Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. I, 12 dicembre 2006, n. 40398 (ud. 29 novembre 2006). Pres. Santacroce - Est. Piraccini - P.G. Vitaliano (parz. diff.) - Ric. Affatato.

Sicurezza pubblica - Stranieri - Immigrazione clandestina - Favoreggiamento della permanenza di stranieri in condizioni di illegalità - Cessione di alloggio in locazione - Configurabilità del delitto di cui all'art. 12, comma 5, D.L.vo n. 286/98Esclusione - Ingiusto profitto - Necessità.

In tema di immigrazione clandestina, dal solo fatto che un datore di lavoro, oltre ad occupare alle proprie dipendenze stranieri extracomunitari privi di permesso di soggiorno, con ciò commettendo il reato di cui all'art. 22, comma 12, del D.L.vo 25 luglio 1998 n. 286, fornisca loro anche un alloggio, non può desumersi la sussistenza anche del concorrente e più grave reato di cui all'art. 12, comma 5, del citato D.L.vo (favoreggiamento della illecita permanenza dello straniero a fine di ingiusto profitto), quando non risulti che la disponibilità dell'alloggio sia stata offerta a condizioni disumane, ovvero ad un prezzo esorbitante o sotto forma di comodato senza termine in luogo di un regolare contratto di locazione. (Mass. Redaz.). (D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, art. 22; D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, art. 12) (1).

    (1) La giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, ha più volte affermato che l'atteggiamento soggettivo richiesto per la configurazione del reato di agevolazione ai fini di lucro della permanenza sul territorio nazionale di clandestini non deve essere ravvisato nell'intento di impedire od ostacolare l'espulsione o i controlli sugli stranieri illegalmente dimo ranti sul territorio nazionale, ma nell'intento di conseguire un ingiusto profitto attraverso qualsivoglia condotta agevolatrice della permanenza irregolare di tali stranieri, con piena consapevolezza e volontà di conseguire un indebito arricchimento approfittando del minorato potere contrattuale derivante dalla condizione di illegalità nella quale viene a trovarsi lo straniero. Con particolare riferimento alla cessione di alloggi in locazione ai clandestini, tale da favorirne la permanenza nel territorio dello Stato, si vedano Cass. pen., sez. I, 28 novembre 2003, Capriotti, pubblicata per esteso in questa Rivista 2004, 325; Trib. pen. Pisa, uff. del Gip, ord. 23 marzo 2006, ivi 2006, 730, Trib. pen. Roma, 28 febbraio 2002, Thomas, in Cass. pen. 2002, 3909 ed Trib. pen. Torino, 2 ottobre 2000, C., in Giur. merito 2001, 1076.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - La Corte d'appello di Perugia confermava la condanna inflitta dal tribunale della stessa città nei confronti di Affatato Giuseppe per i delitti di cui agli artt. 12, comma 5 e 22, comma 10, L. 286/98.

L'imputato era stato ritenuto colpevole di favoreggiamento all'immigrazione clandestina per aver favorito la permanenza in Italia di due cittadini extracomunitari clandestini, fornendo loro l'alloggio, e di aver occupato alle proprie dipendenze gli stranieri privi del permesso di soggiorno.

Rilevava che la prova della responsabilità dell'imputato emergeva dagli accertamenti di P.G. secondo i quali i due rumeni erano stati trovati, insieme ad altri italiani, in un appartamento, risultante in uso all'Affatato, ed erano impiegati nella sua impresa; lui personalmente curava i rapporti coi dipendenti, in relazione all'assunzione e ai pagamenti. La circostanza che formalmente l'impresa risultasse intestata ad altro soggetto non determinava il venir meno della sua responsabilità, viste le dichiarazioni rese dai cittadini estracomunitari. Secondo la Corte sussistevano ambedue i reati in quanto la contravvenzione di cui all'art. 22 era configurata per il solo fatto di assumere cittadini extracomunitari privi del permesso di soggiorno, ma in questo caso l'imputato aveva fatto di più e cioè aveva favorito la permanenza in Italia fornendo loro anche l'alloggio. Lo scopo di perseguire un ingiusto profitto si ravvisava sia nell'omesso pagamento dei contributi previdenziali, sia nella corresponsione di una retribuzione inferiore a quella dovuta.

Secondo la deposizione resa da uno dei due dipendenti infatti la retribuzione non superava le lire 1.200.000 ed il fatto che, durante le indagini, avesse riferito il contrario era dovuto allo stato di soggezione in cui l'imputato li poneva, arrivando anche a picchiare i dipendenti.

Contro la decisione presentava ricorso l'imputato deducendo:

- erronea applicazione dell'art. 12, comma 5 L. 286/98 in quanto l'Affatato non era colui che materialmente aveva la disponibilità dell'alloggio e dell'impresa che era intestata ad altra persona e comunque mancava un elemento costitutivo del delitto e cioè la finalità dell'ingiusto profitto, visto che l'appartamento in cui erano alloggiati insieme ad altri operai italiani era dignitoso e che non era stato dimostrato che i due rumeni erano sottopagati, anzi dai documenti acquisiti era emerso che l'effettiva retribuzione era superiore ai due milioni di lire; mancava infine ogni prova di eventuali sopraffazioni compiute dall'imputato nei confronti degli operai;

- violazione di legge penale per l'omessa concessione delle attenuanti generiche e per l'omessa motivazione sul punto della pena, superiore ai minimi edittali. Page 148

La Corte ritiene che il ricorso debba essere accolto limitatamente alla condanna per il reato di cui all'art. 12, comma 5 L. 286/98.

La contestazione effettuata all'imputato è quella di aver favorito la permanenza di cittadini extracomunitari, privi di permesso di soggiorno, fornendo loro un alloggio al fine di trarre un ingiusto profitto, consistente nella disponibilità di mano d'opera in nero. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che l'elemento di distinzione tra il reato di favoreggiamento e quello di cui all'art. 22, comma 10, stessa legge, ferma restando la possibilità del concorso (sez. I, 18 aprile 2003 n. 23438, rv. 224595), consiste nel fuoriuscire dal rapporto sinallagmatico di prestazione d'opera o perché gli stranieri vengono utilizzati in attività illecite o perché si impongono condizioni gravose e discriminatorie diverse e ulteriori rispetto all'omesso pagamento dei contributi (sez. I, 28 giugno 2000 n. 4700, rv. 217167).

La condotta di fornire un alloggio al cittadino extracomunitario può configurare il reato di favoreggiamento qualora dalla stipula del contratto l'imputato intenda trarre un indebito vantaggio dalla condizione di illegalità in cui si trova lo straniero, sempre in relazione a quel particolare rapporto sinallagmatico (sez. I, 16 ottobre 2003 n. 46066, rv. 226476; sez. I, 23 ottobre 2003 n. 46070, rv. 226477). Si è sostenuto, ad esempio, che sussiste il reato di favoreggiamento qualora, nel mettere a disposizione un alloggio, il fine di trarre un ingiusto profitto sia realizzato mediante un comodato senza termine di durata, indipendentemente dal fatto che il prezzo sia equo (sez. I, 2 febbraio 2006 n. 5887, rv. 233108); in tal caso l'ingiusto profitto consiste nell'aver indotto i cittadini extracomunitari a stipulare un contratto, per il proprietario, più vantaggioso rispetto a quello di locazione.

Nel caso di specie il fine di trarre un ingiusto profitto dall'aver dato un alloggio ai cittadini extracomunitari viene individuato nel poter impiegare mano d'opera in nero, creando una commistione tra due rapporti sinallagmatici quello di lavoro e quello di cessione di un alloggio.

Per quanto riguarda il primo il fine di ingiusto profitto non può semplicemente ravvisarsi nell'omesso pagamento dei contributi essendo necessario un quid pluris che non risulta provato; per quanto riguarda la disponibilità dell'alloggio non sarebbe stato provato né una condizione disumana, né un prezzo esorbitante, né la stipula di contratti di comodato senza termine essendosi limitata la sentenza a riferire che gli stranieri occupavano un alloggio nella disponibilità dell'Affatato.

La sentenza, pertanto, deve essere annullata senza rinvio, limitatamente alla ritenuta responsabilità per il delitto di cui all'art. 12, comma 5, L. 286/98, e gli atti debbono essere restituiti solo ai fini della determinazione della pena in ordine al reato di cui all'art. 22 dello stesso decreto, fermo restando il rigetto del motivo inerente all'omessa concessione delle attenuanti generiche. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 7 dicembre 2006, n. 26226. Pres. Elefante - Est. Trombetta - P.M. Velardi (conf.) - Condominio via Firmico Materno 13 in Roma c. Mangano ed altri.

Assemblea condominiale - Deliberazioni - Legittimità - Posti auto in garage condominiale - Non equivalenza dei posti auto - Attribuzione ai singoli condomini - Scelta in base ai millesimi di proprietà ex art. 1118 c.c. - Illegittimità - Applicabilità dell'art. 1102 c.c. - Sussiste.

È illegittima la delibera condominiale, adottata a maggioranza, che, nello stabilire il criterio di uso del garage comune condominiale, attribuisca ai condòmini la scelta del posto macchina secondo il criterio del valore degli appartamenti. Ciò in quanto la quota di proprietà di cui all'art. 1118 c.c., quale misura del diritto di ogni condòmino, rileva relativamente ai pesi e ai vantaggi della comunione, ma non in ordine al godimento che si presume uguale per tutti, come prevede l'art. 1102 c.c. Pertanto, ove i posti macchina non siano equivalenti per comodità d'uso, il criterio da seguire, nel disaccordo delle parti, è quello indicato da quest'ultima norma, la quale impedisce che alcuni comproprietari facciano un uso della cosa comune, dal punto di vista qualitativo, diverso rispetto agli altri. (C.c., art. 1102; c.c., art. 1118) (1).

    (1) Al problema dell'impossibilità di assicurare a ciascun condomino un posto macchina, si ricollega un notevole contenzioso, incentrato sulla pretesa violazione del principio del «godimento separato» e del «pari uso» della cosa comune da parte di tutti i condòmini. Sul significato di tali espressioni si rinvia a Cass. 20...

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