Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine167-194

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. VI, 10 gennaio 2006, n. 460 (ud. 12 dicembre 2005). Pres. Leonasi - Est. Rossi - P.M. Monetti (conf.) - Ric. Marcantonini ed altri.

Reato - Estinzione - Prescrizione - Nuova disciplina - Normativa transitoria - Processi già pendenti avanti alla Corte di cassazione - Eccezione di illegittimità costituzionale - Manifesta infondatezza.

È manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 10 comma 3 legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze per i recidivi, di usura e di prescrizione) - per contrasto con gli artt. 3, 25 comma 2 e 101 Cost. - secondo cui non si applicano i termini di prescrizione che risultino più brevi di quelli previgenti nei processi già pendenti in primo grado, ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché nei processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione, in quanto il legislatore, nell'ambito di un articolato regime transitorio, ha operato una ragionevole differenziazione tra gli imputati, in considerazione di un fattore oggettivo, rappresentato dalla diversa incidenza della modifica legislativa dei termini di prescrizione nel tempo e nei diversi stadi dell'accertamento penale, ponendo in essere tale modulazione senza «revocare in dubbio» il nucleo essenziale e fondamentale della garanzia offerta ai cittadini attraverso l'istituto della prescrizione. (Mass. Redaz.). (L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10) (1).

    (1) Sentenza di rilievo in quanto per la prima volta, ed a distanza di pochi giorni dall'entrata in vigore (8 dicembre 2005) della legge 5 dicembre 2005, n. 251, meglio conosciuta come legge «ex Cirielli», la Corte di legittimità si pronuncia rilevando la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale posta in riferimento all'art. 10, terzo comma, della legge 251, che esclude l'applicazione dei più favorevoli termini di prescrizione previsti dalla legge stessa, tra l'altro, nei processi pendenti in Cassazione alla data della sua entrata in vigore.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Mario Marcantonini, Renzo Camilletti, Alberto Massucci e Vinicio Marcantonini ricorrono per cassazione avverso la sentenza in data 23 settembre 2002 della Corte di appello di Firenze che - decidendo in sede di giudizio di rinvio a seguito di annullamento parziale da parte della Corte di cassazione della sentenza della Corte di appello di Perugia del 23 giugno 2000 - ha dichiarato non doversi procedere nei loro confronti in ordine al reato di cui agli artt. 56, 640 bis e 110 c.p. per essersi il reato estinto per prescrizione, confermando, nel resto, la sentenza di primo grado del Tribunale di Perugia e riducendo la pena inflitta agli imputati a mesi undici di reclusione per Mario Marcantonini, a mesi dieci di reclusione per Alberto Massucci e Vinicio Marcantonini, a mesi nove e giorni quindici di reclusione per Remo Camilletti.

  1. - Nella sentenza del 29 novembre 1995 il Tribunale di Perugia aveva ritenuto gli imputati responsabili dei reati di falso ideologico in atti pubblici nonché di truffa e di tentata truffa ai sensi dell'art. 640 bis c.p. in danno della Regione Umbria perché, come componenti della Giunta del Comune di Bettona, operando in concorso con l'ingegnere investito del progetto dell'opera e della direzione dei lavori, avevano prodotto alla Regione, ai fini di essere ammessi ad un finanziamento regionale a fondo perduto, una serie di atti (delibera di recupero dell'immobile del 5 gennaio 1993; atto di affidamento dei lavori del 18 marzo 1993; atti di approvazione del primo stato di avanzamento dei lavori del 2 giugno 1993; attestato del progettista direttore dei lavori del 7 aprile 1993) relativi ad un'opera - il recupero dell'ex convento di Santa Caterina - in realtà compiuta anteriormente al 1990; ottenendo così un anticipo di lire 50 milioni sull'importo complessivo di 96 milioni in favore dell'amministrazione comunale e l'annotazione relativa alla richiesta della somma residua, poi non versata in seguito al disvelamento della situazione effettivamente esistente.

    La Corte di appello di Perugia aveva poi confermato il 23 giugno 2000 la decisione di primo grado.

  2. - La Corte di cassazione aveva parzialmente annullato tale ultima sentenza rilevando che il giudice di merito aveva omesso di accertare:

    a) se il restauro dell'ex convento di Santa Caterina rientrasse nell'ambito di un programma pluriennale di interventi o in un piano annuale che prevedeva l'accantonamento previsto dall'articolo 3 della legge regionale 20 maggio 1986, n. 19;

    b) se le opere eseguite dall'impresa Baldoni erano di completamento delle opere relative alla terza fase del restauro per cui la Regione aveva già concesso il contributo;

    c) se per il pagamento di questi lavori era stata iscritta riserva durante o al termine della terza fase di realizzazione del restauro.

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  3. - La Corte di appello di Firenze - premesso che si era formato il giudicato interno sull'esistenza dei delitti di falso ideologico e sulla relativa responsabilità degli imputati - ha fornito una risposta affermativa al primo punto indicato nella direttiva della Corte di cassazione, affermando che il restauro dell'ex convento di Santa Caterina rientrava nell'ambito del Piano attuativo per l'anno 1989 ed il piano di riparto della spesa complessiva prevedeva di destinare la somma residua (lire 163.108.520) ad accantonamenti per interventi urgenti ed imprevedibili e per il completamento di opere già realizzate secondo il disposto dell'art. 3 della legge regionale n. 19 del 1986.

    In ordine al secondo punto della direttiva del giudice di legittimità la Corte territoriale (dopo aver precisato che i giudici di merito non avevano detto che i lavori eseguiti dall'impresa Baldoni erano di completamento delle opere relative alla terza fase del restauro dell'immobile già destinato a convento ma avevano invece ricondotto tali lavori nell'ambito di un quarto stralcio dotato di autonomia) ha escluso la possibilità di definire come «opere di completamento» quelle elencate nello stato di avanzamento dei lavori alla data del 7 aprile 1993 ed ha invece sostenuto che la descrizione dei lavori evidenziava una parte di quanto l'impresa aveva realizzato nel corso di una fase che era certamente conclusa alla data del 20 maggio 1990.

    Una risposta negativa è stata poi data anche sul terzo punto della direttiva (se per il pagamento di questi lavori fosse stata iscritta riserva durante o al termine della terza fase di realizzazione del restauro).

    Sulla base di queste considerazioni la Corte fiorentina è giunta a ribadire la sussistenza dei reati di truffa e di tentata truffa ai sensi dell'art. 640 bis c.p. rilevando l'estinzione per prescrizione del reato di cui gli artt. 56, 640 bis e 110 e riducendo, nei termini di cui si è prima detto, la pena inflitta agli imputati.

  4. - Con il primo motivo di ricorso la difesa dei ricorrenti lamenta la violazione dell'art. 627, comma 3, c.p.p. in relazione all'art. 606, lett. b) c.p.p. nonché la mancanza ed illogicità della motivazione.

    Rilevato che la Corte fiorentina ha dato risposta positiva al primo quesito posto dal giudice di legittimità (se il restauro dell'ex convento di Santa Caterina rientrasse nell'ambito di un programma pluriennale di interventi o in un piano annuale che prevedeva l'accantonamento previsto dall'articolo 3 della legge regionale 20 maggio 1986 n. 19) e negativa agli altri due, la difesa rileva che è contraddittorio affermare che «i lavori di cui si discute fossero in parte gli stessi già compiuti nel marzo 1990 sulla base di un raffronto tra documenti contabili e poi affermare che detti lavori non possono essere considerati di complemento della terza fase del terzo stralcio».

    In realtà il funzionamento relativo al primo piano di recupero dei due conventi di S. Giacomo e di Santa Caterina era stato ottenuto dal Comune di Bettona per lire 100 milioni con deliberazione della Giunta regionale dell'Umbria n. 5691 del 25 luglio 1989 e la scelta di accelerare il recupero di una parte dei due convenuti rispetto alle altre rientrava nella discrezionalità tecnica del Comune.

    Ad avviso dei ricorrenti la Corte di appello di Firenze ha dunque sbagliato, al pari di quella perugina, nel non riconoscere di essere di fronte ad una ipotesi di distrazione di un contributo per uno scopo diverso da quello per cui era stato concesso e nel ritenere, invece, che si è trattato del conseguimento di un contributo al quale il Comune non avrebbe avuto diritto di accedere trattandosi di somme necessarie a sanare debiti contratti fuori bilancio.

    La Corte fiorentina ha inoltre errato anche nell'affermare che le «riserve» finanziabili con il contributo suppletivo ex art. 13 della legge regionale n. 19 del 1986 sono solo quelle contenute nel registro di contabilità e da iscrivere entro i termini previsti dall'art. 54 del R.D. n. 350 del 1895, giacché sono da considerare come riserve anche quelle per eventuale revisione dei prezzi (la cui domanda deve essere presentata prima della firma del certificato di collaudo) o quelle relative alla decorrenza ed alla misura degli interessi per ritardato pagamento di acconti e del saldo (anch'esse sollevabili prima della firma del certificato di collaudo, non intervenuto al momento dell'introduzione del giudizio).

    Né, infine, sarebbe ravvisabile il danno penalmente rilevante derivante dal preteso reato, atteso che non è configurabile un danno «da mero sviamento» ma solo un danno «da sviamento con sottrazione di risorse pubbliche» allo scopo per cui esse sono state programmaticamente preordinate.

  5. - Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p. in relazione all'art. 640 bis e 43 del codice penale sul rilievo che i giudici del rinvio non potevano ritenere sussistente il dolo del...

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