Una nuova frontiera risarcitoria per le contravvenzioni illegittime?

AutoreGiuseppe Cassano
Pagine228-232

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Il caso

Il Giudice di pace di Bologna ha condannato il comune al risarcimento del danno subito da un cittadino disabile a causa di illegittime contravvenzioni irrogategli 1. Più precisamente l'attore si era rivolto al Comando dei Vigili Urbani per chiedere l'annullamento delle contravvenzioni, ma nonostante l'evidenza dei fatti i Vigili si erano rifiutati di accogliere l'istanza, costringendolo così a ricorrere al prefetto, il quale aveva archiviato i due procedimenti.

L'attore ritenendo che il comportamento del comune gli avesse provocato dei danni di natura patrimoniale ed esistenziale ha proposto azione di risarcimento ai sensi dell'art. 2043 c.c., azione accolta dal giudice di pace.

La vicenda sarebbe stata destinata a passare totalmente inosservata se non fosse stato per il fatto che è stato risarcito, per cattivo esercizio del potere sanzionatorio, il danno esistenziale. Il giudice di pace felsineo, di fronte alla domanda di ristoro dei danni patrimoniali ed esistenziali, condanna l'amministrazione al pagamento, cosa del tutto nuova, anche del danno esistenziale, danni «determinati dal conseguente stato di frustrazione e disagio che ne è derivato, senza dimenticare il disagio per il grave dispendio di tempo ed energie necessarie per le proprie difese, essendo egli consapevole delle proprie buone ragioni».

Prima di valutare la bontà dell'iter argomentativo della pronuncia in esame, è opportuno sgombrare il campo da alcuni equivoci sorti attorno alla figura del danno esistenziale.

Inquadramento del danno esistenziale

Il termine danno nell'ambito della responsabilità aquiliana rappresenta da una parte un elemento costitutivo della fattispecie di illecito civile ai sensi dell'art. 2043 c.c. (lesione di un interesse), dall'altro integra l'oggetto dell'obbligazione risarcitoria e dunque si connota quale sanzione, quale effetto dell'illecito, corrispondente all'ammanco di utilità subito dal soggetto passivo. Si parla così di giuridicizzazione del danno in relazione al fatto che l'attribuzione della connotazione di ingiustizia e quindi la sussistenza di una lesione della sfera giuridica altrui rende il pregiudizio empirico giuridicamente rilevante ai fini del giudizio di responsabilità e nel contempo ne consente la traslazione in oggetto dell'obbligazione risarcitoria.

L'ingiustizia si colloca tra l'evento naturalistico ed il pregiudizio economico caratterizzando il primo nel senso di una lesione di posizione giuridica soggettiva (sia essa un diritto assoluto, relativo o interesse legittimo o comunque meritevole di protezione) e rendendo il secondo ristorabile alla stregua dell'ordinamento civilistico. In sostanza il danno risarcibile non si identifica in qualunque lesione materiale e naturalistica patita dalla vittima, ma dipende dalle scelte di valore operate dall'ordinamento giuridico nella selezione degli interessi protetti e delle conseguenze pregiudizievoli economicamente rilevanti 2.

Il punto focale è che, secondo una ormai datata impostazione, occorre comunque una diminuzione patrimoniale cui parametrare l'entità dell'obbligazione risarcitoria. In altre parole, pur se aumentano le situazioni giuridiche tutelate, rimane, salvo limitate eccezioni, la verifica delle conseguenze negative della lesione, diluendosi il concetto di patrimonio per farvi rientrare la somma delle capacità di una persona e quindi giustificare in termini patrimoniali la lesione di beni e valori non proprio patrimoniali.

Tale apertura, che rinviene la sua matrice più lontana nella c.d. Differenztheorie, apporta nuova linfa ad una visione tradizionale e statica del patrimonio e dei beni tutelati, richiedendo l 'esistenza di un pregiudizio economico causalmente conseguente all'evento naturalistico, dovendosi la nozione di patrimonio ampliarsi per tutelare i valori della persona, includendovi ogni valore e utilità economica di cui il danneggiato può disporre.

Il presupposto di tale tesi è quello di limitare l'ampiezza dell'area dei danni non patrimoniali in senso stretto, rientranti nella disciplina dell'articolo 2059 c.c. (di fatto ritenuto disciplinare il solo danno derivante dalle sofferenze fisiche o morali, ovvero il pretium doloris), venendo per contro estendendosi, secondo un percorso che ha una significativa premessa nella sentenza n. 184 del 14 luglio 1986 della Corte costituzionale 3 in tema di danno biologico, l'ambito della tutela dei diritti della personalità, in articolata e compiuta individuazione (in primis salute, dignità, riservatezza, identità personale, reputazione, immagine, autodeterminazione sessuale), cui è riconosciuta valutabilità economica ed ordinaria azione ex articolo 2043 c.c.

Tale impostazione avrebbe un suo fondamento se si accedesse ad una concezione di danno non patrimoniale, quale enunciata dall'art. 2059 c.c., in cui vadano compresi soltanto i danni morali subiettivi, quei danni arrecanti un dolore morale alla vittima ed in nessun modo riguardanti il patrimonio, escludendosi così a priori la distinzione fra danno morale e danno non patrimoniale.

Se, diversamente, si supera l'equazione danno non patrimoniale-danno morale, sottolineandosi la maggiore latitudine da attribuire al primo, si può propendere per una configurazione di danno che sia comprensiva di qualsiasi conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaria basata su criteri di mercato, non possa essere oggetto di risarcimento, bensì di riparazione 4: si tratta di trovare degna collocazione a quella tipologia di danni che non sono riconducibili a rigore a suddette categorie.

Particolarmente utile, allora, deve qualificarsi la categoria del danno esistenziale, quale strumento di tutela della persona sia fisica che giuridica che tiene conto dei limiti delle tecniche tradizionali di tutela.

In questo senso, inoltre, deve ricordarsi che di un'ulteriore posta risarcitoria, quale quella del danno alla salute, in relazione alle persone giuridiche non può nemmeno tenersene conto, data l'incompatibilità prima logica che giuridica. Se si esclude, come è giusto che sia, infatti, la risarcibilità del danno alla salute all'ente immateriale, è opportuno tenere in considerazione un altro dato che proviene dall'analisi del sistema codicistico, rappresentato dal fatto che l'azionabilità del rimedio risarcitorio trova un gravissimo limite normativo quando l'interesse da risarcire sia non patrimoniale, poiché all'art. 2059 c.c. si richiede che, come visto, la possibilità di ricorrere alla tutela risarcitoria risulti da una apposita previsione di legge. Di fatto, in questo modo ai fini della tutela civile dell'interesse non patrimoniale è necessario che il comportamento lesivo abbia integrato gli estremi di un illecito penale, poiché la norma di legge richiesta dall'art. 2059 c.c. idonea a fondare specificamente la pretesa risarcitoria, viene solitamente ravvisata nell'art. 185 c.p. Se si tiene conto del fatto che interessi non patrimoniali sono essenzialmente quelli attinenti alla persona, emerge allora con chiarezza che questa sorta di doppio binario del sistema risarcitorio si traduce in una grave limitazione alla tutela civilistica - attuata sia pure attraversoPage 229 l'inadeguato strumento risarcitorio - dei diritti fondamentali della persona sia fisica che giuridica.

Si potrebbe, però, dubitare dell'utilità della categoria del danno esistenziale soprattutto nei casi in cui si rinviene la violazione del diritto alla salute e/o l'esistenza di una fattispecie di reato, dalla quale deriverebbe il danno morale, ritenendo che non ci sia la ragione pratica della nuova categoria.

Un tale dubbio, in relazione al danno esistenziale, è infondato, come meglio si cercherà di dimostrare. Non solo deve essere ricordato che...

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