Giurisprudenza costituzionale

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Decisioni della Corte

@CORTE COSTITUZIONALE 23 novembre 2006, n. 393. Pres. Bile - Est. Flick - Ric. Trib. Pen. di Bari in proc. R.M.

Reato - Estinzione (Cause di) - Prescrizione - Nuova disciplina - Modifiche normative comportanti un regime più favorevole in tema di termini di prescrizione dei reati - Disciplina transitoriaInapplicabilità delle nuove norme ai processi ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento - Ingiustificata deroga al principio della retroattività della legge penale più favorevole al reo - Illegittimità costituzionale parziale.

È costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, l'art. 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), limitatamente alle parole «dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché». (L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10) (1).

    (1) Con riferimento alla pregressa giurisprudenza di legittimità sull'argomento, si veda Cass. pen., sez. VI, 10 gennaio 2006, Marcantonini, in questa Rivista 2006, 301, che aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, terzo comma, legge n. 251/05 secondo cui non si applicano i termini di prescrizione che risultino più brevi di quelli previgenti nei processi già pendenti in primo grado, ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché nei processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione. La conclusione della Corte era motivata dalla considerazione che il legislatore, nell'ambito di un articolato regime transitorio, ha operato una ragionevole differenziazione tra gli imputati, in virtù di un fattore oggettivo, rappresentato dalla diversa incidenza della modifica legislativa dei termini di prescrizione nel tempo e nei diversi stadi dell'accertamento penale, ponendo in essere tale modulazione senza «revocare in dubbio» il nucleo essenziale e fondamentale della garanzia offerta ai cittadini attraverso l'istituto della prescrizione. Si veda, inoltre, Cass. pen., sez. V, 20 marzo 2006, Bonito, in CED Archivio penale RV 233834.

RITENUTO IN FATTO. 1. - Con ordinanza del 23 dicembre 2005, il Tribunale di Bari ha sollevato, in relazione all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), «nella parte in cui subordina l'applicazione delle norme contenute nell'art. 6 della medesima legge ai soli procedimenti penali in cui non sia stata dichiarata l'apertura del dibattimento».

Premette il rimettente che, nel corso di un giudizio a carico di persona imputata del reato di millantato credito di cui all'art. 346, secondo comma, del codice penale, il difensore dell'imputato aveva eccepito l'illegittimità costituzionale del predetto art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui subordina l'applicazione delle norme ivi contenute (ed, in particolare, l'art. 6, con cui è stato modificato il disposto degli artt. 157 e 160 c.p., relativi alla prescrizione del reato) alla condizione della mancata apertura del dibattimento nei procedimenti penali pendenti alla data di entrata in vigore della medesima legge; che la difesa aveva evidenziato tanto la rilevanza della questione - considerato che l'applicazione della nuova disciplina avrebbe comportato l'immediata declaratoria di prescrizione del reato ascritto all'imputato - quanto la non manifesta infondatezza della stessa.

Il giudice a quo reputa la questione proposta rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata. Quanto al profilo della rilevanza, egli condivide l'assunto difensivo secondo cui, in caso di applicazione della nuova disciplina alla vicenda processuale al suo esame, deriverebbe la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, pronuncia «che, invece, alla stregua della disciplina originaria dell'art. 157 c.p., l'imputato non potrebbe invocare».

In ordine alla non manifesta infondatezza, il tribunale rimettente rileva che la scelta del legislatore di rendere applicabile la disciplina della legge n. 251 del 2005 ai procedimenti pendenti, in base al criterio relativo all'avvenuta apertura del dibattimento, «non appare sorretta da giustificazioni di ordine logico», né appare ispirata a finalità tali da giustificare il diverso trattamento così riservato a diverse categorie di cittadini. A parere del giudice a quo, invero, la modifica apportata al regime della prescrizione dei reati «rappresenta un mutamento del fatto tipico, esprimendo una differente valutazione del legislatore in ordine al disvalore del reato». In tal...

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