Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine309-341

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 20 gennaio 2004, n. 962 (ud. 17 dicembre 2003). Pres. Marvulli - Est. Carmenini - P.M. Siniscalchi (conf.)Ric. Huang ed altri.

Sequestro di persona - A scopo di estorsione - Configurabilità - Privazione della libertà personale altrui al fine dell'adempimento di un'obbligazione originata da un rapporto illecito - Concorso di sequestro di persona e di estorsione - Configurabilità - Esclusione.

La condotta criminosa consistente nella privazione della libertà di una persona finalizzata a conseguire come prezzo della liberazione una prestazione patrimoniale, pretesa in esecuzione di un precedente rapporto illecito, integra il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all'art. 630 c.p. e non il concorso del delitto di sequestro di persona (art. 605) con quello di estorsione, consumata o tentata (artt. 629 e 56 stesso codice). (C.p., art. 56; c.p., art. 605; c.p., art. 629; c.p., art. 630) (1).

    (1) La questione sottoposta all'attenzione delle sezioni unite, che non ha ricevuto qualificazione giuridica univoca, è quella della qualificabilità come sequestro di persona a scopo di estorsione, anziché come sequestro di persona semplice accompagnato da estorsione (consumata o tentata), della condotta consistente nel privare qualcuno della libertà personale al fine di ottenere, come prezzo della liberazione, l'adempimento di una precedente obbligazione, che tragga origine da un rapporto illecito. Nel senso della massima in epigrafe, si veda, come unico precedente, Cass. pen., sez. VI, 9 maggio 1997, Branco, in questa Rivista 1997, 726. Contra, si vedano invece Cass. pen., sez. II, 30 novembre 2000, Lu Hai, ivi 2001, 600 e Cass. pen., sez. VI, 28 febbraio 2000, n. 321, ivi 2000, 752 secondo cui non è configurabile il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.) quando il sequestro e il profitto siano direttamente ricollegabili a una causa preesistente, ancorché illecita, come nel caso di rapimento e di sottoposizione a violenze di una persona da parte dei correi nel reato di illecita importazione di sostanze stupefacenti in Italia, i quali sequestrino l'ostaggio intendendo conoscere il luogo ove la vittima del sequestro abbia nascosto la sostanza, o in caso di intervenuta vendita, ottenere il suo controvalore. In tal caso, lo scopo degli agenti non è quello di conseguire il denaro quale prezzo della liberazione dell'ostaggio, di modo che ricorrono gli estremi dei reati di sequestro di persona e di tentata estorsione (artt. 605 e 56-628 c.p.). Alla corretta qualificazione giuridica può pervenire anche il tribunale nell'ambito del procedimento di riesame, fermo restando che la nuova qualificazione non ha effetto oltre il procedimento incidentale.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con sentenza in data 10 maggio 2001, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Bologna, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava Huang Yunwen, Wang Kai, Zhu Baiqun e Lu Xiao Jun colpevoli dei reati loro ascritti e li condannava alla pena di 12 anni di reclusione e lire 10 milioni di multa ciascuno, concesse a tutti le attenuanti generiche, con la continuazione tra i reati e con la riduzione per il rito abbreviato; applicava pene accessorie.

Si tratta di episodi qualificati come sequestro di persona a scopo di estorsione di vari clandestini cinesi e di reati attinenti all'agevolazione del loro ingresso in Italia.

La Lu Xiao Jun era stata ritenuta colpevole anche del reato di cui all'art. 416, comma 2, c.p., quale mera partecipe di un'associazione per delinquere finalizzata all'immigrazione illegale in Italia ed ai sequestri di persona in danno di cittadini stranieri.

In particolare, il Capo 1 di imputazione (artt. 110, 630 c.p.), contestato a Huang Yunwen e a Lu Xiao Jun, attiene al sequestro a scopo di estorsione di nove clandestini cinesi («acquistati» dall'organizzazione di tale Loncaric operante in Slovenia), per i quali fu pagata la somma di lire 27 milioni ciascuno per la loro liberazione (fatto avvenuto in luogo imprecisato del Friuli-Venezia Giulia nel novembre del 1999).

Il Capo 5 (o Capo 4; artt. 110, 630 c.p.) contestato a Wang Kai, Zhu Baiqun e a Lu Xiao Jun, attiene a fatti analoghi e sostanzialmente coevi a quelli di cui ai capi che precedono, in danno di almeno quattro cittadini cinesi, sempre ceduti dal Loncaric, e rilasciati dietro il pagamento di 74.800 franchi francesi.

Il Capo 3 (art. 416 c.p.), contestato a Lu Xiao Jun, attiene alla partecipazione della medesima all'associazione per delinquere facente capo a tali Xu Bailing e Xiang Jiaobo, giudicati separatamente, finalizzata alla immigrazione illegale in Italia ed ai sequestri di persona in danno di cittadini stranieri (in luogo indeterminato, dal 1998 al 2000).

Il Capo 20 (artt. 110, 630 c.p.), contestato a Lu Xiao Jun, attiene ad un altro episodio di sequestro a scopo di estorsione di sei clandestini cinesi (sempre «acquistati» dall'organizzazione del Loncaric), per i quali fu pagata la somma di lire 26 milioni ciascuno per la loro liberazione (fatto avvenuto in Trieste e Bologna il 21 ottobre 1999).

Altri capi d'imputazione attengono a violazioni dell'art. 10 L. n. 40 del 1998 (agevolazione dell'ingresso dei clandestini in Italia).

A seguito di gravame degli imputati, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della decisione di primo grado, qualificava i fatti - che il Gup aveva inquadrato nell'art. 630 c.p. - come sequestri di persona ed estorsioni (o, in un caso, tentata estorsione) ai sensi degli artt. 605 e 629 cpv. (o 56, 629 cpv.) c.p.; concedeva a tutti gli imputati le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti, riuniva tutti i reati sotto il vincolo della continuazione, teneva conto della riduzione di un terzo per la scelta del rito; rideterminava le pene, riducendole; confermava nel resto la sentenza impugnata.

La corte di merito sottolineava che le prove poste a fondamento del giudizio di colpevolezza erano costituite dalle dichiarazioni di tre parti lese, dagli arresti in flagranza e da numerose conversazioni telefoniche intercettate su trePage 310 utenze; metteva in evidenza che il Gup aveva, in estrema sintesi, così ricostruito gli episodi:

Si è accertato che i flussi migratori più cospicui sono caratterizzati dal fatto che il pagamento non avviene in anticipo, ma solo al termine del viaggio, rigidamente organizzato e pianificato. L'organizzazione cinese che ha preso accordi per il viaggio con gli interessati e ha stabilito il prezzo complessivo, fa arrivare i clandestini in paesi dell'Est europeo. Qui altra organizzazione, in genere slovena, li prende in carico e li porta in Italia, continuando il trasporto fino ai luoghi - spesso Mestre e Padova - nei quali avviene la consegna agli emissari dell'organizzazione etnica (in questo caso, cinese) che glieli aveva affidati. Quest'ultima organizzazione «trattiene» il clandestino, talora con modalità violente (ci sono stati circa 15 arresti per sequestro a scopo di estorsione), e si mette in contatto con i parenti (oppure con i padroni, vale a dire coloro che lo hanno «ordinato»), ai quali consegna la persona solo contestualmente al pagamento del prezzo del viaggio.

Le organizzazioni etniche gestiscono l'intero viaggio dal Paese di origine fino alla destinazione finale europea e si servono, come per una sorta di subappalto, delle organizzazioni locali slovene e croate per il tratto più critico, compreso l'ingresso in Italia.

Dopo avere chiarito che la ricostruzione dei fatti operata dal Gup è precisa e corretta, la Corte territoriale rileva come emerga chiaramente la continuità che lega le varie fasi del viaggio dei clandestini. Da questo assunto fa discendere che gli extracomunitari furono sequestrati per ottenere un profitto illecito, perché consistente nel corrispettivo di un'attività vietata dalla legge, quale l'agevolazione del loro ingresso clandestino in Italia, ma rileva che il sequestro avviene non con la finalità diretta della liberazione della persona, bensì in forza di una causa preesistente, sia pure illecita; segue, quindi, quell'indirizzo giurisprudenziale - di cui si dirà nella parte motiva - secondo cui in simili casi non si verserebbe nell'ipotesi delittuosa complessa delineata dall'art. 630 c.p., bensì nei due reati semplici previsti dagli artt. 605 e 629 (o 56 e 629) c.p.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i predetti imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, e il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna.

I motivi di ricorso avanzati in favore degli imputati possono essere raggruppati in due filoni tematici; il primo (proposto dall'avv. Montanari per la Lu Xiao, anche con motivi nuovi) riguarda un'asserita inutilizzabilità di alcune prove, il secondo (proposto da tutti i difensori) questioni attinenti al giudizio di comparazione tra circostanze ed all'aumento di pena per la continuazione.

In particolare si deduce:

1) l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, posto che la motivazione del decreto autorizzativo si risolve in un mero rinvio acritico alle note investigative della polizia giudiziaria, che erano comunque prive di qualsiasi struttura motivazionale;

2 a) la violazione della legge processuale (art. 597, commi 1 e 2, c.p.p.), poiché il giudice di appello ha ritenuto le attenuanti generiche equivalenti alle riconosciute aggravanti, esorbitando dalla sfera devolutiva dell'impugnazione e mutando in pejus il giudizio di valenza del primo giudice, il quale - pur non dichiarando espressamente la prevalenza delle attenuanti rispetto all'aggravante del numero delle persone ex art. 112 comma 1 c.p. (non formalmente enunciata ma di fatto contestata) - aveva comunque ridotto di un terzo la pena base per il reato di cui all'art. 630 c.p.;

2 b) la violazione della legge processuale (art. 597, commi 3 e 4, c.p.p.) e il vizio di motivazione in punto di aumento della pena per la...

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