Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine833-881

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 4 luglio 2003, n. 28771 (ud. 2 luglio 2003). Pres. Varola - Est. Macchia - P.M. Martuscello (diff.) - Ric. Petrella e altro.

Applicazione della pena su richiesta delle parti - Disciplina transitoria - Impugnazioni - Ricorso per cassazione - Esclusione.

L'art. 5, comma 1, della legge 10 giugno 2003, n. 134, che prevede la possibilità, per l'imputato, di chiedere la sospensione del dibattimento per valutare l'opportunità della richiesta di patteggiamento, presenta i connotati tipici della norma transitoria. I suoi contenuti, proprio perché tali da integrare una novatio in sè eccezionale e dal carattere naturalmente temporaneo, sono di stretta interpretazione e destinati a qualificarsi per la circoscritta efficacia nel tempo, essendo volti a regolamentare un limitato numero di situazioni pendenti, in sè idonea a fungere da adeguato tertium comparationis agli effetti di una ipotetica estensione analogica. Ne consegue che la facoltà da essa prevista, non è esercitabile anche nel giudizio di cassazione. (Mass. Redaz.). (L. 10 giugno 2003, n. 134, art. 5) (1).

    (1) Importante sentenza della seconda sezione della S.C., che apre un contrasto interpretativo in ordine alla estensione della portata dell'art. 5, comma 1, della legge 10 giugno 2003, n. 134.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza del 20 luglio 2000, il Pretore di Roma dichiarava Petrella Pasquale colpevole dei reati ascrittigli, esclusa l'ipotesi di cui all'art. 644 c.p., contestata ai capi A), C), D) ed E) della rubrica e, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di anni cinque di reclusione; dichiarava altresì Petrella Carlo colpevole dei reati al medesimo ascritti ai capi A), B), D), F), H), esclusa l'ipotesi di cui all'art. 644 c.p., contestata ai capi A) e D), e, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di anni tre di reclusione e lire cinque milioni di multa; assolveva, infine, lo stesso Petrella Carlo dai reati al medesimo ascritti ai capi C), E) e G) della rubrica per non aver commesso il fatto.

A seguito di gravame interposto da parte di entrambi gli imputati, la Corte di appello di Roma, con sentenza del 27 marzo 2002, revocava la confisca di due immobili confermando nel resto l'impugnata sentenza, con correlative statuizioni sulle spese in favore delle parti civili costituite.

Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dei due imputati, rassegnando vari motivi a sostegno della impugnazione. Nel ricorso proposto nell'interesse di Petrella Carlo si deduce, come primo motivo, violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., in riferimento ai criteri di valutazione delle prove applicati nella specie. Si prospetta infatti, che la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto attendibili e convergenti le dichiarazioni rese dalle persone offese, in quanto vi sarebbero elementi di contrasto tra le varie versioni dei fatti offerte dalle fonti di prova, risultando al contrario sminuite le dichiarazioni favorevoli alla difesa. Si prospetta, poi, la insussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato e, dunque, violazione di legge in riferimento agli artt. 644 e 644 bis, c.p., stante l'elevato tenore di vita delle parti offese e la circostanza che l'accusa si sarebbe fondata solo sulle dichiarazioni di costoro, senza alcun tipo di riscontro. Non provato sarebbe anche il ruolo svolto da Petrella Carlo in ordine all'ipotizzato concorso nei fatti ascritti al padre, Petrella Pasquale, e si lamenta, infine, violazione dell'art. 606 c.p.p. in relazione all'art. 240, primo comma, c.p., in riferimento alla confisca di taluni beni.

In altro atto di ricorso, rassegnato, sempre, nell'interesse di Petrella Carlo, viene dedotto, come primo motivo, vizio di motivazione in quanto, ad avviso del ricorrente, entrambe le sentenze di merito avrebbero sottaciuto i profili inerenti «l'elemento psichico della condotta agente», fornito solo un vago accenno in ordine al presunto stato di bisogno, nonché omesso di esaminare il contenuto della volontà di trarre profitto dalla particolare situazione dello stato di bisogno, delineandosi, al riguardo, anche aspetti di travisamento del fatto. Si prospetta, poi, insussistenza dei presupposti per ritenere integrata la contestata fattispecie delittuosa, giacché l'imputato potrebbe essere chiamato a rispondere di minacce, di estorsione oppure di favoreggiamento personale o reale, ma non di usura, in quanto nei momenti centrali in cui si sarebbe realizzato l'asserito approfittamento dello stato di bisogno o della asserita limitazione della libertà di scelta, l'imputato non avrebbe svolto alcun ruolo attivo. Viene poi dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato di cui all'art. 132 del D.L.vo n. 385 del 1993, giacché - osserva il ricorrente - con riferimento agli episodi contestati non potrebbe parlarsi di svolgimento abusivo della attività creditizia, e si lamenta violazione dell'art. 62 bis c.p., in riferimento ai criteri in forza dei quali i giudici del merito hanno negato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Nel quarto motivo si denuncia violazione dell'art. 81 c.p., in quanto, da un lato, sarebbe stato erroneamente individuato il reato più grave, e, dall'altro, si sarebbe operato un aumento di pena frazionato per ciascun reato satellite, pervenendo, all'esito, ad un aumento globale superiore al triplo di pena previsto dall'art. 81 c.p. Si censurano, poi, i parametri di determinazione del trattamento sanzionatorio e viene prospettata, come ultimo motivo, la violazione dell'art. 330 del codice di rito, in quanto sarebbe stata promossa l'azione penale nei confronti del Petrella Carlo «in assenza della presentazione di una denuncia da parte di Gentile Gregorio con riferimento alla imputazione di cui al capo B) della rubrica».

Nel ricorso proposto nell'interesse di Petrella Pasquale si lamenta, come primo motivo, la violazione degli artt. 544 ss. c.p.p., in quanto, essendo stata la sentenza impugnata redatta «a mano da una grafia incomprensibile», la stessa ri-Page 834sulterebbe di difficile lettura, così da rendere «estremamente disagevole ricostruire l'iter logico seguito dall'estensore del percorso motivazionale». Viene dedotta, poi, carenza di motivazione in relazione alla richiesta di declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione e si lamenta vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento ai delitti di cui agli artt. 644 e 644 bis c.p. Si osserva, in particolare, che l'affermazione della penale responsabilità del Petrella si sarebbe fondata esclusivamente sulla base di dichiarazioni rese da soggetti la cui attendibilità, essendo portatori di contrapposti interessi economici, avrebbe abbisognato - come gli stessi giudici a quibus hanno sottolineato - la sottoposizione ad «un vaglio attento e rigoroso», al contrario non operato. Conseguentemente verrebbe meno, con riferimento ai singoli episodi e alle diverse parti offese, i presupposti probatori per ritenere integrati gli elementi dello stato di bisogno, della conoscenza di tale stato da parte dell'imputato e della pattuizione di interessi usurari. In ordine, poi, alle contestazioni relative quantomeno ad una parte degli episodi oggetto di imputazione, dovrebbe essere dichiarata la intervenuta prescrizione dei reati, essendo decorsi più di sette anni e mezzo dalla commissione degli stessi. Vizio di motivazione e carenza dei relativi presupposti si denunciano anche in riferimento alla violazione dell'art. 132 del D.L.vo n. 385 del 1993 e si lamenta violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. in riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche, nonché violazione degli artt. 81 e 133 c.p., in merito ai criteri di determinazione del trattamento sanzionatorio. Si censura, poi, la mancata revoca della confisca di un immobile intestato a Petrella Carlo, e si lamenta, infine, vizio di motivazione e violazione dell'art. 12 sexies del D.L. n. 306 del 1992, dovendosi escludere, ad avviso del ricorrente, che i beni dei quali è stata disposta la confisca fossero il prezzo o il profitto del reato.

Con memoria depositata in prossimità della udienza, il dfiensore delle parti civili ha chiesto dichiararsi la inammissibilità, ovvero, in subordine, la infondatezza dei ricorsi proposti nell'interesse degli imputati.

Nel corso della udienza, verificata la costituzione delle parti e la regolarità degli avvisi, la difesa degli imputati ha formulato, in via preliminare, richiesta di sospensione del dibattimento a norma dell'art. 5, comma 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134: richiesta in ordine alla quale il procuratore generale ha sollecitato, in via principale, una declaratoria di rigetto e in via subordinata la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte per la soluzione della questione di diritto pregiudizialmente devoluta a questo collegio, inerente alla applicabilità o meno, nel giudizio di cassazione, della disciplina dettata dal richiamato art. 5 della legge n. 134 del 2003.

La disamina di tale questione assume, evidentemente, risalto preliminare, giacché ove si dovesse ritenere - come questo collegio ritiene - il tema controverso alla luce delle già intervenute pronunce di questa Corte, e non accoglibile de plano l'istanza difensiva, ne deriverebbe, eo ipso, la necessità di investire le Sezioni Unite per la soluzione del contrasto, come d'altra parte sollecitato in via gradata dal rappresentante della procura generale della Repubblica presso questa Corte. Giova infatti sottolineare, al riguardo, che questa stessa sezione, nella udienza del 1º luglio 2003, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di sospensione del dibattimento avanzata da alcuni ricorrenti in base alla recente normativa dianzi citata (Zizzani Eros nell'ambito del procedimento n. 4023/2003 nonché Bini e Lo...

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