Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine987-1035

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 26 luglio 2007, n. 30528 (ud. 7 maggio 2007). Pres. Oliva - Est. Conti - P.M. (conf.) - Ric. P.M. in proc. Bisceglio.

Truffa - Aggravanti - Indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato - In misura inferiore al limite minimo - Assorbimento del reato di cui all'art. 483 c.p. - Ipotesi di violazione amministrativa - Fondamento - Fattispecie.

Il reato di falso di cui all'art. 483 c.p. è assorbito nella fattispecie di cui all'art. 316 ter, anche nell'ipotesi in cui l'illecita percezione integri una violazione amministrativa, non essendo stata superata la soglia minima del valore economico del contributo o della erogazione prevista dalla norma da ultimo citata. (Fattispecie relativa ad una falsa autodichiarazione di un reddito imponibile inferiore al limite massimo cui era condizionata l'assegnazione di un finanziamento regionale per l'acquisto di un computer). (Mass. Redaz.). (C.p., art. 483; c.p., art. 316 ter) (1).

    (1) La citata sentenza delle SS.UU. del 27 aprile 2007, Carchivi, è pubblicata integralmente in questa Rivista 2007, 715. Si veda anche Cass. pen., sez. VI, 2 ottobre 2006, Cristodaro, anch'essa pubblicata per esteso ivi 2007, 22, secondo la quale il reato di cui all'art. 316 ter, comma primo, c.p. assorbe quello di falso previsto dall'art. 483 c.p., in quanto l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elemento essenziale per la sua configurazione.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Tempio Pausania assolveva Anna Maria Bisceglio dal reato di cui all'art. 316-ter c.p., così qualificata l'originaria imputazione di cui all'art. 483 c.p., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, in relazione a un finanziamento regionale ottenuto per l'acquisto di un computer, sulla base di una dichiarazione attestante un reddito imponibile non corrispondente a quello reale, trattandosi di somma indebitamente percepita inferiore alla soglia di punibilità ragguagliata al valore di euro 3.999,96 e quindi costituente violazione amministrativa a norma del comma secondo del predetto articolo (fatto accertato in Tempio Pausania il 23 ottobre 2001).

Ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, deducendo:

  1. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 316-ter e 640-bis c.p., nonché illogicità della motivazione, atteso che secondo la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, l'utilizzo di una falsa autocertificazione finalizzata all'ottenimento di contributi pubblici integra gli estremi del reato di truffa aggravata ex art. 640-bis c.p.

  2. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 15 e 483 c.p., dato che nel capo di imputazione era stato contestato il confezionamento di una falsa auto-certificazione, che non poteva ritenersi assorbito nella fattispecie di cui all'art. 316-ter c.p., mentre il tribunale ha erroneamente ritenuto che la condotta consistesse nel mero utilizzo di una falsa autocertificazione.

    Diversamente opinando, si giungerebbe al paradosso per cui la formazione dell'atto falso sarebbe sanzionata a norma dell'art. 483 c.p. se non accompagnata dal suo utilizzo fraudolento mentre sarebbe esente da sanzione penale qualora attraverso la falsa attestazione si siano indebitamente percepiti contributi.

    L'inapplicabilità del principio di specialità si ricava del resto dalla diversità del bene giuridico tutelato dalle due norme.

    Ricorre altresì il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, che denuncia l'erronea applicazione della legge penale non avendo il tribunale disposto la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa per l'irrogazione della relativa sanzione.

    Hanno presentato memoria i difensori della Bisceglio, avvocati Luigi Maria Sanguineti e Giovanni Angelo Mura, sollecitando il rigetto del ricorso del Procuratore della Repubblica e la declaratoria di inammissibilità del ricorso del procuratore generale.

    MOTIVI DELLA DECISIONE. - Va preliminarmente osservato che le censure, anche se presentate in parte sotto l'aspetto del vizio di motivazione, attengono a profili strettamente giuridici, sicché i ricorsi possono essere considerati come proposti per saltum, e ciò impedisce la loro qualificazione come appelli, pur tenendo conto degli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 26 del 2007, che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento.

    Il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania è infondato.

    Come affermato recentemente dalle Sezioni unite nella sentenza n. 16568 del 19 aprile 2007, ric. Carchivi, cui questo Collegio presta adesione, la linea di discrimine tra il reato di cui all'art. 316-ter c.p. e quello di cui all'art. 640-bis c.p., che hanno in comune l'elemento della indebita percezione di contributi da parte dello Stato o altri enti pubblici o dalle ComunitàPage 988 europee, va ravvisato nella mancata inclusione tra gli elementi costitutivi del primo reato dell'effetto della induzione in errore del soggetto passivo, presente invece nel secondo.

    Occorre dunque guardare alle regole formali del procedimento di concessione del contributo (o di altra erogazione comunque denominata): se il contributo consegue alla mera presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere o all'omissione di informazioni dovute, senza che rilevi che l'ente pubblico possa essere tratto in errore da tale con dotta, è integrato il reato di cui all'art. 316-ter; se invece l'erogazione del contributo da parte dell'ente pubblico è l'effetto di una induzione in errore circa i presupposti che lo legittimano, dato che le regole del relativo procedimento amministrativo non fanno derivare dalla presentazione della dichiarazione un'automatica conseguenza circa l'erogabilità di esso, è integrato il reato di cui all'art. 640-bis c.p.

    Nella specie non risulta dagli atti, né è stato dedotto dal ricorrente, che, stando alle regole del relativo procedimento amministrativo, l'assegnazione del computer sia dipesa da un'induzione in errore degli organi della regione, essendo invece da ritenere che essa conseguisse automaticamente per il solo fatto di una autodichiarazione da parte del richiedente di un reddito rientrante nei limiti previsti.

    Giustamente dunque è stata ritenuta sussistente la fattispecie di cui all'art. 316-bis c.p., e, trattandosi di una erogazione di valore inferiore alla soglia di punibilità ragguagliata al valore di euro 3.999,96, integrata la violazione amministrativa a norma del comma secondo del predetto articolo.

    Anche la seconda censura è infondata. La condotta contestata attiene alla falsa autodichiarazione di un reddito imponibile inferiore al limite massimo cui era condizionata l'assegnazione regionale del computer, che corrisponde appieno a quella descritta dall'art. 316-ter c.p., dato che l'utilizzazione o presentazione di autodichiarazioni false presuppone necessariamente la loro previa (o contestuale) formazione da parte di chi richiede il contributo o la erogazione.

    Non è dato cogliere dunque, con riferimento alla fattispecie dedotta, la distinzione fatta dall'Ufficio ricorrente tra utilizzo di una falsa autodichiarazione e confezionamento di essa, dato che esse nella specie coincidono, a livello sia di previsione normativa sia di condotta concretamente accertata; questa distinzione avrebbe invece senso ove si riferisse alla utilizzazione o presentazione di documenti falsi non costituenti autodichiarazioni, dato che in questo caso la falsificazione preesiste al suo utilizzo e deve ritenersi autonomamente punibile, ove rientrante in una delle fattispecie di reati di falso (in questo senso la sentenza delle Sezioni unite, ric. Carchivi, cit.).

    Ciò posto, deve ribadirsi, in conformità alla giurisprudenza di legittimità di gran lunga prevalente, avallata dalla recente sentenza delle Sezioni unite sopra richiamata, che il reato di cui all'art. 483 c.p. è assorbito nella fattispecie di cui all'art. 316 ter c.p., trattandosi di reato complesso ex art. 84 c.p., e non valendo, proprio per tale motivo, il rilievo della diversità del bene giuridico tutelato dalle due norme, dato che in ogni reato complesso si ha per definizione pluralità di beni giuridici protetti, a prescindere dalla collocazione sistematica della fattispecie incriminatrice.

    È appena il caso di notare come a tale conclusione debba pervenirsi anche nella ipotesi in cui, per il non superamento della soglia minima del valore economico del contributo o della erogazione, sia configurabile una mera violazione amministrativa, perché rientra nelle valutazioni discrezionali del legislatore la scelta della natura e qualità delle risposte sanzionatorie a condotte antigiuridiche, e quindi l'assoggettabilità dell'autore, in una determinata fattispecie, a sanzioni amministrative, pur se frammenti di queste condotte, ove non sussistesse la fattispecie complessa, sarebbero sanzionabili con autonomo titolo di reato, dovendosi fare applicazione anche in questa ipotesi del principio di specialità intercorrente tra fattispecie penali e violazioni amministrative stabilito dall'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

    Consegue il rigetto del ricorso.

    Il ricorso del procuratore generale della Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, è inammissibile.

    La trasmissione degli atti all'autorità amministrativa per i provvedimenti di sua competenza a norma dell'art. 316-ter comma secondo c.p. è adempimento meramente esecutivo che non deve necessariamente trovare collocazione nella sentenza liberatoria che definisce il procedimento penale (v. Cass., sez. VI, 21 giugno 2004, Mele; Id., 16 gennaio 2007, Demartis). (Omissis).

    @CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 19 luglio 2007, n...

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