Giudice di Pace Penale di Taranto 14 giugno 2018, n. 310

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Rivista penale 10/2018
MERITO
GIUDICE DI PACE PENALE DI TARANTO
14 GIUGNO 2018, N. 310
EST. IRACI – IMP. D.A.
Ingiuria e diffamazione y Diffamazione y Diritto
di critica politica y Condanna dell’imputato y Asso-
luzione perché il fatto non sussiste y Condanna del
querelante al pagamento delle spese del procedi-
mento penale e del risarcimento del danno in fa-
vore dell’imputato y Conf‌igurabilità y Sussistenza.
. Vanno condannati al pagamento delle spese anticipa-
te dallo Stato e, in quanto espressamente domandato,
delle spese sostenute dall’imputato, nonché dei danni
patiti da quest’ultimo, equitativamente liquidati, i que-
relanti, poi costituitisi parte civile, laddove, benché
ben consapevoli dell’insussistenza dei fatti denuncia-
ti e dell’assoluta inoffensività o inidoneità lesiva della
espressione ascritta all’imputato, si sono determinati
alla proposizione di un’istanza punitiva manifesta-
mente infondata, nonché disincentivante e foriera di
ingiusto pregiudizio per la serenità dello svolgimento
delle funzioni di controllo e sindacato ispettivo riserva-
te dalla legge al consigliere comunale. (c.p.p., art. 427;
c.p.p., art. 542)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con decreto di citazione ritualmente notif‌icato D.A. ve-
niva tratto a giudizio davanti a questo Giudice per rispon-
dere del reato di cui in epigrafe.
All’udienza del 6 novembre 2017, assolti gli adem-
pimenti preliminari e fallito il tentativo obbligatorio di
conciliazione, già costituite parti civili le persone offese,
veniva dichiarata l’apertura del dibattimento e, sulle ri-
chieste delle parti, venivano ammesse le prove ritenute
ammissibili e necessarie.
Si procedeva quindi all’acquisizione, col consenso,
della querela sporta da G.G. e D.P. ai f‌ini della piena uti-
lizzabilità probatoria, autorizzando le parti a porre ai me-
desimi eventuali domande a chiarimenti, all’escussione
dei testi indicati rispettivamente dal P.M. e dalla difesa
dell’imputato, ed all’esame di quest’ultimo, ed esaurita
l’assunzione delle prove, all’esito della discussione e sulle
conclusioni riportate a verbale, veniva dichiarata la chiu-
sura del dibattimento ed emessa sentenza con lettura del
relativo dispositivo in udienza.
Nel merito la vicenda trae origine dalla denuncia que-
rela suindicata, sporta in data 4 agosto 2016 dal G. – in
qualità di Sindaco del Comune di C. – e dal D. - Respon-
sabile dell’Uff‌icio Lavori Pubblici dello stesso Comune –
predetti, testi-persone offese, i quali rappresentavano che:
“… in data 10 maggio 2016, verso le ore 8.30, il sig. D. -
consigliere comunale di minoranza - si recava presso l’Uff‌i-
cio Protocollo dove le dipendenti, sig.ra G.M. e C.G., erano
intente a sistemare le numerose buste della gara anzidet-
ta. A tale vista, il prefato affermava: “vedo che siete invase
dalle buste”, ed in risposta, le citate signore, unitamente,
rispondevano: “si, ci sono stati problemi in precedenza”.
A questo punto, il sig. D., testualmente, dichiarava:
“Beh, f‌inalmente hanno deciso di fare la gara come si deve,
così smetteranno di far vincere sempre le stesse ditte”, per
poi andar via.
In data 12 maggio 2016, ore 8,30 circa, nuovamente il
sig. A.D. entrava all’interno dell’Uff‌icio Protocollo e, dopo
aver visto le due dipendenti G. e C. ancora intente a siste-
mare le buste della gara, affermava testualmente: “bene
bene, così smetteranno di far vincere sempre le stesse dit-
te”, andando subito dopo”.
Orbene, gli esiti della predetta attività istruttoria
espletata hanno escluso la sussistenza del reato ascritto
all’imputato.
Per intanto, l’episodio, asseritamente avvenuto in data
12 maggio 2016, ha trovato smentita al punto 10 del “bando
di gara” della “procedura aperta” in questione (doc. n. 17
della produzione documentale della difesa dell’imputa-
to, acquisita all’udienza del 19 marzo 2018), e cioè che l’
“apertura delle offerte” sarebbe avvenuta in “seduta pub-
blica” già il giorno precedente (“11 maggio 2016”) a quello
denunciato: è inverosimile, infatti, che “in data 12 mag-
gio 2016, ore 8.30 circa, nuovamente il sig. A.D. entrava
all’interno dell’Uff‌icio Protocollo e, dopo aver visto le due
dipendenti ancora intente a sistemare le buste della gara,
affermava testualmente: “bene, bene, così smetteranno
di far vincere sempre le stesse ditte”, andando via subito
dopo” (denuncia querela in atti).
La stessa teste C., d’altronde, all’udienza del 14 feb-
braio 2018, riferiva: “… sono stata presente solo a questo
episodio di cui ho innanzi detto. Non ricordo la data. Il D.
veniva spesso in uff‌icio; contestualmente a quel periodo,
l’ho visto solo il giorno di cui ho prima parlato”.
Quanto invero all’episodio del 10 maggio 2016, le
espressioni denunciate in querela e contestate nel capo
d’imputazione de quo non possono ritenersi provate al di
là di ogni ragionevole dubbio.
Già gli stessi G. e D., intanto, escussi all’udienza del 20
novembre 2017, ricostruivano la espressione predetta in
termini diversi da quelli denunciati: “... l’espressione rife-
ritami è stata: “fate vincere sempre le stesse ditte” (G.),
“...così la smettono di aggiudicare gli appalti sempre alle
stesse persone. Finalmente fanno le cose per bene” (D.).
E durante la seduta pubblica del Consiglio Comunale
di C. del 20 maggio 2016 (doc. n. 1 della produzione do-
cumentale della difesa dell’imputato, acquisita all’udienza
del 19 marzo 2018), ovvero a distanza di soli dieci giorni
dal fatto per cui è processo, il Sindaco G. lamentava la se-
guente frase: “non è giusto che si fanno vincere sempre le
stesse ditte”, e negli stessi, sicuramente non diffamatori,
termini, la frase veniva riferita da una delle sue dirette de-
stinatarie, ovvero la G.: “f‌inalmente hanno deciso di fare la
gara come si deve, così non vinceranno più le stesse ditte”.
Siffatta espressione, pertanto, differente da quella de-
nunciata, e senz’altro priva di qualsiasi attacco diretto ad
alcuno dei querelanti, veniva, inf‌ine, confermata all’udien-
za del 14 febbraio 2018 anche dall’altra persona presente
ai fatti, e cioè la C.: “… sentii il D. dire: “… così la smette-
ranno di vincere le gare sempre le stesse ditte”.
10/2018 Rivista penale
MERITO
Questa residua quota di pericolosità sociale di tipo psi-
chiatrico può essere neutralizzata e controllata con la per-
manenza in trattamento presso una struttura sanitaria o
residenziale che offra livelli assistenziali e riabilitativi di
minima risocializzazione, con adeguata vigilanza diretta
sull’assunzione delle terapie psicofarmacologiche prescritte.
3.2 Da quanto precede si evince quindi la sussistenza
(ai f‌ini dell’applicazione della misura di sicurezza) della
pericolosità sociale dell’imputato.
Prima della L. n. 81/14 si riteneva in effetti che ai f‌ini
del giudizio di pericolosità sociale, quando si fosse trattato
di infermi o seminfermi di mente, il riferimento, contenu-
to nel comma 2 dell’art. 203 c.p., alle “circostanze indicate
nell’art. 133” non escludesse affatto, ma anzi presuppones-
se che dette circostanze venissero valutate tenendo conto
della situazione obiettiva in cui il soggetto, dopo la commis-
sione del reato e l’eventuale espiazione della pena, si fosse
trovato a vivere e ad operare e, quindi, anche della presenza
ed aff‌idabilità o meno di presidi territoriali socio-sanitari, in
funzione delle obiettive e ineludibili esigenze di prevenzio-
ne e di difesa sociale alla cui salvaguardia sono f‌inalizzate
(in difetto di altri strumenti d’intervento e di controllo che
assicurino pari o superiore eff‌icacia) le misure di sicurezza
previste dalla legge (v. Cass., sez. I, n. 507-93-94).
Ma dopo la L. n. 81-14 (pur restando immutata la def‌i-
nizione ex art. 203 c.p.) il giudizio di pericolosità sociale è
stato conf‌igurato diversamente dal comma 4 dell’art. 3 ter
del D.L. n. 211/11 (conv. L. n. 9/13, poi modif‌icato dalla L.
n. 81/14), sia pure ai soli f‌ini indicati dalla norma (cioè ai
soli f‌ini dell’applicazione di una misura “diversa dal rico-
vero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa
di cura e custodia”: v. infatti C. cost. n. 186/15).
Esso prevede (fra l’altro) che l’accertamento della pe-
ricolosità sociale è effettuato sulla base delle qualità sog-
gettive della persona e senza tenere conto delle condizioni
di cui all’art. 133, secondo comma, n. 4, c.p. (e cioè delle
condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo),
e che non costituisce elemento idoneo a supportare il giu-
dizio di pericolosità sociale la sola mancanza di program-
mi terapeutici individuali.
Questa norma ha superato indenne lo scrutinio di co-
stituzionalità (v. C. cost. n. 186/15).
Infatti, il Giudice delle leggi ha “assolto” il comma 4
dell’art. 3 ter del D.L. n. 211/11, ritenendo che la modif‌ica
introdotta dalla novella (dell’art. 1, comma 1, lett. b), del
D.L. n. 52/14) non riguarda la pericolosità sociale come
categoria generale, ma si riferisce più specif‌icamente alla
pericolosità che legittima il ricovero in un ospedale psi-
chiatrico o in una casa di cura.
La disposizione, osservano i giudici della Consulta,
esordisce affermando che “il giudice dispone nei confronti
dell’infermo di mente e del seminfermo di mente l’applica-
zione di una misura di sicurezza”, ed è chiaro che nel fare
ciò il giudice deve valutare la pericolosità sociale nei modi
generalmente previsti.
È solo, si dice, per disporre il ricovero di una persona in
un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura
o di custodia che il giudice deve accertare, senza tenere
conto delle condizioni di cui all’art. 133, secondo comma,
n. 4, del c.p., che ogni misura diversa non è idonea ad as-
sicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità
sociale.
La limitazione quindi non riguarda in generale la pe-
ricolosità sociale, ma ha lo scopo di riservare le misure
estreme, fortemente incidenti sulla libertà personale, ai
soli casi in cui sono le condizioni mentali della persona a
renderle necessarie.
Resta però (osserva questo giudicante) che la riforma
si esprime (sia pure nei limiti suddetti) a favore di una pe-
ricolosità sociale decontestualizzata, mediante un’astra-
zione del giudizio rispetto ai fattori esterni alla persona,
che non possono essere presi in considerazione.
Com’è stato correttamente osservato in dottrina, la ri-
forma ci consegna un’immagine dell’autore del reato come
un soggetto da laboratorio, sottratto all’inf‌luenza dei fat-
tori esterni e sembra guardare con favore il ritorno ad una
nozione biologica di pericolosità sociale.
3.3 Comunque, alla luce di tali considerazioni, l’impu-
tato qui giudicato va considerato socialmente pericoloso,
proprio sulla base di quella concezione puramente sogget-
tiva (astratta) che la riforma di cui sopra ha voluto con-
sacrare.
Secondo il responso del perito, infatti, è chiaro che
l’imputato, esaminato di per sé stesso, in modo puramente
individuale (come vuole la riforma) è socialmente peri-
coloso.
Come si è visto, a nulla rileva l’eventuale prof‌icuo con-
testo in cui eventualmente l’imputato possa essere inse-
rito; contesto che potrebbe arginare la sua pericolosità
sociale, inducendolo (in ipotesi) ad assumere i farmaci a
ciò necessari.
Si tiene altresì, nei sensi di cui al comma 4 dell’art. 3
ter del D.L. n. 211/11, che ogni misura diversa dal ricovero
in apposita struttura protetta non sarebbe idonea ad assi-
curare all’imputato cure adeguate e a fare fronte alla sua
pericolosità sociale, perché solo una siffatta struttura può
garantire le cure necessarie ad arginare quella pericolosi-
tà, mediante una continua e adeguata assistenza.
Del resto lo stesso consulente ha stabilito la necessi-
tà di una prosecuzione vigile e direttiva dei trattamenti
psicofarmacologici e riabilitativi, presso una struttura ri-
abilitativa che disponga di adeguati livelli di vigilanza ed
assistenza sull’assunzione farmacologica, l’igiene di vita e
mentale e la risocializzazione
Va quindi applicata al medesimo la misura di sicurezza
di cui il dispositivo. (Omissis)

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