera eseguita dalla Convito avesse stravolto l'assetto della facciata; che le modifiche eseguite dagli appellati, essendo state apportate sulla facciata laterale interna del fabbricato, non ne avessero alterato alcun prospetto o decoro architettonico - rigettava l'appello condannando la Convito alle ulteriori spese del grado.

Avverso tale sentenza Giuseppa Convito proponeva ricorso per cassazione con tre motivi.

Resistevano i Resta-Intini con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con il primo motivo, la ricorrente - denunziando violazione e falsa applicazione dell'articolo 1120 c.c. - si duole che il tribunale abbia ritenuto le opere da lei realizzate lesive del «decoro architettonico» di uno stabile di tipo economico-popolare, ubicato nell'estrema periferia d'un piccolo centro ed a ridosso della ferrovia; che non abbia tenuto in alcun conto la serie infinita d'innovazioni apportate al medesimo immobile da altri condomini, ingiustamente ritenendo solo le opere da lei realizzate deturpanti per l'aspetto originario del fabbricato; che non abbia congruamente motivato tale convincimento; che abbia erroneamente ritenuto mancante la prova certa in ordine alle pregresse modifiche nonostante l'ampia descrizione delle stesse contenuta nella allegata ordinanza di demolizione e di ripristino del Comune di Palagiano; che abbia completamente omesso d'esaminare la documentazione prodotta in giudizio.

Con il secondo motivo, la ricorrente - denunziando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione - si duole che il tribunale abbia ritenuto legittime le opere realizzate dalla controparte sul muro comune sol perché non eseguite sulla facciata principale dell'immobile bensì su quella posteriore; che abbia erroneamente interpretato l'articolo 1120 c.c. circa il divieto d'innovazioni lesive del decoro architettonico «del fabbricato» e non della «facciata principale» o della «facciata prospiciente la via pubblica»;Page 272

che l'abbia ingiustamente condannata, fra l'altro, a chiudere l'apertura praticata sulla facciata posteriore dell'edificio, quella stessa sulla quale controparte aveva eseguito innovazioni ritenute invece legittime; che abbia posto a fondamento della decisione sul merito motivazioni illogiche e contraddittorie.

Con il terzo motivo la ricorrente - denunziando violazione dell'art. 96 c.p. - si duole che il tribunale abbia confermata la condanna inflittale dal primo giudice per responsabilità processuale aggravata pur in difetto dei presupposti richiesti dalla norma e senza motivazione alcuna al riguardo.

I primi due motivi - che, per essere tra loro variamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente - meritano entrambi accoglimento per le considerazioni che seguono.

Come questa Corte ha avuto ripetutamente occasione d'evidenziare, esprimendo un indirizzo interpretativo costante, la tutela del decoro architettonico degli edifici condominiale è stata apprestata dal legislatore, all'articolo 1120 secondo comma c.c., non in astratto, bensì in considerazione della concorrenza di due distinte circostanze di fatto: una alterazione delle linee e delle strutture fondamentali dell'edificio, od anche di sue singole parti o di suoi singoli elementi dotati di sostanziale autonomia, ed una consequenziale diminuzione del valore dell'intero edificio e, quindi, anche di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono (donde la legittimazione attiva non del solo condominio ma altresì del singolo condomino).

Quanto alla prima, si è precisato che, sebbene tutti indistintamente gli edifici, pur se non dotati di particolari pregi estetici, possano egualmente presentare una peculiare armonia nella composizione delle linee e dei motivi ornamentali tale da conferire loro una dignità fisionomica particolare eppertanto meritevole della tutela apprestata dalla norma in esame, non di meno, nel decidere dell'incidenza dell'innovazione sul decoro architettonico, deve il giudice, caso per caso, adottare criteri di maggiore o minor rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente ed in qual misura un'unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all'innovazione dedotta in giudizio, nonché se su di essa avessero o meno già inciso, menomandola, precedenti diverse innovazioni (Cass. 2134/62, 1472/65, 2477/68, 706/75, 3549/89, 1297/98 in motivazione).

Quanto alla seconda, si è precisato ch'essa deve essere consequenziale all'accertata alterazione ed economicamente valutabile e che va esclusa ove abbia, in compenso, arrecato anche un vantaggio o rappresenti di per sè stessa un miglioramento dell'aspetto complessivo dell'edificio, mentre va affermata senza necessità di specifica indagine al riguardo ove siasi riscontrato un danno estetico di particolare insito (ex pluribus, Cass. 2134/62, 1472/65, 3477/68, 706/75, 1918/81, 4474/87 i cui principi, in un lungo iter giudiziario, sono stati ribaditi con le sentenze 3463/92 e 5652/00, ed ancora 1947/89, 9717/97, 8068/99 in motivazione).

Orbene, nel caso in esame il giudice del merito ha del tutto omesso di giustificare la propria decisione con il necessario puntuale riferimento ai sopra richiamati principi - così nel ritenere irrilevanti le innovazioni imputate ai Resta-Intini e trascurabili quelle operate in precedenza da altri condomini, come nel ritenere tali da stravolgere l'assetto della facciata quelle imputate alla Convito - che, infatti, non risultano in alcun modo rispettati, ed è pertanto, incorso nella violazione di legge denunziata dalla ricorrente.

È incorso, inoltre, anche in palese vizio di motivazione, e non soltanto per avere apoditticamente affermato il difetto di prova in ordine alle alterazioni operate da altri condomini senza valutare - non avendone fatto oggetto di menzione alcuna, neppure per dichiararne l'eventuale idoneità probatoria od...

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