Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine817-841

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@CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. II, 16 marzo 2006, n. 5848. Pres. Calfapietra - Est. Napoletano - P.M. Ceniccola (conf.) - Baldo ed altri (avv.ti Romanelli e Barcati) c. Spinazza (avv.ti Barbato e Santarcangelo).

Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Parti comuni dell'edificio - Cortile - Facoltà esercitabili relative al suo uso - Possibilità di accesso dei condomini ai rispettivi immobili di proprietà esclusiva anche con mezzi meccanici - Legittimità - Attività ulteriori e diverse rispetto a quelle esercitate in passato - LegittimitàCondizioni - Osservanza del regolamento condominiale.

Tra gli usi propri cui è destinato un cortile comune si deve annoverare la possibilità, per i partecipanti alla comunione, di accedere ai rispettivi immobili anche con mezzi meccanici al fine di esercitarvi le attività - anche diverse rispetto a quelle compiute in passato - che non siano vietate dal regolamento condominiale, poiché tale uso non può ritenersi condizionato né dalla natura dell'attività legittimamente svolta né dall'eventuale, più limitata forma in godimento del cortile comune praticata nel passato. (Nella specie, la S.C., enunciando il suddetto principio, ha confermato la sentenza impugnata, con la quale era stata esclusa sia l'improprietà del nuovo, più intenso uso del cortile comune fatto, anche mediante il transito di autoveicoli, dal condomino convenuto rispetto al passato, sia la qualificabilità di tale più recente uso come nuova servitù imposta sul cortile comune a vantaggio dell'immobile di proprietà esclusiva del medesimo condomino). (C.c., art. 1102; c.c., art. 1117) (1).

    (1) Per qualche utile riferimento in tema di uso del cortile condominiale, v. Cass. civ. 16 luglio 2004, n. 13261, in Ius & Lex on-line, sul sito www.la tribuna.it; Cass. civ. 11 ottobre 1986, n. 5949, in Arch. civ. 1987, 763. Recentemente, Cass. civ. 19 ottobre 2005, n. 20200, in CED, Cass. civ., RV 584211, ha ribadito che: «L'apertura di finestre su area di proprietà comune ed indivisa tra le parti costituisce opera inidonea all'esercizio di un diritto di servitù di veduta, sia per il principio nemini res sua servit, che per la considerazione che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono beni fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta, pertanto, anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva, con il solo limite, posto dall'art. 1102 c.c., di non alterare la destinazione del bene comune o di non impedirne l'uso da parte degli altri comproprietari».


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - La Corte d'appello di Venezia, decidendo sul gravame proposto da Giuseppe Facchin e Adelaide Balbo avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Treviso aveva respinto la domanda proposta, con atto di citazione notificato il 18 maggio 1992, al fine di accertare che la corte di proprietà comune ad essi attori e al convenuto, Angelo Spinazza, costituiva pertinenza dei rispettivi immobili ed era destinata a consentire l'accesso ai fondi agricoli e limitatamente alle necessità degli stessi fondi, e, pertanto, a far divieto al convenuto di adibire la corte comune al transito di mezzi pesanti e di qualsiasi mezzo necessario allo svolgimento dell'attività molitoria e di commercio di mais e grano, con condanna dello stesso convenuto a risarcir loro i danni cagionatigli, con sentenza resa in data 9 novembre 2001 ha rigettato l'appello.

Premessa la superfluità della prova orale richiesta dagli appellanti, essendo incontestato il maggior e più gravoso traffico praticato da un certo tempo sull'area comune per le necessità dell'azienda commerciale intrapresa dall'appellato e non essendo escluso che l'uso praticato dallo Spiazza impedisse comunque il traffico degli appellanti sulla corte comune, per sua natura destinata, oltre che ad assicurare luce ed aria agli immobili circostanti, a consentire l'accesso agli immobili fabbricati ed appezzamenti di proprietà esclusiva dei comunisti, il giudice d'appello ha escluso che per effetto del nuovo uso praticato dall'appellato risultasse compromessa la naturale destinazione della corte o, comunque, impedito agli altri comunisti il pari uso del bene comune. Né poteva costituire vincolo, per ciascun comunista, l'eventuale più limitata forma di godimento praticata in passato.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso, oltre alla Balbo, Gianantonio e Renato Facchin, eredi, insieme alla Balbo, di Giuseppe Facchin, deceduto il 29 gennaio 2000, affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso lo Spiazza.

Vi sono memorie per entrambe le parti.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Col primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell'art. 1102 c.c. adducendo che essa avrebbe dovuto attenersi al principio di diritto per cui l'intensificato passaggio sulla corte comune per usi diversi e nuovi rispetto al passato costituisce alterazione della destinazione e, quindi, l'imposizione di una nuova servitù, se ciò avvenga senza e contro la volontà degli altri comunisti.

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Col secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 115 c.p.c., osservando che erroneamente il giudice d'appello ha negata l'ammissione della prova per testi richiesta sul rilievo che essa mirava ad accertare fatti incontestati, sia perché, al contrario, la richiesta di prova contraria da parte dell'appellato dimostra che i fatti oggetto di detta prova erano contestati sia perché l'aver ritenuto i fatti incontrastati e, quindi, provati urta contro il dettato dell'art. 115 c.p.c., secondo cui a fondamento della decisione del giudice devono porsi la prova proposta dalle parti.

Il ricorso è infondato.

Non v'è dubbio che tra gli usi propri cui è destinato un cortile comune sia da annoverare la possibilità per i partecipanti alla comunione, di accedere ai rispettivi immobili anche con mezzi meccanici ed al fine di esercitarvi le attività, anche diverse rispetto a quelle esercitate in passato, che non siano vietate dal regolamento della comunione, tale uso non potendo essere condizionato né dalla natura dell'attività legittimamente svolta né dall'eventuale più limitata forma di godimento del cortile comune praticata nel passato.

Correttamente, pertanto, il giudice d'appello ha escluso sia l'improprietà del nuovo, più intenso uso del cortile comune fatto dallo Spinazza rispetto al passato sia la qualificabilità di tale più recente uso come nuova servitù imposta sul cortile comune a vantaggio dell'immobile di proprietà esclusiva dello Spinazza. Anzi, con riferimento a tale secondo profilo, è improprio parlare, come si fa dei ricorrenti, di nuova servitù, dal momento che l'esercizio di uno degli usi propri di una cosa comune non costituisce esercizio di una servitù e, conseguentemente, il più intensificato uso rispetto al passato, quando non sia vietato dal regolamento della comunione, non può costituire esercizio di una nuova servitù.

Le considerazioni svolte assorbono l'esame del secondo motivo, che s'incentra sulla superfluità della prova per testi ravvisata dalla corte di merito.

Il ricorso va, dunque, respinto e, pertanto, secondo l'ordinario criterio, i ricorrenti vanno condannati, in solido tra loro, a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità come da dispositivo. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. III, 10 marzo 2006, n. 5252. Pres. Preden - Est. Finocchiaro - P.M. Sepe (conf.) - Di Dio (avv. Santagati) c. Assitalia spa ed altri (n.c.).

Risarcimento del danno - Valutazione e liquidazione - Invalidità personale - Micropermanenti - Parametri previsti dal D.L. n. 70/2000 - Mancata conversione in legge - Applicabilità - Esclusione - Fattispecie relativa ad una sentenza pronunciata nel periodo di vigenza del D.L. n. 70/2000.

I parametri di liquidazione del danno biologico relativi ad una «micropermanente», previsti dall'art. 3, comma primo, lettere a), b)e c), del decreto legge 28 marzo 2000, n. 70, sono stati soppressi dalla successiva legge di conversione 26 maggio 2000, n. 137, con la conseguenza che, non essendo stata neppure disposta la salvezza dei relativi effetti, le decisioni in tale materia, ancorché adottate nel periodo di vigenza delle predette disposizioni, non possono legittimamente fondarsi sulle stesse, non più esistenti nell'ordinamento. (Nella specie, la sentenza di primo grado, pronunciata dopo l'entrata in vigore del decreto legge n. 70 del 2000, aveva liquidato il danno biologico da micro-permanente sulla base dei criteri dallo stesso previsti; in applicazione del principio enunciato, la S.C. ha cassato la sentenza di appello, che, pur essendo intervenuta successivamente alla legge n. 137 del 2000, aveva confermato la predetta decisione, sull'errato presupposto che, nonostante la mancata conversione del decreto legge, ne fossero stati fatti salvi gli effetti). (C.c., art. 2043; c.c., art. 2056; D.L. 28 marzo 2000, n. 70, art. 3) (1).

    (1) Conformemente, v. Cass. civ. 1 giugno 2004, n. 10480, in questa Rivista 2005, 536. In dottrina, si consulti il volume di G.B. PETTI, Risarcimento del danno da lesioni micropermanenti, Ed. Maggioli, Rimini 2006.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con atto 29 ottobre 1999 Di Dio Giovanni ha convenuto in giudizio, innanzi al Giudice di pace di Gela, la Assitalia - Le Assicurazioni d'Italia, Cammalleri Salvatore e Catania Angela.

Premesso che l'11 dicembre 1998 si era verificato un sinistro stradale tra la autovettura Lancia GT 100 targata CL 35532 condotta da esso attore e l'autovettura Golf targata CI 243236 di proprietà di Cammalleri Salvatore e condotta da Catania Angela, assicurata per la responsabilità civile presso la Assitalia e che da tale sinistro, verificatosi per fatto e colpa esclusiva della Catania...

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