Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine33-81

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 5 dicembre 2002, n. 40155 (ud. 25 ottobre 2002). Pres. Savignano - Est. Postiglione - P.M. Albano (diff.)Ric. P.G. in proc. Brass e altri.

Atti, pubblicazioni e spettacoli osceni - Atti osceni - Configurazione di atti osceni - Rappresentazione del rapporto sessuale - Non solo - Esposizione di nudità che richiamano il congresso carnale - Fattispecie.

Il reato punito dall'art. 527 c.p. (atti osceni), è un delitto che tuttora protegge la collettività da comportamenti espliciti che recano offesa alla sfera sessuale ed alla connessa dignità e libertà di determinazione delle persone: il comune senso del pudore è un valore giuridico importante per la vita sociale e come tale è ancora percepito, sia pur con una accentuazione minore rispetto al passato, senza che ciò comporti il venir meno dell'illecito penale. Conseguentemente, il contenuto osceno penalmente rilevante non può restringersi alla sola rappresentazione estrema di un rapporto sessuale, ma comprende anche l'oscenità insita in atti e comportamento che richiamano il congresso carnale, come esposizione di nudità, atteggiamenti con chiaro contenuto erotizzante, manifestamente licenziosi, i quali offendono egualmente in modo grave il senso di riservatezza che deve presiedere le manifestazioni in luogo pubblico. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 527) (1).

    (1) Ciò trova conferma in univoci precedenti. Si veda, ad esempio, Cass. pen., sez. III, 19 settembre 2000, Piancone W., pubblicata con motivazione in questa Rivista 2001, 196, secondo cui l'esibizione in pubblico degli organi genitali al fine di soddisfare la «libido» dell'esibente integra il delitto di atti osceni e non la contravvenzione di atti contrari alla pubblica decenza, in quanto, attese le finalità e modalità che la caratterizzano, si configura come offensiva del sentimento collettivo della più elementare costumatezza. Per la definizione invece di atti contrari alla pubblica decenza, si veda Cass. pen., sez. III, 20 marzo 2000, P.G. in proc. Hees, ivi 2000, 457, secondo cui vanno qualificati come tali quelli che, a differenza degli atti osceni, non toccano la sfera degli interessi sessuali ma ledono semplicemente le regole etico sociali attinenti al normale riserbo ed alla elementare costumatezza, sì da produrre, se non anche disgusto, quanto meno disagio, fastidio e riprovazione, avuto riguardo ai comuni parametri di valutazione, rapportati allo specifico contesto ed alle particolari modalità di ogni fatto. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C. aveva ritenuto che fosse da qualificare come contrario alla pubblica decenza il comportamento di un soggetto il quale, su una spiaggia non appartata ed in presenza di altre persone, si era completamente denudato, con esposizione, quindi, degli organi genitali, atteso che una tale esposizione non poteva essere assimilata a quella del seno nudo femminile, entrata ormai da vari lustri nel novero dei comportamenti comunemente accettati). Circa la natura giuridica del reato ex art. 527 c.p., si veda Cass. pen., sez. III, 11 ottobre 1999, Bombaci ed altri, pubblicata con motivazione ivi 2000, 44, per cui il reato di atti osceni in luogo pubblico o aperto al pubblico è un reato di pericolo presunto per la cui realizzazione è quindi sufficiente - diversamente da quanto si verifica nell'ipotesi degli atti osceni in luogo esposto al pubblico - l'astratta visibilità degli atti medesimi da parte di terzi non consenzienti. Infine, in tema di distinzione tra i reati di cui agli artt. 527 e 726 c.p., si veda Cass. pen., sez. III, 3 ottobre 1997, P.M. in proc. Gallone, ivi 1998, 95, per cui le nozioni di osceno e di pudore non sono riferite ad un concetto considerato in sé, ma al contesto ed alle modalità in cui gli atti o gli oggetti sono compiuti o esposti. Il criterio discretivo va individuato nel contenuto più specifico del delitto di «atti osceni», che si richiama alla «verocondia sessuale», rispetto a quel complesso di regole etico-sociali, che impongono a ciascuno di astenersi da tutto quanto possa offendere il sentimento collettivo della più elementare costumatezza. Ne consegue che il nudo integrale - considerando il sentimento medio della comunità ed i valori della coscienza sociale e le reazioni dell'uomo medio normale - assume differenti valenze. Può essere incluso nella speciale causa di esclusione dell'oscenità (art. 529 c.p.) - come ad esempio per le lezioni di educazione sessuale o per le opere cinematografiche o teatrali - ovvero essere espressione della libertà individuale o derivare da convinzioni salutiste o da un costume particolarmente disinibito. Esso, se praticato in una spiaggia appartata, frequentata da soli naturisti, è penalmente irrilevante; mentre non è tale in una località balneare affollata da soggetti variamente abbigliati. In particolare, l'esibizione degli organi genitali (diversamente da quella del seno nudo, che non integra più alcuna ipotesi di reato) - al di fuori delle eccezioni ricordate - configura il delitto di atti osceni, poiché mira al soddisfacimento della «libido». (Nella secie trattavasi di soggetto, che si era denudato in uno scompartimento ferroviario. Il pretore aveva ravvisato la contravvenzione di cui all'art. 726. La Corte ha annullato la sentenza, affermando il suddetto principio).


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Davanti al Tribunale di Venezia iniziava un procedimento penale contro il regista Brass Giovanni detto «Tinto» ed alcune attrici (Savastani Enrika, detta «Erika Saffo», Cosmi Sara, Roccaforte Cinzia, Biagiotti Claudia, detta «Nikita», Quaglia Emanuela detta «Jasmine Emanuela Nay»), per il reato di cui agli articoli 110, 81 e 527 c.p.

Veniva contestato all'imputato ed alle imputate di aver compiuto in luogo pubblico - con più azioni esecutive del medesimo bisogno criminoso ed in concorso tra loro una serie di atti osceni in prossimità del Lido di Venezia, in data 1 settembre 1995. Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 12 gennaio 2000, riteneva che non fossero stati commessi atti osceni, ma soltanto atti contrari alla pubblica decenza (articolo 726 c.p., invece dell'articolo 527 c.p.), sicché il reato contravvenzionale doveva essere dichiarato estinto per intervenuta oblazione o per prescrizione.

Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Venezia, deducendo violazione di legge ed erronea motivazione, in quanto i fatti indicati nel capo di imputazione erano risultati provati ed integravano obiettivamente una grave lesione del comune sentimento del pudore e non una semplice offesa alle regole sociali della decenza.

Il ricorso è fondato. La sentenza del Tribunale di Venezia deve essere annullata, perché occorre un riesame in armoniaPage 34 con il dettato legislativo e con la giurisprudenza di questa Corte.

Nel caso in esame è stato accertato: - che trattavasi di luogo pubblico (in prossimità del Lido di Venezia);

- che erano presenti molte persone, compresi dei minori (vedi verbali di polizia dell'8 agosto 1996);

- che gli atti compiuti non ebbero carattere occasionale, ma furono ripetuti più volte;

- che il Brass non si limitò a mimare alcune scene sul corpo delle ragazze presenti, ma palpeggiò ripetutamente i seni, i glutei ed i genitali delle stesse ed ancor più si spinse a baciare e mordere i seni ed i glutei e ad infilare le dita e la mano tra i glutei e nei genitali;

- che le ragazze si presentarono all'evento nude o seminude ed in atteggiamenti univoci di oscenità di palese esibizione di essa.

Le fotografie in atti e le risultanze di polizia giudiziaria devono essere valutate al fine da verificare se sia stato oltrepassato obiettivamente il limite della decenza, recando offesa ad un valore comune, al sentimento collettivo della più elementare costumatezza tipica della moralità sessuale e, più in profondità, della dignità delle persone.

Il reato di cui all'articolo 527 c.p. è un delitto che tuttora protegge la collettività da comportamenti espliciti che recano offesa alla sfera sessuale ed alla connessa dignità e libertà di determinazione delle persone: il comune sentimento del pudore è un valore giuridico importante per la vita sociale e come tale è ancora percepito, sia pure con una accentuazione minore rispetto al passato (ma ciò non comporta il venir meno dell'illecito penale, Cass. 878/72, RV 120114).

Il Tribunale di Venezia, in relazione ai gravi fatti ascritti agli imputati, finisce per svuotare di contenuto la norma penale sopra indicata, negando perfino l'evidenza documentata da foto, filmati e testimonianze.

Il contenuto osceno penalmente rilevante non può restringersi alla sola rappresentazione estrema di un rapporto sessuale, ma comprende anche l'oscenità insita in atti e comportamenti che richiamano il congresso carnale, come esposizione di nudità, atteggiamenti con chiaro contenuto erotizzante, manifestamente licenziosi, i quali offendono ugualmente in modo grave il senso di riservatezza che deve presiedere le manifestazioni in luogo pubblico (Cass., sez. III, 1197/71, RV 116647; 9191/74, RV 128629; 484/79, RV 142408).

Ogni atto che abbia un oggettivo e specifico contenuto riferibile alla sfera sessuale, integra l'elemento materiale del delitto di cui all'articolo 527 c.p. e non la semplice contravvenzione ex articolo 726 c.p., che punisce quei comportamenti lievi contrari alle regole ordinarie di decenza nel vivere civile e non nella sfera sessuale: le esibizioni di nudità, accompagnata da palamenti e gesti sugli organi tipici della sessualità e con contenuti erotici rientra, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella previsione del delitto ex articolo 527 c.p. (Cass. 5873/76, RV 136914).

Deve anche considerarsi che l'episodio in oggetto preordinato in luogo pubblico aveva una valenza potenziale indiscriminata plurioffensiva nei confronti di persone comuni, anche minori, occasionalmente sul posto e non interessati ad esso.

Sotto il...

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