Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine429-485

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 11 maggio 2005, n. 17706 (c.c. 22 marzo 2005). Pres. Marvulli - Est. Fiale - P.M. Siniscalchi (diff.)Ric. Petrarca ed altri.

Termini processuali in materia penale - Sospensione nel periodo feriale - Mancata operatività in procedimenti per reati di criminalità organizzata - Nozione di criminalità organizzata - Individuazione.

In tema di sospensione dei termini processuali in periodo feriale, il disposto del secondo comma dell'art. 2 della legge n. 742 del 1969, introdotto dall'art. 21 bis del D.L. n. 356/1992 e riprodotto dall'art. 240 disp. att. c.p.p., deve intendersi riferibile non solo ai reati di criminalità mafiosa ed assimilata e ai delitti associativi previsti da norme incriminatrici speciali, ma anche a qualsiasi tipo di «associazione per delinquere», ex art. 416 c.p., correlata alle attività criminose più diverse, con l'ovvia esclusione del mero concorso di persone nel reato (ove manca il requisito dell'organizzazione). (Mass. Redaz.). (L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 2; D.L. 7 agosto 1992, n. 356, art. 21 bis; c.p.p., art. 416) (1).

    (1) La pronuncia risulta conforme all'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità. Si veda, per tutte, Cass. pen., sez. un., 26 giugno 1996, Giammaria, in questa Rivista 1996, 576, con nota di precedenti giurisprudenziali, cui si rinvia.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il Giudice delle indagini preliminari di Napoli, con ordinanza del 30 luglio 2003, respingeva la richiesta di applicazione di misure cautelari formulata nei confronti di numerosi indagati per i reati di: associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di ricettazione, truffa e falso diretti all'approvvigionamento ed alla cessione, ad atleti, di farmaci ad azione dopante; ricettazione; truffa; falso; violazione della legge n. 376 del 2000 ed altro.

Avverso tale provvedimento di rigetto proponeva appello il Procuratore della Repubblica ed il Tribunale di Napoli - con ordinanza del 7 aprile del 2004 - accoglieva parzialmente l'impugnazione, precisando che, per i reati di falso continuato, la misura veniva emessa solo in relazione a quello di cui all'art. 468 c.p., e che veniva ritenuta l'ipotesi di tentativo di truffa aggravata ex artt. 56, 640 cpv. c.p. per i reati di cui ai capi E, F, H, L, N, O, P, P1 e Z.

Il tribunale disponeva conseguentemente (tra l'altro):

1) l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Barbato Biagio, Barberis Davide, Duranti Massimo, Lenzi Pasquale, Petrarca Amedeo, De Maria Valter, Sabatino Massimo, Lombardi Umberto per tutti i reati loro rispettivamente ascritti, nonché nei confronti di Messina Assunta, in ordine ai reati di associazione per delinquere, commercio di farmaci e sostanze dopanti, ricettazione, contraffazione di strumenti destinati a pubblica certificazione, e di Pignatelli Attilio, in ordine a reati di associazione per delinquere, commercio di farmaci e sostanze dopanti, ricettazione;

2) l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, con il divieto di comunicare con persone diverse da quelle costituenti il nucleo familiare convivente, nei confronti di Avenali Patrick, Carabellese Giulio, Catapano Gianluca, Gallotta Teodosio, Sorrentino Giovanni, Falcocchio Grazia, De Micco Rita e De Vincenzo Federico per tutti i reati loro rispettivamente ascritti, nonché formalmente (essendo la stessa destinataria della misura più grave di cui al punto che precede per i reati in essa specificati) di Messina Assunta in ordine a reati di tentativo di truffa aggravata;

3) l'applicazione della misura dell'obbligo di presentazione tre volte a settimana - i giorni dispari dalle ore 18,00 alle ore 19,00 - alla Stazione dei Carabinieri territorialmente competente in relazione al rispettivo domicilio a Cioffi Giovanni, Davino Giulio, Dente Franco Luigi, Grassi Alessandro, Iorio Massimo, Mazzotta Francesco, Pinto Aristide, Quadro Nunzio, Oppio Anna, Palumbo Carmela, Masecchia Mario e Maddaluno Antonella in ordine a tutti i reati loro rispettivamente ascritti;

4) l'applicazione a Vairo Antonio della misura della sospensione dall'attività di farmacista - in ordine ai reati di truffa aggravata e ricettazione - per mesi due a far data dall'esecuzione dell'ordinanza.

Il tribunale premetteva che i fatti posti a fondamento del procedimento incidentale hanno tratto origine da una vasta ed articolata attività di indagine dalla quale sarebbe emersa l'esistenza di una composita e ramificata struttura organizzativa, con propaggini in tutto il territorio nazionale, finalizzata all'approvvigionamento ed alla successiva vendita, al dettaglio o ad altri grossisti, di specialità medicinali ad azione anabolizzante, impropriamente utilizzate da atleti per l'accrescimento della massa muscolare o, comunque, per incidere sulle funzioni dell'organismo e potenziarne le prestazioni.

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Le indagini avevano permesso di accertare la sussistenza di due distinti canali di approvvigionamento dei farmaci: da un lato, infatti, era emersa l'acquisizione di farmaci, a base di ormoni, di provenienza estera; dall'altro - filone, questo, risultato di gran lunga prevalente - si erano acquisite evidenze in ordine alla ricettazione di un rilevantissimo numero di ricette mediche rubate in bianco ai danni di varie Aziende sanitarie locali o di medici di base, nonché in merito alla successiva «contraffazione dei timbri dei predetti sanitari, dei quali veniva falsificata anche la firma, la redazione di false prescrizioni mediche, supportate da altrettanto falsi piani terapeutici, e la loro spedizione presso varie farmacie per ottenere specialità farmaceutiche ad alto costo, impropriamente utilizzate da atleti come sostanze anabolizzanti, con conseguente truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale».

Al riguardo, puntualizzava, infatti, il tribunale, che tali specialità medicinali, aventi quale principio attivo la somatotropina, destinata al trattamento di soggetti affetti da deficit strutturale, sono diffuse in commercio con varie denominazioni farmaceutiche e sono incluse tra quelle di cosiddetta fascia «A», ossia a totale carico del Servizio sanitario nazionale; la relativa prescrizione è subordinata ad accertamenti clinici da parte di centri medici appositamente individuati, i quali, oltre ad effettuare la diagnosi, formulano un piano terapeutico per il singolo paziente che deve a sua volta essere inserito in un apposito registro, per scopi di sorveglianza epidemiologica e di ricerca. Donde i corrispondenti addebiti per truffa in danno del Servizio sanitario nazionale, proprio attraverso i falsi di cui si è detto.

Il G.I.P., nel motivare il provvedimento reiettivo, aveva ritenuto che:

a) la nozione di «commercio», di cui all'art. 9 della legge 14 dicembre 2000, n. 376, fosse quella riferibile esclusivamente ad un'attività duratura, di tipo professionale, di compravendita di prodotti dopanti con finalità di lucro. Ciò lo aveva indotto ad escludere dall'ambito di operatività della norma e della relativa previsione sanzionatoria sia la condotta dell'acquirente per uso proprio, o per conto di terzi ma senza finalità di lucro, sia quella non inquadrabile comunque in un'attività professionale di acquisto e vendita di farmaci;

b) l'art. 2, comma 1, della legge n. 376 del 2000, richiamato dall'art. 9 della medesima legge nella descrizione delle fattispecie incriminatrici, integrerebbe una ipotesi di «norma penale in bianco», il cui contenuto precettivo sarebbe stato chiarito solo con il decreto adottato il 15 ottobre 2002 dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 278, suppl. ord. del 27 novembre 2002, così che «solo a tale data potrebbe ritenersi concluso l'iter legislativo che ha condotto a ritenere reato la cessione di farmaci dopanti».

Il tribunale, invece, dichiarava di non condividere le anzidette argomentazioni, sui rilievi che:

aa) se è ben vero che, per ritenere integrata la condotta prevista dal comma 7 dell'art. 9 della legge n. 376 del 2000, è comunque necessario riscontrare il carattere di una certa continuità, ciò non equivale, però, a ritenere che, per la realizzazione del fatto tipico, sia necessario evocare la sussistenza di un «commercio professionale»;

bb) la giurisprudenza della Corte di Cassazione dava «evidentemente per scontata» la piena applicabilità della norma già all'atto della sua emanazione. Del resto, altro è classificare farmaci, sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e pratiche mediche, altro è sancire il divieto di commercio delle sostanze dopanti: al punto che sarebbe condivisibile la tesi di chi ha affermato che il reato in esame «può essere ravvisato anche in relazione a farmaci, sostanze e pratiche che, pur costituendo doping, non siano elencate nelle classi approvate. E ciò in riferimento alle disposizioni della Convenzione di Strasburgo, che è stata ratificata con la legge n. 522/1995, contenente le sanzioni penali, e che, come tale, ha immediata esecuzione nello Stato membro». Il succedersi delle disposizioni relative alla citata Convenzione, nella quale erano già previste le classi di farmaci dopanti ed una disciplina transitoria, la ratio cui le stesse sono ispirate e le specifiche indicazioni in esse contenute, evidenzierebbero che, al momento dell'entrata in vigore della legge n. 376 del 2000, «erano già individuate le classi di farmaci vietati, riservandosi il legislatore solo di procedere ad aggiornate ulteriori cadenzate classificazioni, legate, evidentemente, all'evolversi delle conoscenze scientifiche non solo, ma anche, dello stesso fenomeno del doping»,

Con tali argomentazioni il tribunale superava l'assunto del Gip - secondo il quale non si sarebbe potuto configurare il delitto di ricettazione, in quanto tra i delitti presupposti non può essere annoverato quello di importazione clandestina di...

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