Formazione e stabilità
Autore | Loffredo, Antonio |
Pagine | 167-216 |
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Capitolo Quarto
Formazione e stabilità
SOMMARIO: 1. Professionalità, responsabilità e autonomia nella prestazione di lavoro su-
bordinato. - 1 .1 Lo spazio della formazione tra organizzazione e contratto. - 1.2 La
professionalità come oggetto del contratto. - 2. Promozione e tutela della professio-
nalità del lavoratore. - 3. Il diritto alla sospensione del rapporto p er ragioni formati-
ve. - 3.1 Dai permessi per motivi di studio ai co ngedi formativi. - 3.2. I “costi” della
formazione continua. - 4. Licenziamento e diritto alla formazione. - 5. La tutela
giudiziale del danno alla professionalità. - 5.1 Il danno non patrimoniale nel rappor-
to di lavoro tra tutela della salute, della professionalità e della vita di relazione. - 6.
Il diritto alla formazione: configurazioni giuridiche e retorica della formazione.
1. Professionalità, responsabilità e autonomia nella prestazione di la-
voro subordinato
L’amplificato ruolo assunto dal lavoro nella vita, anche su un piano
puramente concettuale, ha portato con sé come effetto collaterale un pa-
rallelo trascinamento anche della formazione, intesa come strumento per
migliorare la propria prestazione lavorativa. Nella società capitalistica
contemporanea e nella sua retorica (post)moderna, il lavoro ha assunto un
peso specifico sempre maggiore, ben al di là di quello di strumento utile
per ricevere uno stipendio che permetta di vivere in maniera dignitosa o
anche di luogo in cui si sviluppa e si realizza una parte rilevante della per-
sona. Utilizzando una “datata” concezione binaria dei tempi1, si può dire
che quello dedicato al lavoro sta rubando sempre maggiore spazio ai tem-
pi di vita, in omaggio ad ideali economicisti che sembrano chiedere una
dedizione quasi assoluta alla causa dell’impresa, in una sorta di connubio
inscindibile tra le sorti aziendali e quelle del lavoratore. A riprova di ciò
basti pensare a come sia assurto a valore positivo e socialmente indiscuti-
bile il concetto di produttività, mentre quale grado di negatività sia stato
universalmente attribuito all’inattività, poco importa se volontaria o invo-
lontaria. Questo panorama, un po’ desolante dal punto di vista culturale,
può essere utilizzato almeno al fine di provare a rafforzare il valore che si
riconosce al tempo dedicato alla formazione della persona, sia ai fini di
sviluppo culturale, sia in collegamento con il proprio lavoro purché, in
1 Quella che suddivide la vita delle persone in tempo di lavoro e tempo libero è una
concezione “binaria” da tempo messa in discussione. Sulla questione v. CALAFÀ L, Con-
gedi e ra pporto di lavoro, Cedam, Padova, 2004, pp. 9-26.
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quest’ultima prospettiva, le organizzazioni produttive sappiano fungere da
strumento per “valorizzare la professionalità del fattore lavoro”2.
Tale obiettivo mantiene una sua rilevanza perché la formazione resta,
come e forse più di altri diritti, tra quelli in attesa di reale riconoscimento
anche per i lavoratori a tempo pieno ed indeterminato; tale considerazio-
ne, ovviamente, tiene conto della presenza nel nostro ordinamento di di-
verse norme che regolano più o meno direttamente il rapporto tra la for-
mazione ed il contratto di lavoro, regole che però talvolta risultano essere
inattuate e talaltra sono insufficienti a rendere concreto tale diritto. Il rap-
porto tra la professionalità del prestatore ed il contratto di lavoro “stan-
dard” è stato profondamente modificato dalle trasformazioni verificatesi
nel sistema di produzione e scambio di beni e servizi, che hanno avuto ri-
cadute rilevanti sulle forme di organizzazione della produzione, alle quali
anche il diritto del lavoro italiano ha cercato di adeguarsi.
La questione va inquadrata anche, seppur in maniera sintetica, all’in-
terno degli effetti della globalizzazione dei mercati sul diritto del lavoro
perché essi soffrono di fluttuazioni maggiori rispetto al passato, con una
domanda di beni “costantemente variabile” e, quindi, difficilmente preve-
dibile per le imprese. L’internazionalizzazione dei processi produttivi e
finanziari ha, così, profondamente modificato la vita non solo delle im-
prese ma anche delle nazioni e degli individui, con conseguenze econo-
miche, sociali e culturali, che hanno prodotto delle “scosse telluriche” sul
tessuto sociale sia dei paesi industrializzati sia di quelli in via di sviluppo,
responsabilizzando oltremodo i lavoratori nelle sorti delle imprese per le
quali lavorano. Gli effetti di questi fenomeni non hanno tardato a farsi
sentire in tutti i campi della vita sociale ed in particolare in quello del la-
voro, comportando una diversa regolazione delle strutture produttive che
è stata orientata verso la riduzione del costo del lavoro e ha determinato
un’oggettiva penalizzazione del fattore-lavoro e nuove forme di esclusio-
ne sociale. L’influenza più evidente esercitata da tutti i fenomeni collegati
all’internazionalizzazione dei mercati sul diritto del lavoro è stata la per-
dita di centralità dello Stato nella regolamentazione dei rapporti di lavoro3
ed una rivalutazione dell’impresa sotto un triplice aspetto: a) come istitu-
zione formativa per i propri dipendenti, e non solo, come ad es. per i tiro-
cinanti; b) come luogo autonomo di creazione di regole nel rapporto di
lavoro4 e c) come “spazio virtuale”, esente da controlli da parte di qualsi-
2 NAPOLI M., “Disciplina del mercato del lavoro ed esigenze formative”, in AA.VV.,
Sistema formativo, impresa e occupazione, Atti d el Convegno di Benevento, ottobre
1996, Esi, Napoli, 1998, p. 51.
3 D’ANTONA M., “Diritto del lavoro di fine secolo: una crisi d’identità?”, in Riv.
Giur. Lav., 1998, p. 319.
4 BAYLOS GRAU A., “Globalización y Derecho del Trabajo: Realidad y Proyecto”,
in Cuad. Rel. Lab., n. 15, 1999, p. 23.
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asi Stato, dato il suo sviluppo in una dimensione transnazionale5. In que-
sto modo alcune imprese sono diventate dei giganti apolidi che hanno oc-
cupato monopolisticamente lo spazio globale6.
La storia del lavoro del ‘900 era stata scritta, invece, soprattutto nella
grande fabbrica di matrice nazionale. In essa, il cui paradigma applicativo
era costituito dall’industria dell’automobile, si effettuava una produzione
di serie e standardizzata, eseguita da grandi masse di lavoratori, controlla-
te da chi le dirigeva secondo procedure di rigida misurazione e controllo
delle operazioni compiute. L’idea fondamentale su cui si era basato il si-
stema fordista era quella di “assenza di limiti”7, cioè dell’illimitata dispo-
nibilità di manodopera e di materie prime; così il consumo poteva essere
stimolato semplicemente con un aumento della produzione in serie ed un
contemporaneo abbassamento dei prezzi della merce prodotta. Il modello
organizzativo taylor-fordista era fortemente centralizzato e si fondava sul-
la totale autosufficienza della struttura aziendale: la fabbrica, organismo
onnivoro, tendeva sempre ad una crescita dimensionale. Questo sistema
“organizzava mediante contiguità”8 e anche i lavoratori che vi prestavano
la propria opera si trovavano sempre a stretto contatto tra loro, facendo gli
stessi orari durante l’intero periodo dell’anno. Per poter funzionare a re-
gime, il sistema di organizzazione scientifica del lavoro doveva avere alla
sua base una netta distinzione di funzioni tra chi dirigeva il lavoro, stabi-
lendone tempi e modalità, e chi, stando alla base della scala gerarchica di
tipo burocratico-militare, il lavoro lo eseguiva, non avendo possibilità di
influire in alcun modo sulle scelte riguardanti le forme organizzative9.
Il lento declino del paradigma taylor-fordista è avvenuto a favore di
un nuovo modello produttivo10 secondo il quale l’impresa non si organiz-
za più per contiguità ma “per connessione”: l’immagine tipica è quella
dell’impresa “a rete”11, composta da una pluralità di centri produttivi di-
stanti, per quanto collegati attraverso le infrastrutture di comunicazione e
trasporto, nei quali anche la distribuzione dell’orario di lavoro non è più
5 Sui fenomeni di regolazione dei rapporti di lavoro nelle imprese transnazionali,
con p articolare attenzione alle cd. clausole sociali, v. PERULLI A., Dir itto del lavoro e
globalizzazione, Cedam, Padova, 1999.
6 REVE LLI M., La sinistra sociale. Oltr e la civiltà del lavoro, Bollati Boringhieri,
Torino, 1997, p. 72
7 REVELLI M., La sinistra socia le, op. cit., p. 40.
8 REVELLI M., La sinistra socia le, op. cit., p. 54.
9 Sulla gerarchia che caratterizza il modello di organizzazione scientifica del lavoro v.
GIUGNI G., Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene, Napoli, 1963, pp. 43-47.
10 Su queste trasformazioni v. SANTUCCI R., Pa rità di trattamento, co ntratto di la-
voro e ra zionalità or ganizzative, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 131-160.
11 Sulla quale v. CAFAGGI F., (a cura di), Reti di imprese tra regolazione e norme
sociali, il Mulino, Bologna, 2004.
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