Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. VI, 3 novembre 2001, n. 39087 (ud. 3 ottobre 2001). Pres. Leonasi - Est. Di Virginio - P.M. Viglietta - Ric. Berra.

Abusivo esercizio della professione - Farmacista - Apparecchi di c.d. autodiagnostica tenuto in farmacia - Configurabilità - Esclusione.

Non costituisce abusivo esercizio della professione di biologo o di altra professione, e non da luogo, quindi, a configurabilità del reato di cui all'art. 348 c.p. il fatto del farmacista il quale, oltre a tenere nei locali della farmacia, a disposizione del pubblico, un apparecchio di c.d. «autodiagnostica rapida» per l'effettuazione automatica di esami del sangue, intervenga ad assistere il cliente nell'uso di detto apparecchio (nella specie, con prelievo di una goccia di sangue, confezionamento di un vetrino ed inserimento del medesimo nella macchina), atteso che comunque un siffatto intervento, puramente materiale, non interferisce in alcun modo nella formazione della diagnosi, scaturente da una procedura informatica del tutto automatizzata. (Mass. redaz.). (C.p., art. 348) (1).

    (1) Conforme, v. Pret. pen. Arezzo 29 novembre 1996, in Foro it. 1997, II, 567. Si veda, inoltre, Cass. pen., sez. III, 5 febbraio 1998, Dell'Olmo, in questa Rivista 1998, 250. In generale, per utili riferimenti sul reato de qua, v. l'ampia giurisprudenza contenuta ne Il codice penale commentato a cura di L. ALIBRANDI, Ed. La Tribuna, Piacenza 2001, pp. 1106 ss.


(Omissis). - Con sentenza in data 10 marzo 2000 il Tribunale di Milano dichiarava Berra Carlo Stefano e Cavaliere Rosa responsabili del reato di cui agli artt. 110, 348 c.p. per avere, il primo quale titolare di una farmacia e la seconda quale farmacista alla stessa addetta, esercitato abusivamente la professione di biologo eseguendo analisi del sangue e prestazioni di diagnostica strumentale di patologia clinica. Come risulta dalla sentenza impugnata, nel corso di un'ispezione eseguita presso la farmacia del Berra si era constatato che esisteva nella stessa, pubblicizzata del resto da un cartello apposto all'ingresso, una apparecchiatura di cosiddetta autodiagnostica rapida, per esame di ematocrito, glicemia, colesterolomia e trigliceridi. Durante l'ispezione si presentava un cliente per l'esame dell'ematocrito; e tutte le operazioni relative (prelievo di una goccia di sangue, confezionamento del «vetrino» e inserimento dello stesso nell'apparecchio) venivano eseguite dalla Cavaliere, che assisteva il richiedente fino all'esito dell'esame fornito dall'apparecchio. Secondo il giudice di merito, pur essendo del tutto lecita l'installazione dell'apparecchiatura autodiagnostica presso una farmacia, l'intervento della farmacista (che aveva gestito tutte le fasi dell'operazione senza essere stata neppure sollecitata da una richiesta di aiuto del cliente, in conformità evidente con una prassi abituale necessariamente nota anche al Berra e dallo stesso quanto meno accettata) aveva comportato un uso dell'apparecchio a fine di diagnosi eseguita da un soggetto diverso dal paziente; e cioè un atto tipico della professione di biologo. Da qui la configurabilità del reato ascritto agli imputati.

Ricorrono questi ultimi a mezzo del comune difensore, deducendo erronea applicazione dell'art. 348 c.p. nonché manifesta illogicità della motivazione relativamente all'elemento psicologico del reato. Il Berra deduce manifesta illogicità della motivazione anche relativamente al concorso nel reato attribuitogli.

I rilievi dei ricorrenti sono fondati. È ben vero che, così come ricorda la sentenza impugnata, le analisi biologiche non sono consentite ai farmacisti, trattandosi di atto tipico della professione di biologo. Nel caso di specie non vi è stata però alcuna analisi, e cioè alcuna valutazione di dati obiettivi acquisiti attraverso esami clinici, poiché il risultato degli accertamenti è derivato in via automatica e senza alcun intervento umano dall'uso dell'apparecchio posto a disposizione del pubblico nei locali della farmacia. La caratteristica distintiva degli apparecchi per cosiddetta autodiagnostica rapida è, per l'appunto, quella di consentire una diagnosi immediata per via strumentale e senza interferenza alcuna da parte dell'operatore, che è di solito (ma non necessariamente) il paziente medesimo; tant'è che i predetti apparecchi vengono di solito venduti o dati a noleggio per uso domiciliare. Se così è, l'uso dell'apparecchio non può comunque invadere la sfera riservata all'esercizio della professione di biologo o a quello di qualsiasi altra professione; e non si configura, al contrario di quanto ritiene la sentenza impugnata, alcuna differenza tra il caso in cui l'apparecchio venga posto in funzione dal paziente stesso oppure da altra persona più esperta del suo funzionamento, così come avvenuto nella fattispecie, perché in entrambe le ipotesi l'acquisizione dei dati e la loro valutazione non dipendono dall'intervento dell'utente, che è diretto unicamente ad attivare le funzioni dell'apparecchio e non interferisce in alcun modo con la formazione della diagnosi, scaturente da una procedura informatica cui è estraneo qualsiasi intervento umano. Se non è ipotizzabile, come riconosce la sentenza impugnata, esercizio abusivo della professione di biologo nel fatto di chi usi l'apparecchio per ottenere una diagnosi che lo riguarda, per lo stesso motivo deve essere esclusa la configurabilità del reato nella condotta di chi, avendo posto a disposizione del pubblico un apparecchio per autodiagnosi, esegua in luogo dell'interessato quelle operazioni meramente materiali che sono necessarie per il suo funzionamento e per la produzione automatica della diagnosi.

Va pertanto annullata senza rinvio la sentenza impugnata, non integrando il fatto ascritto ai ricorrenti gli estremi del reato loro contestato. (Omissis).

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. V, 28 ottobre 2001, n. 38453 (ud. 25 settembre 2001). Pres. Marrone - Est. Nappi - P.M. Meloni (conf.) - Ric. Perfetto.

Falsità in atti - In atti pubblici - Falsità ideologica - Rilascio di concessione in sanatoria - Applicabilità dell'art. 48 c.p. - Configurabilità.

Falsità in atti - In atti pubblici - Falsità ideologica - Falso per induzione - Concorso tra i reati di cui agli artt. 483 e 48 c.p. - Configurabilità - Sussistenza.

La formazione di un atto pubblico basato su false dichiarazioni rese da un privato può dar luogo a responsabilità di costui per il reato di falso ideologico, materialmente commesso dal pubblico ufficiale, ai sensi dell'art. 48 c.p., solo nell'ipotesi che il pubblico ufficiale, tratto in inganno da dette dichiarazioni, descriva ed attesti una situazione più ampia di quella in essa rappresentata, rimanendo invece esclusa (salva restando la configurabilità del reato di cui all'art. 483 c.p.), qualora il pubblico ufficiale si sia limitato a riprodurre, così documentandole, le dichiarazioni medesime, ovvero, pur avendole poste espressamente come premessa di una propria argomentazione, sia poi giunto a determinate conclusioni, le quali possono anche essere errate, atteso che comunque, anche in detta ultima ipotesi, si tratterebbe appunto di un errore e non di un falso. (Nella specie, sulla base di tali principi, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stata riconosciuta, dal giudice di merito, la sussistenza del reato di cui al combinato disposto degli artt. 48 e 480 c.p. - oltre che di quello di cui all'art. 483 c.p. - in un caso in cui, sulla base di una autocertificazione ideologicamente falsa nella parte contenente l'indicazione della data di ultimazione dei lavori di una costruzione abusiva, era stata rilasciata dall'autorità comunale una concessione in sanatoria, osservandosi, al riguardo, che la data di ultimazione dei lavori costituiva uno soltanto degli elementi da valutare ai fini del rilascio della suddetta concessione). (C.p., art. 48; c.p., art. 483) (1).

È possibile il concorso formale tra il reato di false dichiarazioni rese dal privato a pubblico ufficiale, previsto dall'art. 483 c.p., e quello di falso ideologico per induzione in errore del pubblico ufficiale autore materiale dell'atto, addebitabile allo stesso privato ai sensi dell'art. 48 c.p. (C.p., art. 48; c.p., art. 483) (2).

    (1, 2) Sulla distinzione fra l'ipotesi criminosa prevista dall'art. 483 c.p. e quella di cui agli artt. 48 e 479 c.p., v. Cass. pen., sez. VI, 29 marzo 1999, Diouf, in questa Rivista 1999, 457; Cass. pen., sez. VI, 19 agosto 1994, P.G. in proc. Zungoli, ivi 1995, 1195; Cass. pen., sez. V, 19 settembre 1992, Ceccacci, in Arch. giur. circ. 1993, 620. Si vedano, inoltre, le citate sentenze: Cass. pen., sez. V, 1 settembre 1999, D'Alessio, in questa Rivista 2000, 266 e Cass. pen., sez. V, 6 gennaio 1981, Breggio, ivi 1981, 357.


(Omissis). MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Con la sentenza impugnata la Corte d'appello dell'Aquila confermò la dichiarazione di colpevolezza di Carlo Perfetto in ordine ai seguenti reati:

a) delitto di cui all'art. 483 c.p., per avere falsamente attestato in una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di avere ultimato anteriormente al 31 dicembre 1993 opere di trasformazione edilizia, realizzato invece successivamente, per le quali aveva chiesto la sanatoria a norma dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724;

b) delitto di cui agli artt. 48 e 480 c.p., per avere ottenuto il rilascio di una concessione in sanatoria traendo in errore il Sindaco di Pescara in ordine alla data di realizzazione delle opere condonate;

c) della contravvenzione di cui all'art. 20 legge n. 47 del 1985, per avere realizzato le opere suddette senza concessione edilizia;

d) del delitto di cui all'art. 481 c.p., perché, in concorso con l'architetto Alessandro Celiberti, esercente un servizio di pubblica necessità, per avere allegato una falsa planimetria, redatta dal tecnico, alla domanda di condono edilizio.

  1. - Ricorre per cassazione Carlo Perfetto e propone tre motivi di impugnazione, oltre a una...

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