Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine697-749

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 17 luglio 2003, n. 30130 (c.c. 20 maggio 2003). Pres. Fazzioli - Est. Riggio - P.G. (diff.) - Ric. P.M. in proc. Calderon.

Istituti di prevenzione e pena (ordinamento penitenziario) - Misure alternative alla detenzione in genere - Concessione o diniego - Applicabilità a straniero in condizione di clandestinità - Esclusione.

L'affidamento in prova al servizio sociale e, in genere, tutte le misure extracomunitarie alla detenzione, non possono essere applicate allo straniero extracomunitario che si trovi in Italia in condizioni di clandestinità, atteso che tale condizione rende illegale la permanenza del medesimo straniero nel territorio dello Stato e non può, d'altra parte, ammettersi che l'esecuzione della pena abbia luogo con modalità tali da comportare la violazione o l'elusione delle norme che rendono configurabile detta illegalità. (Mass. Redaz.). (L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47) (1).

    (1) Già in precedenza i giudici di legittimità con la pronuncia della sez. I, 30 dicembre 1999, Ceruti, in questa Rivista 2000, 517, avevano affermato l'opportunità che le misure alternative alla detenzione siano applicabili, con eguali modalità, sia ai cittadini italiani che ai cittadini stranieri, concludendo che a tale fine non rilevi in alcun modo né l'attualità della presenza nel territorio dello Stato del richiedente al momento dell'istanza di applicazione della misura, né la ragione per la quale costui se ne sia allontanato. Tuttavia, affermava sempre la Cassazione, l'esecuzione della misura alternativa deve necessariamente svolgersi nel territorio dello Stato, dal momento che i Centri di servizio sociale per adulti, regolamentati dall'art. 72 della legge 26 luglio 1975 n. 354, effettuano l'attività che per la sua specifica natura, non rientra tra quelle funzioni statali che possono essere compiute, in territorio estero, degli Uffici consolari italiani. Ne discende che la misura alternativa non può essere applicata al condannato che normalmente risiede ed opera in territorio estero, non essendo possibile in tale ipotesi alcun serio controllo da parte degli organi competenti in ordine alla puntuale osservanza delle prescrizioni imposte all'atto della concessione del beneficio penitenziario, alla corretta esecuzione della misura medesima e al suo progressivo reinserimento, da uomo libero, nel contesto sociale. Se vi è parità di trattamento tra cittadini e stranieri regolarmente presenti nel territorio non altrettanto può dirsi per i clandestini. Con la recente pronuncia n. 30130/03, i giudici di legittimità completano, infatti, quanto statuito in precedenza sancendo, in principio di diritto, l'inapplicabilità delle misure alternative alla detenzione allo straniero extracomunitario che si trovi in condizione di clandestinità, attesa la radicale incompatibilità delle modalità esecutive di dette misure con l'osservanza delle norme che regolano l'ingresso, il soggiorno e l'allontanamento dallo Stato di cittadini appartenenti a Paesi estranei all'Unione europea. Vi sarebbe, in sostanza, ontologica incompatibilità.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con ordinanza del 17 aprile 2002 il Tribunale di sorveglianza di Taranto disponeva l'affidamento in prova al servizio sociale di Calderon Hernandez Beatriz, ritenendo non ostativa la condizione di clandestina della condannata.

Osservava il collegio che anche nei confronti di chi ha fatto ingresso illegalmente nel territorio dello Stato si devono applicare le norme dell'ordinamento penitenziario (come avviene per la concessione della liberazione anticipata e dei permessi premio), trattandosi di disposizioni che attengono all'esecuzione della pena, che deve essere obbligatoriamente espiata, mentre una diversa soluzione comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai condannati a pena detentiva cittadini italiani o stranieri in posseso di regolare permesso di soggiorno.

Ricorre per cassazione il procuratore generale presso la Corte di appello di Lecce, denunciando vizio di motivazione e violazione dell'art. 47 L. 354/75 in relazione agli artt. 2 e 4 D.L. 416/89, norme queste ultime che non consentono il soggiorno nel territorio dello Stato di chi vi è introdotto clandestinamente e, come nella specie, ha riportato condanna per i reati indicati nell'art. 290 c.p.p.

Secondo il ricorrente, la illegittimità della permanenza nel territorio dello Stato rende inapplicabili le misure alternative extramurarie, che comporterebbero la inosservanza di specifiche disposizioni di legge, mentre è improponibile la disparità di trattamento prospettata nell'ordinanza gravata.

Il ricorso è fondato.

La natura sanzionatoria delle misure alternative alla detenzione, in rapporto di immediata derivazione dalla pena, di cui costituiscono una modalità esecutiva, non comporta la loro indiscriminata applicabilità, quale corollario del principio di indefettibilità della pena stessa.

La loro concessione, infatti, è subordinata alla sussistenza delle condizioni per ciascuna specificamente prevista, afferenti al titolo del reato e alla durata della pena in esecuzione, nonché alla personalità del reo.

Inoltre, e soprattutto, è immanente nell'ordinamento giuridico il limite (che attiene a essenziali esigenze di coerenza ed omogeneità dell'intero sistema) riferibile alla legalità estrinseca di un provvedimento giurisdizionale, cioè alla assenza di contrasto con norme imperative.

A questo limite va rapportato il principio di inderogabilità della condanna: posto che è indubitabilmente contra legem la permanenza nello Stato di uno straniero che vi ha fatto ingresso clandestinamente, l'esecuzione della pena nei confronti dello stesso non può avvenire se non con modalità che non comportino la violazione o la elusione delle regulae iuris che statuiscono tale carattere di illegalità.

Pertanto, va affermato il principio che lo status di clandestinità dello straniero, anche se non preclusivo sotto il profilo soggettivo (non implicando alcuna presunzione di pericolosità, che va, invece, accertata specificamente), è, tuttavia, oggettivamente ostativo alla applicazione di misure alternative extramurarie, per la radicale incompatibilità delle loro modalità esecutive con l'osservanza delle norme che disciplinano l'ingresso, il soggiorno e l'allontanamentoPage 698 dello Stato di cittadini appartenenti a Paesi extracomunitari contenute nel D.L.vo 25 luglio 1998 n. 286 e succ. modif.

La ontologica incompatibilità tra misure alternative extramurarie ed esecuzione della pena nei confronti dello straniero clandestino trova conferma nell'art. 16 del suddetto testo legislativo, che, in relazione all'espiazione di pene brevi (astrattamente sostituibili con taluna delle sanzioni previste dagli artt. 53 ss. della legge 24 novembre 1981 n. 689), prevede come unica sanzione sostitutiva alla detenzione l'espulsione, cioè una misura che comporta l'allontanamento coattivo del condannato (ovvero del soggetto al quale è stata applicata la pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 c.p.p.), escludendo la sua permanenza nel territorio dello Stato.

Né la conclusione qui prospettata si presta a dubbi di costituzionalità, atteso che la disparità di trattamento riservato ai cittadini e agli stranieri regolarmente presenti nel territorio dello Stato rispetto ai clandestini trova giustificazione nella differenza delle situazioni giuridiche che ad essi fanno capo.

Sussistendo il denunciato vizio di legittimità, il provvedimento gravato va annullato senza rinvio. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 3 luglio 2003, n. 28505 (c.c. 22 maggio 2003). Pres. Papadia - Est. Zumbo - P.M. Ciampoli (conf.) - Ric. M.F.G.

Violenza sessuale - Elemento oggettivo - Toccamenti e palpeggiamenti - Ipotesi di reato ex art. 609 bis c.p.Sussistenza.

Deve includersi nella nozione di atti sessuali il «palpeggiamento» delle natiche in quanto tale comportamento costituisce una effettiva e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima e, sebbene superficiale, integra una oggettiva manifestazione di sessualità. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 609 bis c.p.) (1).

    (1) Conformemente si vedano Cass. pen., sez. III, 1 febbraio 2001, I.G. in questa Rivista 2001, 561 secondo cui «la repentinità di azione, idonea a limitare la libertà di autodeterminazione della vittima e a renderne inoperante la capacità di resistenza, facendole subire un atto che in altre condizioni non sarebbe stato compiuto, costituisce una forma di aggressione alla libertà sessuale» e Cass. pen., sez. III, 4 maggio 2000, P.M. in proc. S.D.D., ivi 2000, 687. In dottrina cfr. ROMANO BARTOLOMEO, La tutela penale della sfera sessuale, Ed. Giuffrè, Milano 2000 e G. INZERILLO, La nozione di «atto sessuale» al vaglio della Corte costituzionale, in Giur. it. 1999, 830.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECI-SIONE. - Con sentenza in data 15 febbraio 2001, la Corte di appello di Roma condannava M.F.G. alla pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione per il reato di cui all'art. 609 bis c.p.

L'imputato proponeva ricorso per erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione sostenendo che non sono convincenti le dichiarazioni della persona offesa D.F.F. e che, in assenza di violenza o minaccia, nella fuggevole toccata ai glutei non può ravvisarsi un soddisfacimento dell'istinto sessuale.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Sub I. - Con il dedotto vizio di manifesta illogicità della motivazione si tende a prospettare una differente ricostruzione dei fatti ed una diversa valutazione delle prove inibita al giudice di legittimità.

Infatti occorre ribadire che esula dai poteri di questa Corte una rilettura degli elementi di fatti posti a fondamento della decisione, essendo detta valutazione riservata al giudice di merito, mentre compete ad essa solo accertare se quest'ultimo abbia dato adeguatamente conto attraverso l'iter argomentativo seguito, delle ragioni poste a fondamento della decisione...

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