Il provvedimento giudiziario e la responsabilità disciplinare del magistrato

AutoreDomenico Potetti
Pagine350-361
350
dott
4/2012 Arch. nuova proc. pen.
DOTTRINA
IL PROVVEDIMENTO
GIUDIZIARIO
E LA RESPONSABILITÀ
DISCIPLINARE
DEL MAGISTRATO
di Domenico Potetti
SOMMARIO
1. Contenuto del provvedimento giudiziario e responsabilità
disciplinare. La situazione prima della riforma del 2006. 2.
segue: i contenuti della riforma. La grave violazione di legge.
3. segue: il travisamento del fatto. 4. I provvedimenti “suici-
di”. 5. I provvedimenti in tema di libertà personale. 6. I difetti
della motivazione. 7. La lettera a) dell’art. 2 (ingiusto danno
o indebito vantaggio).
1. Contenuto del provvedimento giudiziario e responsa-
bilità disciplinare. La situazione prima della riforma
del 2006
Conosciamo il dibattito e l’ambiente culturale che han-
no fatto da sfondo agli interventi recenti sull’ordinamento
giudiziario; così come sappiamo che quelle ispirazioni di
fondo continuano a condizionare i progetti di riforma non
solo dell’ordinamento giudiziario in senso stretto, ma an-
che delle normative processuali e sostanziali.
La riforma del sistema disciplinare, attuata con il
D.L.vo n. 109 del 2006 (d’ora in avanti D.L.vo) si è iscritta
a pieno titolo nel contesto che abbiamo appena indicato.
Si è giustamente osservato (1) che un ristretto gruppo
delle ipotesi di illecito disciplinare di nuovo conio (la
maggior parte delle quali rientra tra quelle realizzate nel-
l’esercizio delle funzioni), desta preoccupazione.
Tali ipotesi, si è rilevato, nel palesare un’evidente
sf‌iducia nella categoria dei magistrati, sembrano dirette
a spostare il cuore della responsabilità disciplinare dai
“comportamenti” del magistrato ai suoi “provvedimenti”,
andando ad incidere in modo rilevante sul rapporto tra il
giudice e la legge.
Le suddette fattispecie appaiono funzionali (peraltro
in coerenza con lo spirito complessivo della riforma) alla
def‌inizione di un modello di giudice alternativo a quello
che si è andato consolidando nel corso degli anni, e cioè
ad un modello di “giudice-funzionario”, meno sensibile al
pluralismo dei valori, alle esigenze mutevoli della società,
alla diffusione dei principi costituzionali.
In def‌initiva si propende per un giudice il più possibile
mero applicatore del comando, strettamente inteso, ripor-
tato nel testo emanato dal legislatore.
Tuttavia, la nostra tradizione giuridica (anche sulla
base dell’assetto costituzionale vigente) va in tutt’altra
direzione.
La Corte costituzionale già affermò che, per quanto ri-
guarda i magistrati, il fondamento del potere disciplinare
non può ricercarsi, come per gli impiegati pubblici, nel
rapporto di supremazia speciale della pubblica ammini-
strazione verso i propri dipendenti, dovendo escludersi
un rapporto del genere nei riguardi dei magistrati stessi,
sottoposti soltanto alla legge, ex art. 101 Cost. (2).
Nella vigenza dell’abrogato art. 18 del r.d.l. 31 maggio
1946, n. 511, anche la giurisprudenza più propriamente
disciplinare ha avuto ripetutamente modo di occuparsi
del problema della sindacabilità in sede disciplinare del
provvedimento giurisdizionale.
Innanzi tutto, si disse, la negligenza del magistrato
nell’espletamento dei propri compiti non può integrare re-
sponsabilità disciplinare, ai sensi allora dell’art 18 del r.d.l.
n. 511 del 1946, ove si riferisca all’esercizio della funzione
giurisdizionale (cioè alla formazione e manifestazione del
proprio convincimento), la quale è censurabile unicamen-
te nelle previste sedi d’impugnazione.
Tuttavia, detta negligenza resta rilevante, ai f‌ini di-
sciplinari, ove riguardi gli obblighi e l’attività anteriore
e strumentale rispetto a quella giurisdizionale, come nel
caso di mancata acquisizione del certif‌icato di nascita del-
l’imputato in un procedimento penale (nella specie: per
false dichiarazioni sulla identità personale), in violazione
della disposizione dell’art. 2, n. 2, lett. d) del r.d. 28 maggio
1931, n. 603 (3).
A ben vedere quest’ultimo è un caso limite, che solo
marginalmente tocca il provvedimento giudiziario, riguar-
dando piuttosto l’eventuale attività materiale e funzionale
rispetto alla formazione del provvedimento medesimo.
Il cuore del problema è altrove, e sta esattamente nella
diff‌icile individuazione del conf‌ine fra sindacato discipli-
nare e indipendenza del magistrato rispetto al contenuto
del provvedimento giudiziario.
Su questo tema la giurisprudenza disciplinare ha rag-
giunto risultati piuttosto convincenti, anche se ispirati ad
un diff‌icile equilibrismo.
Infatti, secondo un consolidato orientamento giuri-
sprudenziale, si ritiene che il principio di indipendenza
della magistratura, sancito dagli artt. 101 e 104 della Co-
stituzione, esclude la sindacabilità degli atti posti in es-
sere dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni (salvi,
ovviamente, i mezzi processuali di impugnazione).
Per tale motivo, l’inesattezza tecnico-giuridica del
provvedimento giudiziario, censurabile con i mezzi di
impugnazione previsti dall’ordinamento, non può di per sé
costituire illecito disciplinare.
Fin qui si estende l’ossequio al principio costituzionale
dell’indipendenza del magistrato.
Tuttavia, si è ancora ritenuto, detta insindacabilità del
provvedimento giudiziario in sede disciplinare viene meno
qualora il suddetto provvedimento, per scarso impegno,
approssimazione, insuff‌iciente ponderazione, limitata
diligenza, ovvero per una decisione del tutto arbitraria (in

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