Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine381-417

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 5 marzo 2003, n. 9979 (ud. 29 gennaio 2003). Pres. Toriello - Est. Novarese - P.M. (conf.) - Ric. Piscitelli.

Vendita di prodotti industriali con segni mendaci - Momento consumativo - Attività diretta a «porre altrimenti in circolazione» - Differenza rispetto all'attività diretta a «porre altrimenti in circolazione», prevista in materia di vendita di sostanze alimentari - Fattispecie.

L'art. 517 c.p., nel prevedere come condotta penalmente rilevante, accanto a quella del porre in vendita, anche quella del porre «altrimenti in circolazione» opere dell'ingegno o prodotti industriali con segni mendaci, si differenzia dal precedente art. 516 c.p., nella parte in cui questo prevede come condotta alternativa a quella del porre in vendita quella del mettere «altrimenti in commercio» le sostanze alimentari cui esso si riferisce, nel senso che con la prima delle suddette espressioni deve intendersi qualsiasi attività diretta a far uscire, a qualsiasi titolo, la res dalla sfera giuridica e di custodia del mero detentore, ivi comprese, quindi, anche le operazioni di immagazzinamento in vista della successiva distribuzione e circolazione della merce destinata alla vendita, rimanendo escluse soltanto ipotesi marginali di mera detenzione non ricollegabile alla distribuzione o all'immagazzinamento, per la cui individuazione deve riconoscersi particolare funzione selettiva all'elemento psicologico. (Nella specie, in applicazione di tali principi, è stato ritenuto che rientrasse nelle previsioni di cui all'art. 517 c.p. la condotta costituita dalla detenzione in magazzino, in vista della successiva distribuzione per il commercio, di prodotti di profumeria recanti denominazioni e segni distintivi suscettibili di creare confusione con altri prodotti similari, di larga diffusione). (Mass. redaz.) (C.p., art. 517; c.p., art. 516) (1).

    (1) In senso contrario, Cass. pen., sez. III, 7 maggio 1997, P.M. in proc. Ngom Gora, in questa Rivista 1997, 970, secondo cui il delitto in esame si consuma con la messa in vendita o in circolazione di tali prodotti. Non sarebbe quindi penalmente rilevante la loro mera detenzione senza che gli stessi possano dirsi in vendita, non consentendo l'art. 517 c.p., quanto alla messa in vendita, la figura del tentativo. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso del P.M., la S.C. ha osservato che, trattandosi di un reato di pericolo, la cui obiettività giuridica è data dalla tutela dell'ordine economico che deve essere garantito dagli inganni tesi ai compratori e resi possibili dai complessi e quotidiani rapporti, rapidi e superficiali, con i venditori al dettaglio o con i gestori di pubblici esercizi, correttamente è stata riconosciuta l'idoneità della condotta dell'agente a trarre in inganno l'eventuale acquirente dei prodotti con false griffe detenuti per la vendita, tenuto conto sia della personalità dell'agente - cittadino extracomunitario, che comunemente non gode di fiducia da parte di eventuali acquirenti circa l'originalità dei prodotti offerti - sia della grossolanità della contraffazione, la cui riconoscibilità da parte di un consumatore di media diligenza «in ogni passaggio commerciale del prodotto successivo a quello originato dall'ambulante extracomunitario» esclude la configurabilità del reato sotto il profilo, segnalato dal ricorrente, che il bene possa pervenire a terzi meno appariscenti e in grado di esitarlo con maggiore credibilità). Nello stesso senso della massima in epigrafe, si veda, invece Cass. pen., sez. III, 25 maggio 1998, Di Munno, ivi 1998, 1150. Cass. pen., sez. III, 20 gennaio 1996, P.M. in proc. Dubini, premesso che l'oggetto giuridico del reato in esame non consiste nella tutela del marchio, ma in quella dell'ordine economico che deve essere garantito da inganni ai consumatori, ha stabilito che la fattispecie ex art. 517 c.p., si realizza nel momento in cui l'opera o il prodotto vengano posti in vendita o messi in altro modo in circolazione, sicché l'elemento oggettivo di esso va ritenuto sussistente sia quando si sia realizzata la materiale traditio della cosa dal venditore all'acquirente, sia quando vi sia stata un'attività, prodromica alla vendita, che abbia comportato la messa in circolazione della cosa stessa. Non è ipotizzabile, pertanto, il reato de quo nel fatto della presentazione alla dogana, per lo sdoganamento, di una partita di merce, non essendo la presentazione medesima comparabile ad un atto di messa in vendita della merce e non ne comporta la messa in circolazione, dovendosi per «circolazione» intendere ogni atto diffusivo della merce stessa, né lo sdoganamento è - di per sè - atto prodromico alla vendita o messa in circolazione.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Piscitelli Maria ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, emessa in data 3 ottobre 2001, con la quale veniva condannata per il delitto di messa in circolazione di prodotti con segni mendaci, deducendo quali motivi la violazione dell'art. 517 c.p., perché i profumi non erano stati messi in circolazione, i marchi non erano atti a trarre in inganno i consumatori, in quanto si rivolgeva ad un pubblico esperto, e non era possibile configurare il tentativo.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - I motivi addotti sono infondati, sicché il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Infatti la capacità di ingannare il consumatore medio deve essere desunta, secondo quanto espressamente asserito ed accertato dai giudici di merito, dal prodotto nel suo complesso, dalla sua visione di insieme risultante da tutta una serie di elementi (cfr. Cass., sez. VI, 16 ottobre 1974 n. 7037, Torresan, rv. 128216 cui adde Cass., sez. III, 20 ottobre 1994 n. 10798, P.M. in proc. Antonelli e Cass., sez. V, 12 maggio 1995, n. 5427, Parisi, rv. 201326), mentre le differenze percepibili da persone del settore non assumono particolare rilievo nella fattispecie in quanto il pubblico dei consumatori dei profumi è eterogeneo e può essere tratto in inganno da un packaging similare o da assonanze (Dolce e Gabbiano invece che Dolce e Gabbana) oppure da alcuni particolari comuni dell'etichetta.

Peraltro occorre ribadire che il giudice di appello non deve necessariamente rispondere in maniera puntuale ad ogni singola osservazione dell'impugnante, potendo in modo implicito disattenderla oppure esaminarla complessivamente o assorbirla in altre, mentre esula dai poteri del giudice di legittimità una rilettura degli elementi di fatto po-Page 382sti a fondamento della decisione, essendo detta valutazione riservata al giudice di merito. Tuttavia la ricorrente, nella fattispecie, incentra tutto il suo discorso sugli elementi costitutivi del delitto e parafrasa una decisione di questo giudice di legittimità, oggetto di non infondate critiche (Cass., sez. III, 7 maggio 1995 n. 4066, P.M. in proc. Ngom Gora rv. 207765), pur se occorre apprezzare l'attenta analisi e le finalità cui si ispira in relazione alla particolare fattispecie, non considerata da affrettati critici (si trattava di merce venduta dai c.d. vù cumprà con griffe palesemente artefatte).

Nel caso in esame, invece, si tratta di una industria, che produce propri profumi ed anche altri che per «assonanza» (Cahnel nº 5 invece di Chanel nº 5), per i colori, per il logotipo e per l'immagine complessiva di presentazione erano idonei a trarre in inganno i consumatori.

Esaminato questo elemento del delitto di cui all'art. 517 c.p., occorre soffermarsi sulla locuzione «messa in circolazione».

A tal proposito, in generale, deve notarsi l'erronea intestazione della rubrica dell'art. 517 c.p., che si riferisce alla «vendita», mentre la fattispecie tipica del reato contempla la messa «altrimenti in circolazione», nonché la differenza terminologica tra il mettere in commercio di cui all'art. 516 c.p. e la dizione del precetto contenuto nel delitto in parola.

Inoltre l'espressione mettere altrimenti in circolazione si rinviene in alcuni reati quali quelli previsti agli artt. 453 e 457 c.p. ed in particolare nell'art. 474 c.p., che punisce, al di fuori dei casi di contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali, chi introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, opere dell'ingegno o prodotti industriali con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati.

Infine, sempre in via generale, deve osservarsi che nel delitto da ultimo citato e nei reati relativi alla tutela della fiducia commerciale l'individuazione di una molteplicità di condotte viene effettuata attraverso una loro elencazione progressiva sul terreno dell'esecuzione criminosa, sicché l'espressione «mette altrimenti in circolazione» assume un significato più ampio e comprensivo di quella di «porre in vendita».

Con specifica attinenza al delitto in esame occorre indagare sulla differenza esistente tra il mettere altrimenti in commercio previsto dall'art. 516 c.p. e l'espressione in esame, giacché le due locazioni potrebbero essere ritenute quali sinonimi ovvero, addirittura, equivalenti oppure diverse.

Non sembra possibile accedere alla prima opinione sia per l'oggettiva differenza lessicale sia per la diversità riscontrata nella terminologia in altri delitti sia per la vicinanza tra i due reati, la quale non spiegherebbe l'uso di differenti termini se non in base ad una difformità concettuale.

Tali considerazioni lessicali, logiche e sistematiche sono avvalorate dall'oggettività giuridica precipua di questo delitto non limitata soltanto alla tutela della lealtà nei rapporti commerciali, ma caratterizzata da un'anticipazione della punibilità rispetto ai momenti della vendita o della consegna della cosa ad un destinatario determinato, sicché il reato in esame tutela aspetti prodromici rispetto al delitto di frode in commercio...

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