Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine15-78

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. II, 12 ottobre 2006, n. 34179 (ud. 3 ottobre 2006). Pres. Cosentino - Est. Macchia - P.M. (conf.) - Ric. P.G. in proc. Ricca.

Truffa - Estremi - Falso certificato assicurativo - Esposizione sull'automezzo - Condotta tipicaEsclusione.

Non integra il tentativo di truffa, per difetto dell'elemento del danno patrimoniale, la condotta di apposizione sul parabrezza dell'automezzo di un certificato assicurativo falso, posto che tale condotta è limitata ad eludere l'accertamento di infrazioni amministrative senza che sia ipotizzabile un danno erariale, per la mancanza di uno spostamento di risorse economiche in favore del suo autore. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 640) (1).

    (1) In aggiunta ai precedenti citati in parte motiva, per il caso di un soggetto il quale, dopo essersi procurato una falsa polizza assicurativa, vi apponga i propri dati e la esponga sul proprio veicolo, si veda Trib. pen. di Napoli, 17 aprile 2003, Pagano, in D&G - Dir. e Giust. 2003, f. 22, 71, con nota di MARI, che ha ritenuto sussistente il concorso nel delitto di falso, escludendo il delitto di ricettazione (art. 648 c.p.).


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza del 14 novembre 2005, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Larino ha prosciolto Ricca Stefano, a norma degli artt. 459, comma 3, e 129 c.p.p., perché il fatto non sussiste dalla imputazione di tentata truffa per avere, apponendo sul parabrezza del proprio autocarro un certificato assicurativo falso e tacendo di tale falsità al momento del controllo di alcuni agenti, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre in errore tali agenti circa la regolarità della posizione assicurativa dell'autocarro stesso, per procurarsi «l'ingiusto profitto di non pagare la sanzione amministrativa con mancato introito di denaro per l'erario e non subire il sequestro dell'autovettura non assicurata».

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il procuratore generale presso la Corte di appello di Campobasso, il quale ha dedotto violazione di legge. Ad avviso del ricorrente, infatti, sussisterebbero gli estremi del contestato reato, in quanto l'imputato non si sarebbe limitato a circolare senza il certificato di assicurazione, ma attraverso il quid pluris rappresentato dalla esposizione di un falso certificato, avrebbe eluso i controlli, sottraendosi al pagamento della sanzione amministrativa e della eventuale confisca del veicolo. Con memoria depositata in prossimità della udienza, il difensore dell'imputato ha chiesto di dichiarare inammissibile o di rigettare il ricorso.

Il ricorso è infondato. Questa Corte ha infatti in varie circostanze avuto modo di affermare che l'esposizione sul parabrezza della autovettura del disco contrassegno materialmente falsificato unitamente alla ricevuta, integra il reato di truffa consumata, in quanto l'agente, facendo risultare l'adempimento dell'obbligo fiscale, si è sottratto al pagamento del maggior importo dovuto all'erario (Cass. II, 28 settembre 1989, Zito; Cass. II, 14 novembre 1989, Scarcelli). Ma tale orientamento, pur avallato da una pronuncia delle Sezioni unite (Cass., sez. un., 21 giugno 1986, Giovannelli), non soltanto non ha mancato di far registrare opposte decisioni anche in epoca successiva (v., ad es., Cass. II, 9 maggio 1989, De Cesare; Cass. II, 30 giugno 1988, Riccucci), ma è stato pure vivacemente resistito in dottrina. Partendo, infatti, dalla premessa per la quale nella struttura della truffa, secondo il suo schema tradizionale, sarebbe presente, come requisito implicito, quello dell'atto di disposizione patrimoniale - quale elemento intermedio derivante dall'errore e causa dell'ingiusto profitto con altrui danno (la truffa, è stato sostenuto, sarebbe appunto caratterizzata da tre eventi) - si è infatti osservato, al riguardo, che, pur ammettendosi la configurabilità di un atto dispositivo di carattere omissivo, nell'ambito della condotta innanzi delineata mancherebbe un qualsiasi atto di disposizione patrimoniale, non essendo esso ravvisabile nel fatto che gli organi di controllo, indotti in errore, non contestino l'evasione tributaria, né tantomeno nel fatto che l'erario si limiti a subire la inadempienza dell'agente al momento del versamento della somma inferiore a quella dovuta: il reato, si è ancora osservato, non sarebbe nella specie ipotizzabile perché manca la necessaria cooperazione della vittima. Inoltre, non ricorrerebbe la necessaria sequenza «artificio - induzione in errore - profitto», perché, al contrario, il profitto sarebbe realizzato immediatamente, grazie al versamento di una somma inferiore, e l'alterazione del contrassegno risulterebbe finalizzata a dissimulare il profitto già ottenuto. Simili rilievi, di tutt'altro che evanescente spessore, valgono ovviamente eo magis nella ipotesi che qui rileva; posto che tra il "contravventore" e la pubblica amministrazione non sussisteva, prima della falsificazione del certificato di assicurazione, alcun rapporto di "debito", tributario o di altra natura; sicché il comportamento fraudolento in nessun modo poteva correlarsi ad un "danno" dell'erario, neppure dilatando al massimo la nozione di atto di disposizione di carattere omissivo. Il profitto conseguito dall'imputato, infatti, era quello derivante dalla circolazione senza la copertura assicurativa: dunque,Page 16 un fatto del tutto neutro agli effetti di un ipotetico "danno erariale", proprio perché quella condotta non era destinata a spostare "risorse" economiche dal soggetto in ipotesi "truffato" all'autore di tale condotta. A simili principi, d'altra parte, ha fatto appello anche la giurisprudenza di questa Corte, allorché ha avuto modo di affermare che non integra il delitto, di tentata truffa la condotta costituita dalla produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al prefetto avverso l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale (Cass. VI, 25 giugno 2001, Scopacasa). Si è infatti sottolineato - escludendosi la configurabilità della truffa, anche nella forma tentata - che, nel procedimento volto all'accertamento della infrazione amministrativa, l'autorità che irroga la sanzione in nessun modo compie un atto che possa essere riguardato come disposizione di carattere negoziale incidente sul patrimonio della amministrazione rappresentata, né, tantomeno, sul patrimonio del trasgressore, ma pone in essere un atto autoritativo di tipo "ablatorio" che costituisce manifestazione tipica dell'esercizio di uno specifico e tipizzato munus, quale è quello di applicare sanzioni. È del tutto evidente, allora, che, come non può ipotizzarsi, in tale schema pubblicistico, il carattere dispositivo e negoziale dell'atto (l'accertamento della violazione) dal quale può scaturire l'insorgenza del "danno" patrimoniale postulato come elemento essenziale della truffa, nessuna lesione del bene protetto è ipotizzabile ove la condotta fraudolenta si sia limitata, come nella specie, ad eludere l'accertamento di infrazioni amministrative, che costituiscono - esse stesse - il profitto già conseguito dal trasgressore. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. I, 21 settembre 2006, n. 20440. Pres. Proto - Est. Del Core - P.M. Carestia (conf.)Barreca c. Comune di Catania.

Depenalizzazione - Accertamento delle violazioni amministrative - Contestazione - Non immediata - Notificazione a mezzo del servizio postaleAmmissibilità - Notificazione da parte di privati concessionari del servizio postale - EsclusioneConseguenze.

Quando l'amministrazione alla quale appartiene il funzionario o l'agente che ha accertato una violazione al codice della strada si avvalga del servizio postale per la notificazione degli estremi della violazione, è tenuta ad osservare le norme sulla notificazione degli atti giudiziari a mezzo della posta come dettate dalla legge 20 novembre 1982, n. 890 e dal complesso di tale disciplina si desume che i relativi adempimenti non possono formare oggetto della concessione a privati come prevista per taluni servizi postali dall'art. 29 del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (c.d. codice postale) e dagli artt. da 121 a 148 del regolamento di esecuzione approvato con D.P.R. 29 maggio 1982, n. 655. Ne consegue che la notificazione degli estremi della violazione affidata (dall'ufficio cui appartiene l'agente accertatore) all'agenzia privata concessionaria a norma dell'art. 29 codice postale ed eseguita dai dipendenti della stessa agenzia si deve considerare giuridicamente inesistente e, come a omessa notificazione, ad essa consegue l'effetto della estinzione della obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione, secondo la previsione dell'ultimo comma dell'art. 14 legge n. 689/1981. (L. 20 novembre 1982, n. 890; L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14) (1).

    (1) Interessante sentenza con la quale la S.C. sancisce l'obbligo del servizio postale di effettuare le notificazioni de gli estremi di violazioni amministrative all'interessato senza possibilità di affidare tale servizio ad agenzie private Secondo la S.C. ciò si desume proprio dalla lettura, innanzitutto, dell'art. 4 L. n. 689/1981 che esige un particolare rigore formale per la contestazione differita attuata con la notificazione degli estremi della violazione all'interessato, non indica tassativamente i soggetti abilitati a provvedere alla notificazione, disciplinandone le modalità di esecuzione con la previsione che si possa fare ricorso al servizio postale. L'art. 201, comma 3 del nuovo codice della strada, dal canto suo, ammette esplicitamente l'uso del servizio postale, sottolineando però la necessità che l'amministrazione alla quale appartiene il funzionario o l'agente che ha accertato la violazione osservi le stesse modalità previste per la notificazione degli atti giudiziari. Infine, la stessa L. n. 890/1982 sulla notifica degli atti giudiziari stabilisce una...

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