Forum di discussione online, diffamazione e responsabilità: che ruolo gioca l’webmaster?

AutoreFabio Capraro/Alfonso Pinto
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@1. Fatto e svolgimento del processo

– Con atto del 23 ottobre 2007 il pubblico ministero della procura militare della Repubblica presso il Tribunale militare di Padova, presentava richiesta di rinvio a giudizio avverso S.A. e C.I. per il reato di concorso in diffamazione pluriaggravata e continuata (p. e p. dagli artt. 81, 110 c.p., 227 commi 1 e 2, 47 n. 2 c.p.m.p.) il primo, maresciallo capo dell’Esercizio Italiano in servizio nella Regione Sardegna, per avere inviato a mezzo posta elettronica al sito web www.sottufficiali.info una nota con contenuti diffamatori nei confronti di tre alti ufficiali della medesima organizzazione militare ed il secondo, maresciallo dell’Esercito Italiano in servizio presso la Regione veneto, quale webmaster, titolare e gestore del sito web anzidetto, per avere pubblicato la nota de qua.

All’udienza preliminare del 31 gennaio 2008, tenutasi in camera di consiglio, presente l’imputato C.I., veniva formulata richiesta, con il consenso del pubblico ministero, di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., subordinandola alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Contestualmente, ed in via preliminare, la difesa di C.I. instava per un giudizio di non luogo a procedere ex art. 129 c.p.p.

Al termine dell’udienza preliminare, il giudice per le indagini preliminari pronunciava decreto che disponeva il giudizio avverso il coimputato S.A. ed emetteva sentenza di non luogo a procedere ex art. 129 c.p.p. e 261 c.p.m.p. nei confronti di C.I., in ordine al reato ascrittogli di concorso di diffamazione, perché il fatto non costituisce reato.

@2. I termini della questione

– Diversamente dalle altre ipotesi di diffamazione, in quella commessa a mezzo Internet, non sorge solo il problema di inviduare e punire l’autore della condotta delittuosa, ma anche di valutare la posizione del gestore rispetto al reato commesso da terzi utilizzando il servizio telematico, ovverosia se possa configurarsi, in tali attività criminose, una forma di responsabilità del gestore stesso, e a che titolo1.

Ciò posto, occorre diversificare la posizione dell’autore materiale della diffamazione da quella del responsabile del sito Internet (il c.d. webmaster). Infatti, se è pur vero che in entrambi i casi l’evento appare sostanzialmente identico, diversi sono la condotta materiale e l’elemento psicologico. Occorre quindi, preliminarmente, definire la figura del webmaster. Al riguardo, la giurisprudenza ha precisato che l’attività da questi compiuta è quella di moderatore del newsgroup ospitato nel sito dallo stesso gestito, meglio definibile come colui che «[...] analizza i messaggi in arrivo e cancella gli interventi non in linea per forma o contenuto con i requisiti essenziali del gruppo [...]» (cfr. Trib. Roma, sent. 4 luglio 1998), con l’onere di svolgere la sola funzione di mantenere la discussione nell’ambito di uno specifico argomento, e non funzioni di censura o di verifica della liceità dei messaggi inviati dai terzi utenti.

Appare chiaro, ora, che per configurare un’ipotesi di concorsuale ex art. 110 c.p. a carico del webmaster, non può prescindersi dalla verifica dell’effettiva consapevole adesione alla condotta qualificante. In assenza di tale indefettibile requisito, osservando che nella più parte dei casi difficilmente si riscontra una partecipazione nel comportamento diffamatorio in capo ai predetti soggetti, allo scopo di attribuire una responsabilità per fatti commessi da terzi si è fatto inizialmente ricorso alle norme sulla responsabilità dell’editore di una testata giornalistica ed in particolare all’art. 57 c.p., concernenti i reati commessi a mezzo stampa, equiparando il gestore di un sito Internet ad un responsabile editoriale ed addossandogli l’obbligo di verificare la legittimità di tutto il materiale pubblicato, compreso quello inviato da terzi.

Parte della dottrina ha fatto inoltre riferimento all’art. 30 della legge n. 223/90, che attribuisce gli stessi obblighi all’editore di una testata giornalistica, al gestore di un’emittente radiofonica o televisiva. In tal modo, si estendeva la responsabilità dell’illecito del terzo utente solamente in base ad una sorta di culpa in vigilando, consistente nel mancato adempimento dell’obbligo di monitoraggio del materiale inviato sul proprio server o nel sito da lui gestito, obbligo sancito dagli artt. 57 c.p. e 30 della legge 223/902.

Lo stesso Gup nella decisione in esame, tenuto conto dell’elevato numero di messaggi da gestire per la pubblicazione nel sito, ha efficacemente rilevato l’inesigibilità, a carico del webmaster, di un grado d’attenzione che superi un controllo prima facie della presenza o meno d’espressioni oggettivamente ed immediatamente valutabili come diffamatorie, e ciò in aggiunta al compito già evidenziato dal Tribunale di Roma nella succitata pronuncia.

@3. Concorso nel reato e confronto con l’ipotesi di culpa in vigilando ex art. 57 c.p

– Pertanto, nell’ipotesi in cui difetti l’elemento soggettivo del dolo non essendo contemplata dal vigente ordinamento una fattispecie colposa nel reato di diffamazione, è necessario esaminare la configurabilità in capo al webmaster di una culpa in vigilando analoga a quella prevista dall’art. 57 c.p., nella formulazione introdotta con l’art. 1, L. 4 marzo 1958, n. 127, a carico del direttore o vicedirettore responsabile del giornale o di altro periodico per ogni reato commesso col mezzo della stampa.

Sul punto, ricco è stato il contributo di dottrina e giurisprudenza, entrambe approdate, quasi unanimemente, a classificare la responsabilità delle figure professionali...

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