Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 2 marzo 2006, n. 7645 (ud. 28 febbraio 2006). Pres. Papadia - Est. Fiandanese - P.M. Palombarini (diff.) - Ric. Autolitano.

Reato - Estinzione (Cause di) - Oblazione - Richiesta- Obbligo di pronunciarsi da parte del giudice di merito - Fondamento - Riqualificazione giuridica del fatto - Ammissibilità dell'oblazione - Decisione impugnabile.

Il giudice del merito ha l'obbligo di pronunciarsi sulla richiesta di oblazione avanzata dall'imputato, contestualmente alla denunzia dell'erronea qualificazione giuridica del fatto che ne precluda l'ammissibilità, e la relativa decisione sul punto èsuscettibile di impugnazione. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 162; c.p., art. 162 bis; att, c.p.p., art. 141) (1).

    (1) Sempre in argomento, si veda la recente pronuncia della Sezione della Cassazione penale del 27 gennaio 2005, Amadiaze, in questa Rivista 2006, 366, per la quale, relativamente al termine per accedere all'oblazione prima dell'apertura del dibattimento, l'imputato non può dolersi dell'impossibilità di addivenire all'oblazione, nel caso di derubricazione in reato oblabile di una contestazione in origine preclusiva di detta causa estintiva, qualora non abbia tempestivamente invocato la più favorevole qualificazione giuridica del fatto e, conseguentemente, la possibilità di essere ammesso all'oblazione stessa. Si vedano, in aggiunta, Cass. pen., sez. II, 7 ottobre 2002, Bonavoglia, ivi 2003, 627, con nota di LUCA CREMONESI, Derubricazione del reato in sentenza ed oblazione, e Cass. pen., sez. I, 23 giugno 2000, Monetto, ivi 2000, 1203.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Autolitano Saverio veniva citato a giudizio davanti al Tribunale monocratico di Reggio Calabria per rispondere del reato di cui all'art. 9, comma 1, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, perché essendo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, era stato trovato sprovvisto della carta precettiva. Il Tribunale, con sentenza in data 26 novembre 2004, dichiarava l'imputato colpevole del reato di cui all'art. 650 c.p., così modificando la qualificazione giuridica del fatto contestato, e lo condannava alla pena di 200 euro di ammenda.

Proponeva ricorso per cassazione personalmente Autolitano, deducendo violazione di legge, in quanto il Tribunale, avendo derubricato il reato di cui all'imputazione, non oblabile, in altro oblabile, avrebbe dovuto consentire all'imputato di esercitare il suo diritto, costituzionalmente indiscutibile, di estinguere il reato attraverso l'oblazione, determinando con la stessa sentenza (che assumerebbe la forma della sentenza-ordinanza) la somma da versare (ex art. 141, comma 4, disp. att. c.p.p.) e fissando un termine non superiore a dieci giorni per provvedere al pagamento della somma dovuta, subordinando l'efficacia della condanna all'inutile scadenza del termine assegnato; in caso, invece, di pagamento nel termine, il giudice dell'esecuzione, su istanza di parte, avrebbe potuto dichiarare estinto il reato ex art. 676 c.p.p. Il ricorrente precisava, altresì, che la difesa aveva richiesto la derubricazione del reato in sede di conclusioni segnalando tempestivamente la più corretta e favorevole qualificazione giuridica del fatto, concludeva chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata o, in subordine, con rinvio.

La Sezione I di questa Corte, cui il ricorso veniva assegnato, pronunciava, il 2 novembre 2005, ordinanza di rimessione alla Sezioni Unite ai sensi dell'art. 618 c.p.p., rilevando l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale.

Nella motivazione della suddetta ordinanza si osserva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 530 del 1995, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell'imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162 bis c.p., relativamente a fatto diverso o reato concorrente contestati in dibattimento. Il legislatore si era adeguato a tale pronuncia aggiungendo, con l'art. 53, comma 1, lett. c), della legge 16 dicembre 1999, n. 479, il comma 4 bis dell'art. 141 disp. att. c.p.p., a norma del quale ´in caso di modifica dell'originaria imputazione in altra per la quale sia ammissibile l'oblazione, l'imputato è rimesso in termini per chiedere la medesima. Il giudice, se accoglie la domanda, fissa un termine non superiore a dieci giorni, per il pagamento della somma dovuta. Se il pagamento avviene nel termine il giudice dichiara con sentenza l'estinzione del reatoª. Analoga norma l'art. 9 della stessa legge introduceva all'ultimo comma dell'art. 162 bis c.p.p., successivamente abrogata, perché da ritenere superflua, dall'art. 2 quattordicies del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito in legge 5 giugno 2000, n. 144.

Il legislatore, peraltro, osserva ancora l'ordinanza di rimessione, lasciava aperto il problema per i casi in cui l'imputazione originaria non fosse modificata a seguito di contestazione del pubblico ministero nel corso del dibattimento, ma dal giudice nella sua decisione finale. In tal caso, sarebbe contrario al diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., nonché al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., privare l'imputato del diritto di chiedere l'oblazione. Page 530

L'ordinanza di rimessione rileva che, per trovare soluzione a tale problema, si sono formati tre orientamenti giurisprudenziali.

Secondo un primo orientamento, l'imputato in tanto ha diritto all'oblazione in quanto l'abbia tempestivamente richiesta in via ´preventivaª o ´cautelativaª, così che il giudice, nell'ipotesi in cui decidesse la derubricazione del reato, nel corso o all'esito dell'istruttoria dibattimentale, dovrebbe provvedere con ordinanza a rimettere l'imputato in termini per richiedere l'oblazione.

Un altro orientamento giurisprudenziale ritiene, invece, che, in caso di derubricazione disposta dal giudice, l'imputato debba presentare domanda di oblazione con l'atto di appello, in applicazione analogica dell'art. 604, comma 7, c.p.p.

Secondo una terza soluzione, infine, il giudice, con la stessa sentenza con la quale riqualifica il reato e pronuncia la relativa condanna, rimette in termini ex officio l'imputato per provvedere all'oblazione, subordinando l'efficacia della condanna all'inutile scadenza del termine assegnato, non superiore a dieci giorni, per il pagamento della somma dovuta. Se la procedura di oblazione si perfeziona con il pagamento della somma stessa entro il termine stabilito, il giudice dell'esecuzione, su istanza di parte, dichiarerà estinto il reato ex art. 676 c.p.p., in caso contrario, la sentenza diventerà incondizionatamente efficace ed eseguibile.

Il Primo Presidente, con provvedimento del 25 novembre 2005, assegnava il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'udienza del 28 febbraio 2006.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il motivo di ricorso è infondato e deve essere rigettato.

La norma invocata nella fattispecie è quella di cui all'art. 141, comma 4 bis, disp. att. c.p.p., introdotta dall'art. 53 della legge 16 dicembre 1999, n. 479. La stessa legge con l'art. 9 aveva integrato anche l'art. 162 bis c.p.p. al comma 7 con norma analoga, successivamente abrogata dall'art. 2 quattordecies D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito con legge 5 giugno 2000, n. 144, non solo perché incongruamente inserita in un contesto di normativa di diritto sostanziale, ma anche perché produttiva di possibili dubbi interpretativi in merito all'ambito di operatività del procedimento di oblazione riferibile non solo alla oblazione c.d. discrezionale (art. 162 bis c.p.), ma anche all'oblazione c.d. obbligatoria (art. 162 c.p.).

Il riconoscimento all'imputato del diritto alla rimessione in termini per chiedere l'oblazione in caso di ´modifica dell'originaria imputazioneª in altra per la quale l'oblazione stessa sia ammissibile non è una ´novitàª, limitandosi a recepire una regola già introdotta nel sistema dalla Corte Costituzionale, che, con la sentenza n. 530 del 1995, rilevato che ´non sussistono ostacoli di ordine tecnico-sistematico all'ammissione dell'oblazione nel corso del dibattimentoª, affermava che la preclusione dell'accesso al medesimo istituto ed ai connessi benefici, in caso di nuove contestazioni dibattimentali, per fatto diverso (art. 516 c.p.p.) o per reato concorrente (art. 517 c.p.p.) risultava lesiva del diritto di difesa nonché priva di razionale giustificazione.

La nuova normativa, pertanto, allorché parla di ´modifica dell'imputazioneª, mutuando il dato testuale dell'art. 516 c.p.p., intende chiaramente fornire precise regole procedurali per l'applicazione della citata pronuncia di illegittimità costituzionale, inserendosi in un contesto nel quale intervengono il pubblico ministero, con la contestazione suppletiva, il giudice, con la rimessione in termini, l'imputato con l'istanza di oblazione, il pubblico ministero, ancora, per il parere (come disposto dal comma 4 del citato art. 141), di nuovo il giudice per la valutazione di accoglimento o rigetto della domanda (in caso di oblazione c.d. discrezionale).

Il collegio ritiene che diverso sia il caso, come quello di specie, in cui il giudice ´nella sentenzaª dia ´al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazioneª (art. 521 c.p.p.), si tratta di una soluzione interpretativa in punto di diritto, che può essere adottata anche nel giudizio di legittimità, rispetto alla quale le suddette regole procedurali possono trovare applicazione soltanto nel caso in cui l'errore di diritto sia stato rilevato dalla difesa contestualmente alla formulazione di istanza di oblazione, sulla quale il P.M. abbia potuto esprimersi; solo in tal modo, infatti, il giudice viene formalmente investito della questione, non potendosi ritenere, perché non previsto dal complessivo sistema procedurale disciplinato dalla legge, che egli abbia l'obbligo di rimettere in termini ex...

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