Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 27 maggio 2004, n. 24246 (ud. 25 febbraio 2004). Pres. Marvulli - Est. De Roberto - P.M. Palombarini (conf.) - Ric. Chiasserini.

Azione penale - Querela - Remissione - Successiva alla proposizione di ricorso inammissibile - Estinzione del reato - Sussistenza - Condizioni.

La remissione di querela, intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e ritualmente accettata, determina l'estinzione del reato che prevale su eventuali cause di inammissibilità e va rilevata e dichiarata dal giudice di legittimità, purché il ricorso sia stato tempestivamente proposto. (C.p.p., art. 585; c.p.p., art. 129) (1).

    (1) Sostanzialmente nel medesimo senso espresso dalla massima della sentenza de qua, si vedano Cass. pen., sez. V, 31 maggio 2002, Malfatto, in questa Rivista 2003, 168; Cass. pen., sez. V, 14 maggio 2002, Bartelloni, ivi 2002, 452.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Con sentenza 12 giugno 2001 il Tribunale di Perugia affermava la penale responsabilità di Maurizio Chiasserini in ordine al delitto di cui all'art. 641 cp., perché, dissimulando il proprio stato di insolvenza, acquistava presso i Grandi Magazzini Pesciarelli Srl merce per lire 12.689.000, convenendo il pagamento a mezzo ricevute bancarie e così contraendo una obbligazione con lo scopo di non adempierla: in Magione, dall'agosto al novembre 1996.

Rilevava il tribunale che il Chiasserini si presentò una prima volta ai Grandi Magazzini nell'agosto 1996 ed acquistò oggetti di vario genere convenendo il pagamento a mezzo di ricevuta bancaria con scadenza a sessanta giorni dall'emissione delle relative fatture; tornò poi altre volte presso l'esercizio commerciale, quando le ricevute bancarie non erano ancora scadute, sempre per acquistare merce, alle medesime condizioni. Le ricevute bancarie erano rimaste tutte insolute e, avviati i necessari accertamenti al fine di rintracciare il Chiasserini, il venditore si avvide che presso quella che era stata indicata come la sua residenza ed ove la merce era stata consegnata, l'imputato era assente da tempo; fu, poi, impossibile rintracciarlo in altro luogo.

Secondo il tribunale, dunque, l'imputato, nell'arco di tre mesi, ottenne la consegna dei materiali, contraendo le obbligazioni col dissimulare il proprio stato di insolvenza «rivelatosi agli occhi del creditore solo in un secondo tempo». Il Chiasserini non si limitò a comportarsi come un normale cliente ma, al fine di assicurarsi la fiducia dell'alienante, dichiarò di essere stato in contatto con un rappresentante della società, tale Carlani; una circostanza subito smentita dallo sesso Carlani, il quale aveva affermato di non conoscere il Chiasserini. La condotta rilevante ai sensi dell'art. 641 c.p. veniva, pertanto, individuata nel «pur semplice riferimento al contatto pregresso con il rappresentante da parte di un soggetto che dichiara di vivere ed operare in zona limitrofa a quella dell'esercizio commerciale».

  1. - Contro la detta sentenza ha proposto appello il Chiasserini contestando l'esistenza di un comportamento qualificabile come dissimulazione dello stato di insolvenza. Denuncia, inoltre, l'omesso esame del teste Carlani, l'assenza dell'elemento soggettivo - esaurendosi la vicenda in esame in un mero inadempimento contrattuale - e la misura della pena inflitta.

  2. - La Corte di appello di Perugia, con sentenza dell'11 febbraio 2003, confermava la decisione impugnata.

    Osservava, più in particolare, la corte territoriale che la vicenda era stata rigorosamente descritta dalla persona offesa, le cui dichiarazioni hanno trovato puntuale conferma nei riscontri documentali. L'elemento soggettivo risulterebbe dalle modalità di acquisto del materiale, dall'inesistenza di ogni attività produttiva svolta dal Chiasserini, dalla sua scomparsa subito dopo la scadenza dell'obbligazione.

  3. - Ricorre per cassazione il Chiasserini denunciando mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonché violazione dell'art. 641 c.p.

    Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui si sarebbe omesso di indicare i presupposti da cui avrebbe ricavato la dissimulazione dello stato di insolvenza, senza in alcun modo argomentare da quali elementi l'acquisto della merce sia avvenuto con il preciso intento di non pagarla ed, in più, l'effettivo momento in cui si è venuto a determinare lo stato di insolvenza del Chiasserini; uno stato - si assume - intervenuto solo successivamente all'instaurazione del rapporto obbligatorio; tale punto non sarebbe stato esaminato dal giudice a quo il quale avrebbe motivato il suo convincimento sulla base di mere presunzioni; ci si duole, ancora, dell'omesso esame del teste Carlani.

    Si denunciano, infine, sia la sentenza di primo grado sia la sentenza di appello nella parte in cui hanno considerato tempestiva la querela presentata dalla persona offesa solo il 19 aprile 1997, dovendosi comunque il reato ritenersi consumato alla data di scadenza della prima ricevuta bancaria.

  4. - La seconda sezione penale di questa Corte, rilevata la tempestività della querela e la natura di censura in fatto dell'altro motivo, constatato che il giorno stesso dell'udienza la persona offesa aveva rimesso la querela e che la remissione era stata accettata dal ricorrente ha, con ordinanza 11 novembre 2003, trasmesso il ricorso alle Sezioni Unite, per la soluzione della questione, «controversa nella giurisprudenza di legittimità», incentrata sul seguente quesito: se l'estinzione del reato per intervenuta remissione della querela possa essere dichiarata, quando l'impugnazione sia - come nel caso di specie - «originariamente inammissibile».

    MOTIVI DELLA DECISIONE. 6. - Le Sezioni Unite sono ora chiamate a decidere se, in presenza di doglianze da ritenere inammissibili possa, ove intervenga, dopo la proposiPage 388zione del ricorso, un atto di remissione della querela, essere dichiarata l'estinzione del reato per tale causa ovvero se l'invalidità dell'atto di impugnazione precluda l'applicazione dell'art. 129 c.p.p. risultando comunque preliminare l'operatività del precetto di cui al combinato disposto degli artt. 591 e 606, comma 3, c.p.p.

  5. - Va, anzi tutto, rilevato come la delibazione incidentale della sezione rimettente quanto alla inammissibilità dell'impugnazione deve essere decisamente condivisa, attesa la manifesta infondatezza e la natura di censure non consentite delle doglianze proposte.

    Manifestamente prive di fondamento sono, infatti, da qualificare le denunce incentrate sulla tardività della querela e sulla omessa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, in quanto, l'una in diretto contrasto con il precetto dell'art. 124 c.p., l'altra per trascurare la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di rinnovazione del dibattimento di appello; non consentito è l'addebito relativo (non è chiaro, peraltro, se esso concerna una violazione della legge sostanziale ovvero il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione) all'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato per cui è intervenuta condanna. Appare ictu oculi evidente come, con la sua proposizione, il ricorrente abbia di mira la richiesta di una rivalutazione dei fatti e delle prove non consentita in sede di legittimità.

  6. - Tanto premesso, osserva questa Corte che il quesito concernente la possibilità di dichiarare, nel giudizio di cassazione, l'estinzione del reato per intervenuta emissione della querela era già stato sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite che, peraltro, non affrontarono la questione stessa, dovendo, a norma dell'art. 568, comma 5, c.p.p., l'impugnazione essere qualificata come appello (Sez. Un., 26 giugno 2002, Del Re).

    L'ordinanza di rimessione si limita ora a sottoporre al vaglio del collegio il medesimo quesito interpretativo, rimarcando come la sua soluzione sia da qualificare «controversa nella giurisprudenza di legittimità», col richiamare il precedente provvedimento rimessivo che, appunto, non aveva risolto il «contrasto interpretativo» in conseguenza dell'improprio accesso alla Corte di cassazione delle censure sollevate.

  7. - Rileva, in primo luogo, il collegio che, nonostante la problematica incentrata sui rapporti tra inammissibilità della impugnazione e applicazione delle cause di non punibilità sia stato oggetto di variegate e contrastanti scelte ermeneutiche ripetutamente - come si avrà occasione di precisare tra poco - sottoposte allo scrutinio di queste Sezioni Unite, l'incipit di un deciso approfondimento della specifica tematica è, invece, piuttosto recente per l'innestarsi, oltre tutto, almeno in origine, nella complementare questione concernente le attribuzioni conferite alla settima sezione penale, la sezione competente, ai sensi degli artt. 610 c.p.p. e 169 bis delle norme di attuazione dello stesso codice, quali introdotti dall'art. 6 della legge 26 marzo 2000, n. 128, per la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi per cassazione. Per la verità, il primo decisum in subiecta materia, data per implicita l'attribuzione di poteri demolitori alla «apposita sezione» di cui al «riformato» art. 610, comma 1, c.p.p. ritenne che, costituendo la remissione della querela una particolare ipotesi di estinzione del reato, che deroga alla disciplina ordinaria delle cause estintive, essendo essa «possibile sino alla pronuncia della sentenza irrevocabile di condanna», l'applicazione dell'art. 129 c.p.p. non restasse preclusa, nonostante l'inammissibilità del ricorso per cassazione, a meno che l'inammissibilità dell'impugnazione non derivasse dalla tardività dell'impugnazione stessa (sez. VII, 16 ottobre 2001, Reali). Solo successivamente, si è detto, si posero in discussione i poteri conferiti alla settima sezione secondo una prospettazione coordinata e subordinata alla soluzione dei rapporti tra inammissibilità del ricorso e remissione della querela quale specifica causa estintiva solo in parte riconducibile al precetto dell'art. 129 c.p.p. (cfr., in proposito, la già ricordata, Sez. Un., 26...

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