Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 20 luglio 2004, n. 31524 (c.c. 14 luglio 2004). Pres. Marvulli - Est. Ferrua - P.M. Siniscalchi (conf.) - Ric. Litteri.

Misure cautelari personali - Estinzione - Termini di durata massima della custodia cautelare - Questione posta nella fase di cognizione - Sopravvenuta condanna irrevocabile - Persistente rilevanza della questioneEsclusione.

La questione, posta nella fase di cognizione, circa la scadenza dei termini di durata massima della custodia in carcere (nella specie, dapprima in sede di appello cautelare e successivamente in cassazione) perde rilevanza quando diviene irrevocabile la sentenza di condanna a pena detentiva superiore al presofferto perché la definitività dell'accertamento del merito, aprendo la fase esecutiva del processo, esclude la possibilità della rimessione in libertà. Ne consegue che, qualora sia pendente impugnazione cautelare, dovendo persistere l'interesse alla sua definizione fino al momento della decisione, l'impugnazione stessa è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. (C.p.p., art. 303; c.p.p., art. 568) (1).

    (1) Conforme, sul punto, Cass. pen. sez. I, 22 marzo 1999, Cuntrera G. ed altro, in questa Rivista, 2000, 433.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECI-SIONE. - Con sentenza 6 aprile 2002 il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Catania, a seguito di giudizio abbreviato, condannava Litteri Massimiliano (al momento in stato di libertà, essendo stato revocato un precedente titolo custodiale a suo carico) alla pena di anni nove di reclusione per i reati previsti dagli artt. 73, 74 D.P.R. n. 309/90; con ordinanza 19 aprile 2002 applicava nuovamente al medesimo la misura della custodia cautelare in carcere.

La Corte di appello di Catania, con provvedimento 28 aprile 2003, rigettava l'istanza dell'imputato diretta ad ottenere la propria scarcerazione per decorrenza del termine di cui all'art. 303, comma 1, lett. c., n. 2 c.p.p.: l'appello proposto dal Litteri veniva, a sua volta, respinto dal Tribunale di Catania con pronuncia 31 luglio 2003.

Detto giudice rilevava che correttamente la Corte territoriale aveva escluso che si fosse verificata la decorrenza de qua perché la stessa era stata sospesa in pendenza del termine, indicato in 90 giorni, per il deposito della motivazione ai sensi dell'art. 304, comma 1, lett. c. 3 544 c. 3 c.p.p.: in particolare segnalava che la relativa ordinanza, adottata al momento della pronuncia della sentenza, operava automaticamente nei confronti di tutti gli imputati, anche di quelli che al momento della sua emissione erano liberi o latitanti.

La riportata decisione è stata ora impugnata con ricorso per cassazione dal Litteri il quale ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione, censurando l'impostazione ivi adottata e precipuamente assumendo che la sospensione dei termini disposta mentre egli era ancora libero non poteva valere nei suoi confronti e che a tal fine sarebbe stato necessario un apposito successivo provvedimento.

Il ricorso veniva assegnato alla quarta sezione penale ed il collegio - considerata l'esistenza di contrasto nell'ambito della giurisprudenza di legittimità sulla questione sollevata nell'unico dedotto motivo - lo rimetteva ex art. 618 c.p.p. alle Sezioni Unite. Assorbenti sono le seguenti considerazioni.

In data 5 marzo 2004 nell'ambito del procedimento principale è stata emessa dalla Corte di appello sentenza di condanna del Litteri ad anni 6, mesi 4 e giorni 15 di reclusione, divenuta irrevocabile il 20 aprile 2004 (si veda la comunicazione e la relativa trasmissione operata dalla Cancelleria della prima sez. pen. della Corte di appello di Catania nonché l'informativa del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria).

Nella delineata situazione è venuto meno l'interesse dell'imputato al ricorso.

Infatti, in tema di impugnazione di provvedimenti cautelari, la questione posta nella fase di cognizione circa la scadenza dei termini massimi, perde rilevanza quando interviene una sentenza definitiva di condanna a pena superiore al presofferto perché la definitività dell'accertamento del merito, aprendo la fase esecutiva del processo, esclude la possibilità della rimessione in libertà (Cass., 22 marzo 1999, n. 311 [RV212873]): di conseguenza, poiché l'interesse all'impugnazione deve sussistere, non solo al momento della sua proposizione ma altresì al momento della decisione, s'impone declaratoria di inammissibilità del gravame per sopravvenuta carenza di interesse.

D'altro canto va ribadito che, nell'ipotesi in cui l'interesse alla pronuncia sul ricorso per cassazione viene a mancare in un momento successivo alla presentazione dello stesso, alla declaratoria di inammissibilità non consegue né la condanna del ricorrente alle spese del procedimento né al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende e ciò per l'assenza di una sostanziale soccombenza del ricorrente. (Cass., sez. un., 6 dicembre 1996, n. 20 [RV206168]; Cass., sez. un., 18 luglio 1997, n. 7 [RV208166]). (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 16 luglio 2004, n. 31297 (c.c. 28 aprile 2004). Pres. Marvulli - Est. Fazzioli - P.M. Esposito (diff.) - Ric. Terkuci.

Rapporti giurisdizionali con autorità straniere in materia penale - Estradizione - Procedimento - Misure cautelari - Impugnazione - Ricorso impropriamente proposto come appello da difensore non cassazionistaQualificazione come ricorso e trasmissione degli atti alla Corte di cassazione - Ammissibilità - Esclusione. Page 500

È inammissibile il ricorso per cassazione avverso provvedimento relativo a misure cautelari previste ai fini dell'estradizione per l'estero, allorché esso sia stato proposto come appello ai sensi dell'art. 310 c.p.p. esclusivamente da difensore non iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione e il giudice adito l'abbia correttamente qualificato, disponendo la trasmissione degli atti al giudice di legittimità, in quanto il principio di conservazione del mezzo di impugnazione di cui all'art. 568, comma 5, stesso codice, non può in nessun caso consentire di derogare alle norme che formalmente e sostanzialmente regolano i diversi tipi di impugnazione. (C.p.p., art. 310; c.p.p., art. 568) (1).

    (1) Il principio si uniforma a quanto espresso dalla giurisprudenza di legittimità maggioritaria. Si veda, in fattispecie analoga, Cass. pen., sez. I, 9 luglio 1999, Annibaldi, in questa Rivista 2000, 97.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - In data 13 marzo 2003 la Corte d'appello di Bologna su richiesta del Ministro della giustizia disponeva ai sensi dell'art. 715 c.p.p. l'applicazione provvisoria della misura cautelare della custodia in carcere ai fini estradizionali nei confronti del cittadino albanese Terkuci Sajmir, che già si trovava sottoposto ad analoga misura per reati in materia di stupefacenti commessi in Italia con sentenza 8 aprile 2003 la stessa Corte esprimeva parere favorevole all'estradizione.

Con istanze del 12 e del 16 agosto 2003, presentate rispettivamente dal difensore e dall'estradando, il Terkuci, rilevato che per i reati commessi nel territorio della Repubblica italiana era stato rimesso in libertà il 30 maggio 2003 per decorrenza dei termini, chiedeva ai sensi dell'art. 708, comma 2, c.p.p. alla Corte d'appello di Bologna la revoca della misura cautelare con conseguente rimessione in libertà sul presupposto che il Ministro della giustizia non aveva deciso sulla richiesta di estradizione nel termine previsto dall'art. 708, comma 1, del codice.

La Corte territoriale con ordinanza del 18 agosto 2003 rigettava le istanze, rilevando che il Ministro della giustizia con decreto del 23 luglio 2003 aveva concesso l'estradizione, stabilendo che «qualora il Terkuci Sajmir sia ancora in stato di detenzione per la giustizia italiana o debba comunque essere giudicato in Italia è sospesa la sua consegna in estradizione alla Repubblica di Albania, che dovrà essere eseguita a soddisfatta giustizia italiana».

Contro la predetta decisione proponeva "appello", ai sensi dell'art. 310 c.p.p., davanti al Tribunale di Bologna il difensore del Terkuci, deducendo, sulla base di un indirizzo interpretativo di questa Corte, che «in tema di estradizione per l'estero, ove il Ministro della giustizia, per sua insindacabile scelta politica, sospenda l'esecuzione della estradizione, a norma dell'art. 709 c.p.p., la misura coercitiva a cui l'estradando è eventualmente sottoposto, va revocata».

Con ordinanza del 16 settembre 2003 il Tribunale, rilevato che «in tema di misure cautelari previste ai fini della estradizione per l'estero ... contro le ordinanze che decidono sulla richiesta di revoca o di sostituzione delle misure adottate, non è proponibile il rimedio generale dell'appello ex art. 310 c.p.p., ma, in virtù di espressa deroga ad opera dell'art. 719 c.p.p., esclusivamente il ricorso per cassazione», qualificava l'impugnazione come ricorso, disponendo la trasmissione degli atti a questa Corte per la decisione. La Sesta Sezione penale, con ordinanza del 15 gennaio 2004, dato atto che l'oggetto della decisione consisteva nello stabilire se la custodia cautelare a fini estradizionali, in assenza di specifica disposizione di legge debba protrarsi senza termine finale prestabilito in conseguenza della decisione del Ministro della giustizia di rinviare la consegna allo Stato albanese dell'estradando a soddisfatta giustizia italiana, ovvero se e quale termine finale debba ritenersi sussistente nella fattispecie, e che sul punto si era verificato un contrasto all'interno della stessa Sezione, rimetteva gli atti al Primo Presidente che investiva della questione le Sezioni Unite.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Va preliminarmente affermato che correttamente il Tribunale di Bologna ha convertito l'appello proposto dal difensore del Terkuci in ricorso per cassazione, essendo tale interpretazione conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr.: sez. VI, 11 febbraio 1998...

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