Giudicato Penale Di Condanna, Pene Accessorie E Sanzioni Disciplinari Applicate Ai Magistrati

AutorePietro Zoerle
Pagine621-626
621
giur
Arch. nuova proc. pen. 6/2016
LEGITTIMITÀ
mata la responsabilità anche disciplinare del magistrato,
ha ritenuto che in base al D.L.vo n. 109 del 2006, art. 12,
comma 5, che espressamente prevede “la sanzione della ri-
mozione per gli stessi fatti che comportano l’estinzione del
rapporto d’impiego a norma dell’art. 32 bis c.p.”, all’incol-
pato doveva essere “necessariamente irrogata la sanzione
della rimozione”, potendo risultare le due sanzioni “appli-
cate congiuntamente, rispettivamente sul piano penale e
su quello disciplinare”.
Nell’avere dunque diversa natura, ed in sintonia con
il principio secondo cui “l’azione disciplinare è promossa
indipendentemente dall’azione penale relativa allo stesso
fatto”, risiede la ragione dell’applicabilità congiunta delle
due sanzioni.
Per connotare la diversa natura della sanzione discipli-
nare rispetto alla pena accessoria è suff‌iciente ricordare
che quest’ultima, come la generalità delle sanzioni penali,
nel corso del tempo può estinguersi, in forza di amnistia
(art. 151 c.p., comma 1) o per effetto della riabilitazione
(art. 178 c.p.), laddove la permanenza degli effetti della
sanzione disciplinare ne rivela, con evidenza nel caso
della più severa di esse quale è la rimozione, la specif‌ica
aff‌littività.
Ciò comporta che in tali ipotesi non è dato ravvisare
la sopravvenuta carenza di interesse da parte dell’ammi-
nistrazione alla prosecuzione del giudizio disciplinare,
posta da queste Sezioni Unite in altri casi di cessazione
dal servizio – pervero non in presenza di estinzione del
rapporto di impiego ai sensi dell’art. 32 bis c.p. – a fonda-
mento della dichiarata improseguibilità del procedimento
disciplinare.
Ora, la nuova disciplina degli illeciti disciplinari dei
magistrati, dettata dal D.L.vo n. 109 del 2006, non ha pre-
visto forme di riabilitazione o analoghi istituti: in proposi-
to non è superf‌luo rilevare che, nel dichiarare con la sent.
n. 289 del 1992 l’illegittimità costituzionale della norma
che consentiva l’applicazione ai magistrati della riabili-
tazione prevista per gli impiegati civili dello Stato colpiti
da sanzione disciplinare, la Corte costituzionale osservava
che “se è ben vero che in ciascuna delle forme di riabili-
tazione previste nell’ordinamento vigente – segnatamente
sia nella riabilitazione penale (art. 178 c.p.) e in quella
civile (art. 466 c.c.), sia nella riabilitazione dei pubblici
impiegati (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 87) e in quella del fal-
lito (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 142-145) – si riscon-
tra un nucleo normativo comune, tanto con riferimento
ai presupposti per l’applicazione (decorso del tempo e
valutazione della buona condotta) quanto con riferimento
agli effetti (estinzione di specif‌iche incapacità giuridiche
e di effetti ulteriori rispetto alla sanzione principale della
condanna), non è meno vero che ciascuna delle forme di
riabilitazione indicate costituiscono un modello a sè, com-
posto da una diversa combinazione e da una diversa deter-
minazione degli elementi essenziali sopra ricordati. E non
vi è dubbio che la scelta di un modello ovvero di un altro
e, persino, la scelta di aff‌idare alla riabilitazione ovvero
a meccanismi diversi l’eliminazione degli effetti ulteriori
della condanna disciplinare spettano al legislatore, il qua-
le, nell’esercizio non irragionevole della sua discreziona-
lità politica, deve valutare quale istituto o quale modello
sia più coerente con il sistema disciplinare considerato”.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. (Omissis)
GIUDICATO PENALE
DI CONDANNA, PENE
ACCESSORIE E SANZIONI
DISCIPLINARI APPLICATE
AI MAGISTRATI (*)
di Pietro Zoerle
SOMMARIO
1. Il caso. 2. Questioni inerenti alla disciplina transitoria. 3.
La rimozione quale soluzione “obbligata” nel caso di interdi-
zione?. 4. L’autonomia tra la pena accessoria dell’estinzione
del rapporto di lavoro e la sanzione disciplinare della rimo-
zione. 5. Una rif‌lessione in tema di ne bis in idem.
1. Il caso
La sentenza 4004/2016 delle Sezioni Unite della Cor-
te di cassazione attiene ai rapporti fra giudicato penale e
procedimento disciplinare a carico dei magistrati ordina-
ri. Il caso da cui muove riguarda un fatto di corruzione in
atti giudiziari: si trattava della promessa di vendita a un
giudice di alcuni appartamenti a un prezzo di favore aff‌in-
ché non accogliesse la richiesta di sequestro preventivo di
un complesso immobiliare.
In ambito penale, quel giudice veniva accusato del
reato di cui all’art. 319-ter c.p. – in relazione all’art. 319
c.p. – e condannato in via def‌initiva alla pena principa-
le di quattro anni e nove mesi di reclusione e alle pene
accessorie dell’interdizione temporanea dai pubblici uff‌ici
(art. 29 c.p.) e dell’estinzione del rapporto d’impiego (art.
32-quinquies c.p.).
In ambito disciplinare, veniva formulata un’incolpa-
zione ex art. 18, R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511 secondo il
quale «il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga in
uff‌icio o fuori una condotta tale, che lo renda immeritevo-
le della f‌iducia e della considerazione di cui deve godere,
o che comprometta il prestigio dell’ordine giudiziario, è
soggetto a sanzioni disciplinari». Il procedimento discipli-
nare veniva sospeso per pregiudizialità penale; divenuta
irrevocabile la sentenza penale di condanna, la Sezione
disciplinare del C.S.M. provvedeva alla riassunzione del
procedimento, e il procuratore generale rimodulava l’in-

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