Giurisprudenza costituzionale
Autore | Casa Editrice La Tribuna |
Pagine | 15-21 |
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@CORTE COSTITUZIONALE Ord. 16 luglio 2008, n. 282 (c.c. 9 luglio 2008). Pres. Bile - Rel. Quaranta - S.R. Termotecnica snc c. Comune di Crespina.
Patente - Patente a punti - Obbligo del proprietario del veicolo di comunicare i dati del conducente non identificato al momento dell'infrazione - Sanzionabilità della mancata comunicazione - Disciplina originaria, applicabile ratione temporis - Lamentata irragionevolezza per l'imposizione di un obbligo di denuncia o testimonianza in relazione a meri illeciti amministrativi - Asserita lesione del diritto di difesa per contrasto con il principio nemo tenetur se detegere, ritenuto operante anche in «ambito extrapenale» - Esclusione - Questione manifestamente infondata di legittimità costituzionale.
È manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 126 bis, comma 2, c.s., introdotto dall'art. 7, comma 1, D.L.vo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della L. 22 marzo 2001, n. 85), come modificato dall'art. 7, comma 3, lettera b), D.L. 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), conv. con modif., dall'art. 1, comma 1, L. 1 agosto 2003, n. 214, nonché dell'articolo 180, comma 8, c.s. nella parte in cui obbliga il proprietario del veicolo di comunicare i dati del conducente non immediatamente identificato al momento dell'infrazione e ne sanziona la mancata comunicazione. (Nuovo c.s., art. 126 bis; nuovo c.s., art. 180).
@@CORTE COSTITUZIONALE Ord. 20 maggio 2008, n. 165 (c.c. 16 aprile 2008). Pres. Bile - Rel. Quaranta - E.V c. Comune di Citta- della; F.D. c. Comune di Caprarola.
Patente - Patente a punti - Obbligo del proprietario del veicolo di comunicare i dati del conducente non identificato al momento dell'infrazione - Sanzionabilità della mancata comunicazione - Disciplina originaria, applicabile ratione temporis - Lamentata violazione del diritto fondamentale della persona alla riservatezza e al silenzio - Necessario bilanciamento con l'interesse alla repressione delle infrazioni stradali - Finalizzazione dell'obbligo di comunicazione ad una dichiarazione confessoria in caso di coincidenza del conducente con il proprietario.
Non è fondata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 126 bis, comma 2, c.s., introdotto dall'art. dall'art. 7, comma 1, D.L.vo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, L. 22 marzo 2001, n. 85), come risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, lettera b), D.L. 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), conv., con modif., dalla L. 1 agosto 2003, n. 214, nella parte in cui assoggetta il proprietario del veicolo - in caso di mancata comunicazione dei dati personali e della patente del conducente, non identificato al momento della commessa violazione - alla sanzione contemplata dal comma 8 dell'art. 180 del medesimo codice della strada, senza prevedere esimenti o cause di giustificazione accertate esistenti e fondate. (Nuovo c.s., art. 126 bis).
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO. - Ritenuto che il Giudice di pace di Pisa ha sollevato - in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale del testo originario dell'articolo 126 bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), come modificato dall'art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1º agosto 2003, n. 214, nonché dell'articolo 180, comma 8, del medesimo D.L.vo n. 285 del 1992; che il giudice a quo premette di avere già sollevato analogo incidente di costituzionalità, definito dalla Corte costituzionale con ordinanza - la n. 23 del 2007 - di restituzione degli atti ad esso rimettente, in ragione delle modifiche apportate al testo del censurato art. 126 bis, comma 2, dall'art. 2, comma 164, lettera b), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), intro-Page 16dotto dall'art. 1, comma 1, della relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286; che il Giudice di pace di Pisa illustra, nuovamente, le ragioni che deporrebbero per l'illegittimità costituzionale delle norme censurate; che esso, nel rilevare che la giurisprudenza costituzionale «ha da tempo riconosciuto la propria competenza a sindacare la "ragionevolezza" di disposizioni normative» (è menzionata la sentenza n. 200 del 1972), osserva che, nel caso di specie, «il difetto di ragionevolezza» - e dunque la violazione dell'art. 3 Cost. - deriverebbe dal fatto che la disciplina in contestazione configurerebbe, in sostanza, «un obbligo di denuncia di violazioni di tipo amministrativo posto a carico della generalità dei cittadini»; che a denotare l'irragionevolezza della scelta legislativa rileverebbe, secondo il remittente, la circostanza che «un obbligo di denuncia di tutti i reati, e quindi di fatti quantomeno in astratto configurabili come illeciti di natura più grave rispetto agli illeciti di tipo amministrativo, risulta previsto esclusivamente per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio», visto che al cittadino si fa unicamente carico - sanzionando penalmente soltanto tale omissione - di provvedere alla «denuncia di un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo», e non anche di fattispecie criminose «particolarmente gravi» come «l'omicidio volontario, lo stupro, la partecipazione ad associazioni di tipo mafioso, lo spaccio di sostanze stupefacenti»; che, pertanto, prosegue il remittente, se «l'omessa denuncia di tali reati, anche gravissimi, non comporta conseguenze per il comune cittadino», del tutto irragionevole è la scelta legislativa consistente nella «previsione di sanzioni per l'omessa denuncia di fatti costituenti semplici illeciti amministrativi»; che, inoltre, ove «la norma contestata venga interpretata non tanto come obbligo di denuncia (essendo l'autorità già a conoscenza del fatto, del quale è però sconosciuto l'autore) quanto come un obbligo di rendere testimonianza», essa presenterebbe «un secondo profilo di incostituzionalità», in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost.; che, difatti, se è innegabile l'esistenza di un generale obbligo di rendere testimonianza, «è anche vero che nessuno può essere chiamato non solo a testimoniare contro sé stesso, ma neppure a rendere dichiarazioni dalle quali potrebbe scaturire un procedimento sanzionatorio a suo carico, e ciò in relazione al principio fondamentale nemo tenetur se detegere, riconosciuto in giurisprudenza anche in ambito extrapenale»; che nella specie, invece, si verrebbe «a configurare un vero e proprio obbligo di testimoniare contro se stessi in tutte le ipotesi in cui il proprietario del veicolo sia stato anche l'effettivo conducente dello stesso al momento del rilievo dell'infrazione», donde l'ipotizzata violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost.; che, ciò premesso, il Giudice di pace di Pisa ribadisce che la Corte costituzionale, con la citata ordinanza n. 23 del 2007, nel dare atto delle modifiche apportate dal citato ius superveniens alla prima delle norme anche oggi censurate da esso remittente, gli ha restituito gli atti per una rinnovata valutazione della questione sollevata; che il giudice a quo sottolinea, tuttavia, di dover applicare la norma censurata nella sua originaria formulazione, donde la perdurante rilevanza del dubbio di costituzionalità; che difatti, in forza di quanto stabilito dall'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), la nuova formulazione dell'art. 126 bis, comma 2, del codice della strada non risulta applicabile al caso di specie, giacché in materia di illecito amministrativo vige la regola dell'assoggettamento «della condotta considerata alla legge del tempo del suo verificarsi»; che, pertanto, alla violazione amministrativa oggetto del giudizio principale continua ad applicarsi - sottolinea il giudice a quo - il combinato disposto del vecchio testo dell'art. 126 bis, comma 2, e dell'art. 180, comma 8, del codice della strada.
Considerato che il Giudice di pace di Pisa ha sollevato - in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale del testo originario dell'articolo 126 bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive...
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