Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine283-305

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@CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. III, 25 gennaio 2002, n. 881. Pres. Nicastro - Est. Perconte Licatese - P.M. Golia (conf.) - Ciurleo ed altro (avv. Staffa) c. Norditalia Assicurazioni spa (avv. Spadafora)

Risarcimento del danno - Danno biologico - Risarcibilità - Condizioni - Lesione dell'integrità psicofisica in conseguenza delle sofferenze causate da detta perdita.

È configurabile un danno biologico risarcibile per gli stretti congiunti della persona deceduta per effetto dell'illecita condotta altrui, allorché le sofferenze causate a costoro da detta perdita abbiano determinato una lesione dell'integrità psicofisica degli stessi. (C.c., art. 1223; c.c., art. 1226; c.c., art. 2043; c.c., art. 2056; c.c., art. 2059) (1).

    (1) Sulla configurabilità del danno biologico risarcibile nell'ipotesi di cui in massima, v. Cass. civ. 25 febbraio 2000, n. 2134, in questa Rivista 2000, 756. V., inoltre, sulla trasmissibilità agli eredi della vittima del risarcimento del danno biologico in caso di morte del danneggiato, la storica sentenza Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372, ivi 1995, 145.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - L'8 ottobre 1988 Ciurleo Angelo, figlio diciassettenne di Illuminato e Artusa Maria Rosa, in seguito a un incidente automobilistico, riportava lesioni di tale entità che ne causavano il decesso, avvenuto durante il trasporto dal luogo del sinistro (Novate Milanese) a quello del tentato ricovero (Ospedale Niguarda di Milano).

Scarcella Pietro, conducente dell'auto che aveva investito il motociclo condotto dal Ciurleo, veniva assolto dall'imputazione di omicidio colposo perché il fatto non costituisce reato.

Il Tribunale di Milano, adito per il risarcimento dei danni dai familiari della vittima (i genitori, il fratello Francesco Antonio e la sorella Giuseppina), ritenuta l'applicabilità della presunzione di cui all'art. 2054 c.c., condannava i convenuti (lo Scarcella e la sua assicuratrice Norditalia) al solo rimborso delle spese funerarie, liquidate in lire 22.249.365, comprensive di rivalutazione ed interessi. Con la sentenza oggi impugnata, emessa il 29 gennaio 1999, la Corte di appello di Milano ha rigettato il gravame dei Ciurleo.

Per la cassazione di detta sentenza ricorrono Ciurleo Illuminato e Artusa M. Rosa, sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso la spa Levante Norditalia Assicurazioni (già Norditalia Assicurazioni). Non ha svolto difese lo Scarcella.

Le parti hanno depositato una memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Col primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 32 Cost., 2043, 2056 e 2059 c.c., anche in relazione all'art. 1226 c.c., nonché falsa applicazione delle norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.).

Lamentano la mancata liquidazione del danno biologico subito jure proprio in conseguenza della morte del figlio, dovuta all'unilaterale e incompleta valutazione dei documenti prodotti, tutti posteriori all'evento per cui è causa, di cui la Corte ha pretermesso la valutazione clinico medica, attestanti traumi psichici ormai permanenti; all'erroneo e immotivato rifiuto della prova testimoniale; al parimenti immotivato rifiuto, infine, di una consulenza medico legale.

Col secondo mezzo, denunciano la violazione dell'art. 115 c.p.c., anche in riferimento all'art. 112 c.p.c. (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), lamentano la mancata ammissione della prova testimoniale, intesa a dimostrare, anche a conferma delle certificazioni in atti, l'insorgere, successivamente all'evento luttuoso, delle patologie psicofisiche documentate.

Il giudice a quo, dopo aver statuito essere onere dei richiedenti il risarcimento del danno alla salute «dimostrare il verificarsi a loro carico di un vero e proprio danno psichico», non ha dedicato una sola parola alla valutazione della pertinenza (o meno) della prova testimoniale ritualmente richiesta; e poi, contraddittoriamente, ha rigettato la domanda per difetto di prova di quelle medesime circostanze che ne costituiscono l'oggetto.

In definitiva, ai ricorrenti è stato ingiustamente negato il diritto di provare di aver subito, a seguito della morte traumatica di un figlio diciassettenne, un processo patogeno originato dal turbamento dell'equilibrio psichico, degenerato in una vera e propria malattia della psiche.

Queste censure, che per le loro connessioni vanno esaminate in un unico contesto, sono fondate, nei sensi che saranno di qui a poco precisati.

La corte di merito, per rigettare il motivo di gravame col quale gli odierni ricorrenti si dolevano della mancata attribuzione del danno biologico jure proprio, non disconosce, in punto di diritto, come il danno alla salute patito dal congiunto di una persona uccisa a seguito di tale decesso sia «momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo e che, in persone predisposte da particolari condizioni, anziché esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato di angoscia transuente, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente, alle cui conseguenze, in termini di perdita di qualità personali, e non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, va allora commisurato il risarcimento».

Appare pertanto corretta, ad avviso del giudice di appello, «la decisione del primo giudice, incombendo a carico dei familiari del morto che tale risarcimento reclamino, l'onere - non assolto - di dimostrare il verificarsi, a loro carico, di un vero e proprio danno psichico».

Ed invero, «ai fini considerati», non «appare adeguata la documentazione prodotta in questa sede dagli appellanti, mancando la prova che quanto certificato sia in nesso eziologico con l'incidente de quo ed evidenziandosi, inoltre, ilPage 284 carattere esplorativo della richiesta consulenza tecnica d'ufficio».

E più avanti la Corte, condividendo l'opinione espressa conclusivamente al proposito dal giudice di prime cure, reputa tanto più necessaria la prova della «peculiarità della reazione di taluno degli attori in un caso, come quello di specie, in cui il nucleo familiare, per la presenza di due genitori ancora giovani e di altri due figli, è, di norma, ancora in grado di scambiarsi affettività e solidarietà per impedire che il lutto dia luogo ad uno stato di prostrazione tale da spegnere la voglia di vivere».

Ciò premesso, questa Corte Suprema ammette ormai senza contrasto (nel solco di Corte cost. 372/94) il risarcimento del danno alla salute a favore degli stretti congiunti della persona deceduta per effetto dell'illecita condotta altrui, allorché le sofferenze causate a costoro dalla perdita abbiano determinato una lesione dell'integrità psicofisica degli stessi; risarcimento che naturalmente potrà essere accordato solo se sia fornita la prova che il decesso ha inciso negativamente sulla salute dei congiunti, determinando una qualsiasi apprezzabile, permanente patologia (Cass. 2134/00; 10085/98).

Orbene, è di intuitiva evidenza che soltanto la scienza medica è in grado di offrire al giudice la certezza che una determinata patologia non solo esista, ma sia altresì in rapporto causale col trauma patito per la morte del congiunto; sia, in altri termini, conseguenza delle sofferenze indotte dall'evento luttuoso.

È principio ben noto, in quanto ripetutamente accolto dalla giurisprudenza di legittimità, che la consulenza tecnica, pur avendo, di regola, la funzione di fornire al giudice una valutazione relativa a fatti già acquisiti al processo, può legittimamente costituire, ex se, fonte oggettiva di prova, qualora si risolva non soltanto in uno strumento di valutazione, ma altresì di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche; così che, in tal caso, il giudice, il quale non dimostri, con motivazione adeguata, di aver potuto risolvere sulla base di corretti criteri tutti i problemi connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, non può respingere l'istanza di ammissione di una consulenza tecnica e ritenere nello stesso tempo non accertati i fatti che solo la consulenza tecnica avrebbe potuto accertare, senza violare la legge processuale e senza incorrere nel vizio di insufficienza e contraddittorietà della motivazione.

Proprio qui si annida il fondamentale vizio logico e giuridico della sentenza impugnata, la quale, pur non contestando le patologie psichiche lamentate dai genitori della vittima, come emergenti dai certificati medici, ne disconosce sbrigativamente la derivazione causale dalla morte del congiunto, che solo un'indagine scientifica (definita pertanto a torto, per quanto dinanzi detto, «esplorativa») avrebbe potuto accertare o escludere in termini di certezza; ricorrendo, quale argomento rafforzativo, ad incongrue considerazioni sulla composizione del nucleo familiare e su una sua presunta nonché astratta («di norma») idoneità ad assorbire, senza ripercussioni sulla salute, il trauma subito.

Non decisivo appare, viceversa, l'omesso esame della prova testimoniale, sui primi due capitoli come trascritti nella narrativa del ricorso (il terzo, il quarto e il quinto sono chiaramente estranei alla residua materia controversa), giacché, nessuno avendo messo in dubbio l'obiettivo contenuto della documentazione sanitaria, nulla di nuovo potrebbe aggiungere la deposizione dei testimoni a quanto già risulta dai certificati in parola.

Consegue da quanto esposto l'accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio ad altro giudice di pari grado, designato nel dispositivo, cui si demanda anche di provvedere sulle spese della fase di legittimità. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. IV, 16 gennaio 2002, n. 1604 (ud. 4 dicembre 2001). Pres. Lisciotto - Est. Brusco - P.M. Galati (conf.) - Ric. Bracci

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