Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 28 settembre 2005, n. 34655 (c.c. 28 giugno 2005). Pres. Marvulli - Est. Silvestri - P.M. Cesqui (conf.)Ric. P.G. in proc. Donati ed altro.

Azione penale - Richiesta del P.M. - Procedimento per lo stesso fatto e contro la stessa persona per i quali sia già in corso un processo presso la stessa sede giudiziaria - Ne bis in idem - Improcedibilità.

Quando sia stato aperto un procedimento riguardante gli stessi fatti e la stessa persona per i quali, su iniziativa dello stesso ufficio del pubblico ministero, già si proceda nella medesima sede giudiziaria (anche se in fase o grado diversi), la relativa azione non deve essere promossa (e dunque va richiesta e disposta l'archiviazione), oppure, nel caso di intervenuto esercizio, l'azione stessa deve con sentenza essere dichiarata non procedibile. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 649) (1).

    (1) In aggiunta ai precedenti citati in parte motiva, si veda anche Cass. pen., sez. I, 11 dicembre 1993, Algranati, in questa Rivista 1994, 253, che in merito all'espressione «medesimo fatto» attribuito alla stessa persona ha ritenuto che il divieto di reiterazione del giudizio attenga al fatto inteso come elemento costitutivo o integrativo dell'imputazione, non estendendosi, quindi, alla valutazione di esso come elemento di potenziale rilievo probatorio ai fini del giudizio su di una imputazione consistente nell'attribuzione di un reato i cui elementi costitutivi o integrativi nella fattispecie astratta prevista dal legislatore siano di natura diversa. In dottrina si rinvia a: A.M. BENENATI, Come intendere il concetto di medesimo fatto ai fini del «ne bis in idem»?, in Dir. pen. e processo 1998, 1549; F.M. MOLINARI, Sull'applicabilità del principio «ne bis in idem» nel caso di duplicazione di procedimenti in corso per lo stesso fatto, in nota a Trib. Milano, uff. Gip, 16 febbraio 1999, in Foro ambrosiano 1999, 331, e P.P. RIVELLO, Analisi in tema di «ne bis in idem», in Riv. it. dir. e proc. pen. 1991, 476.


RITENUTO IN FATTO. - Con sentenza del 30 gennaio 2004, il Tribunale di Brescia, in composizione monocratica, nel corso delle formalità di apertura del dibattimento, sentite le parti, a norma degli artt. 129 e 649 c.p.p. dichiarava di non doversi procedere nei confronti di Donati Giovanni Angelo e di Balduzzi Gianfranco, in quanto i reati loro contestati erano stati già oggetto di sentenza di condanna emessa il 15 maggio 2001 dallo stesso tribunale, contro la quale era stato proposto appello dagli imputati. Il tribunale giustificava la pronuncia di improcedibilità rilevando che si era verificata una duplicazione del processo per il medesimo fatto contro le stesse persone e che, pur se la precedente sentenza non era ancora passata in giudicato, sussisteva una situazione di bis in idem sostanziale che rendeva applicabile la disposizione dell'art. 649 c.p.p., la cui portata deve considerarsi più ampia di quella risultante dal tenore letterale ed implica l'operatività del divieto di un secondo giudizio anche rispetto ad un procedimento definito con sentenza di primo grado non ancora irrevocabile.

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia ricorreva per cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza per violazione ed erronea interpretazione dell'art. 649 c.p.p., sul rilievo che tale disposizione subordina la dichiarazione di improcedibilità alla tassativa condizione della preesistenza di una decisione irrevocabile, in mancanza della quale la duplicazione del processo può trovare rimedio soltanto nella riunione dei due procedimenti pendenti nella stessa fase e nello stesso grado, ovvero, qualora questa non sia possibile, nella sospensione del nuovo procedimento in attesa che diventi irrevocabile la prima decisione.

La Seconda Sezione Penale di questa Corte ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite a norma dell'art. 618 c.p.p., osservando che la recente giurisprudenza di legittimità ha attribuito all'art. 649 c.p.p. una portata applicativa più ampia di quella formalmente espressa dal testo della disposizione in base al richiamo all'eadem ratio delle norme che risolvono i conflitti positivi di competenza e i contrasti positivi tra uffici del pubblico ministero, nella prospettiva dischiusa da talune decisioni della Corte costituzionale. Dopo avere affermato di non potere condividere tale linea interpretativa perché essa risulta nettamente contrastante con il dato testuale dell'art. 649 ed è sprovvista di elementi di riscontro logici e sistematici, la sezione rimettente precisava che non è affatto producente il riferimento analogico alla disciplina della litispendenza nel processo civile e che, in difetto di una sentenza irrevocabile, la possibilità di formazione di giudicati contrastanti può essere adeguatamente prevenuta attraverso la sospensione del secondo procedimento, successivamente riattivabile nel momento in cui il primo processo si conclude con una decisione irrevocabile o regredisce per nullità processuali, per incompetenza, per vizi in procedendo, potendo, nell'un caso, procedersi alla dichiarazione di improcedibilità ex art. 649 e, nell'altro, disporsi la riunione dei due distinti processi.

Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite fissando l'udienza del 28 giugno 2005 per la trattazione a norma dell'art. 611 c.p.p.

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CONSIDERATO IN DIRITTO. 1. - Occorre preliminarmente verificare la sussistenza delle due premesse logico-giuridiche del problema interpretativo sottoposto alle Sezioni Unite, dovendo accertarsi se nella situazione processuale dedotta sia riconoscibile la duplicazione del processo, stante l'identità delle persone degli imputati e della regiudicanda, per poi stabilire se nel processo anteriormente instaurato sia intervenuta una decisione passata in giudicato.

Premesso che nel vaglio della censura di violazione di norme processuali, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c) c.p.p., la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e che, ai fini dell'accertamento dell'error in procedendo, può accedere all'esame diretto dei relativi atti processuali (Cass., sez. un., 30 ottobre 2002, Arrivoli, RV222553, e sez. un., 31 ottobre 2001, Policastro, RV220092), deve porsi in risalto che, nel primo processo, la Corte di appello di Brescia ha confermato la condanna del Donati e del Balduzzi pronunciata dal tribunale il 15 maggio 2001 per il concorso nel delitto di ricettazione, avendo gli imputati «ricevuto da altre persone allo stato non identificate n. 2137 camicie, 1913 delle quali rinvenute nella ditta del Balduzzi e le restanti 224 nell'autovettura utilizzata dal Donati, compendio di furto perpetrato in data 20 settembre 1996 in Sommacampagna ai danni della ditta Heris Group Srl» (capo L). Nel secondo processo, conclusosi con la dichiarazione di improcedibilità, è stato contestato il reato di ricettazione sia al Donati, per avere ricevuto 224 camicie, che al Balduzzi, per avere ricevuto 1913 camicie: nei capi di imputazione risulta anche specificato che i beni ricettati erano stati sottratti in data 20 settembre 1996 alla Heris Group Srl.

Sulla base di tali precisi dati fattuali le Sezioni Unite condividono la valutazione del giudice monocratico, a giudizio del quale i due processi hanno avuto ad oggetto il medesimo fatto, come, del resto, non è stato neppure contestato nel ricorso del Procuratore Generale.

Infatti, considerato che l'espressione «medesimo fatto» figura non solo nel testo dell'art. 649, ma anche nella disposizioni di cui agli artt. 28, comma 1, e 669, comma 1, del codice di rito, deve sottolinearsi che nella giurisprudenza di legittimità detta locuzione è stata costantemente intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta oggetto dei due processi, onde il «medesimo fatto» esprime l'identità storico-naturalistica del reato, in tutti i suoi elementi costitutivi identificati nella condotta, nell'evento e nel rapporto di causalità, in riferimento alle stesse condizioni di tempo, di luogo e di persona (Cass., sez. VI, 17 gennaio 2003, Agate ed altri, RV227711; sez. I, 10 gennaio 2003, Grieco, RV223832; sez. VI, 16 novembre 1999, P.G. in proc. Balzano; sez. I, 16 aprile 1997, Vanoni ed altri, RV207653).

Da tali rilievi si evince che i due processi promossi contro il Balduzzi e il Donati riguardano il medesimo fatto, nell'accezione testé indicata. Invero, le imputazioni risultano connotate dalla totale coincidenza dei soggetti, delle condotte, dell'oggetto materiale della ricettazione, costituito complessivamente da 2137 camicie, del reato presupposto, individuato nel furto ai danni della Heris Group Srl, nonché delle condizioni di tempo e di luogo dell'accadimento. Né può affermarsi l'esistenza di una apprezzabile diversificazione per la sola circostanza che nel primo processo la contestazione concerne una fattispecie concorsuale ex art. 110 c.p., mentre nel secondo sono stati attribuiti agli imputati distinti reati di ricettazione. La scomposizione in due reati monosoggettivi dell'originaria ipotesi concorsuale, avvenuta nel secondo processo, corrisponde difatti - stante la completa identità degli elementi materiali che li integrano - al risultato di una differente qualificazione giuridica del titolo di imputazione della responsabilità penale, piuttosto che all'individuazione di distinte fattispecie munite di ontologica autonomia derivante dalla diversità delle componenti strutturali del fatto.

Tanto chiarito, deve porsi in risalto che la duplicazione del processo riferito al medesimo fatto e alle stesse persone fa sorgere il problema della possibilità di applicazione del divieto di bis in idem di cui all'art. 649 c.c.p., per la ragione che in nessuna delle due vicende processuali è stata pronunciata una decisione passata in giudicato, risultando dagli atti che la sentenza emessa il 26 aprile 2005 dalla Corte di appello di Brescia, confermativa della condanna di primo grado, non era ancora divenuta...

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