Il giudizio abbreviato transitorio di cui all'art. 223 D.l.vo n. 51/1998

AutoreGiuseppe Luigi Fanuli
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@1. Premessa.

Tra gli istituti introdotti dal legislatore nelle norme transitorie della disciplina in materia di istituzione del giudice unico di primo grado, finalizzati ad un celere smaltimento dell'arretrato, suscita particolare interesse, anche in relazione alla significativa incidenza pratica che sembra poter assumere, quello del giudizio abbreviato predibattimentale, previsto e disciplinato dall'art. 223 del D.L.vo 19 febbraio 1998 n. 51.

La disposizione in commento offre la possibilità all'imputato, nei giudizi di primo grado in corso al momento dell'entrata in vigore dell'anzidetto decreto (giugno 1999, non risultando la norma in questione tra quelle la cui entrata in vigore è «slittata» al 1° gennaio 2000) e prima dell'inizio dell'istruzione dibattimentale, di chiedere il giudizio abbreviato.

In tale ipotesi il giudice, acquisito il necessario consenso del pubblico ministero, «dispone con ordinanza la prosecuzione del giudizio, osservando le disposizioni previste per l'udienza preliminare, in quanto applicabili».

La disposizione in esame prevede, inoltre, al secondo comma, che «se non ritiene di poter decidere allo stato degli atti indica alle parti temi nuovi ed incompleti e provvede ad assumere gli elementi necessari ai fini della decisione nelle forme previste dall'art. 422 del c.p.p.».

Tale disciplina, già ad un primo esame, evidenzia rilevanti singolarità dell'istituto, che valgono a differenziarlo in modo netto dal giudizio abbreviato ordinario, e, altresì, dall'analogo istituto, anch'esso di diritto transitorio, previsto dall'art. 247 D.L.vo 28 luglio 1989 n. 271 (norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) per i procedimenti penali in corso al momento dell'entrata in viore del codice di procedura penale del 1988 ai quali si applicavano le norme anteriormente vigenti. Singolarità che, come si vedrà, fanno seriamente dubitare della possibilità di inquadrare dogmaticamente l'istituto in questione nel genus «giudizio abbreviato» ed ipotizzare, invece, un ibrido istituto premiale il cui unico presupposto è la rinunzia dell'imputato (con il consenso del pubblico ministero) al dibattimento.

@2. Ambito di applicazione.

Il primo comma dell'art. 223 chiarisce che l'istituto è applicabile, come detto, ai giudizi di primo grado in corso, con terminologia tecnica inequivocabile e ben distinta da quella utilizzata dall'art. 226 dello stesso decreto legislativo (come modificato dall'art. 8 del D.L.vo 4 maggio 1999 n. 138), con riferimento alla sentenza di non doversi procedere per prescrizione, che ne ha determinato l'ambito di operatività ai «procedimenti pendenti alla data di efficacia» del decreto medesimo.

Ciò sta a significare, indubitabilmente, che sarà possibile procedere con il rito abbreviato solo nei procedimenti che, alla data di entrata in vigore del ricordato decreto, si trovino pendenti nella fase del giudizio e non ai procedimenti che, alla stessa data risultino (solo) iscritti nel registro di cui all'art. 335 c.p.p., o rispetto ai quali sia stata esercitata l'azione penale ma non sia stata ancora celebrata l'udienza preliminare.

Ciò del resto, è del tutto coerente con la finalità deflattiva dell'istituto in questione: diversamente opinando si consentirebbe agli imputati di omettere di richiedere il rito alternativo all'udienza preliminare, confidando nella possibilità di ottenere gli stessi benefici (e guadagnare tempo) in sede predibattimentale. Con il che risulterebbe vanificata la funzione di filtro dell'udienza preliminare.

Limitare l'ambito di applicazione ai procedimenti in fase di giudizio (fase di cui si occupa il libro VII del codice di rito) significa, peraltro, escludere tutti quei processi per i quali è già stato pronunziato il decreto che dispone il giudizio, ma che non sono stati trasmessi al giudice del dibattimento, e per i quali sono in corso gli adempimenti di cui agli artt. 431 ss. c.p.p. Tale esclusione non appare giustificata dalla finalità deflattiva di cui si è appena detto. Si ritiene pertanto che, con un'interpretazione non strettamente letterale, ma che abbia riguardo alla ratio della disposizione in commento, nulla osti a ricomprendere detti procedimenti nell'ambito di operatività dell'istituto di cui trattasi.

L'altro termine (finale) di operatività è stato correttamente individuato dal legislatore nell'inizio dell'istruzione dibattimentale e, quindi, l'applicazione dell'istituto resta preclusa dall'assunzione del «primo» elemento di prova.

Ciò significa, in sostanza, che, prima di chiedere il giudizio abbreviato, l'imputato...

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