Federalismo fiscale e nuova governance europea

AutoreAdriano Di Pietro
Occupazione dell'autoreOrdinario di Diritto Tributario. Università di Bologna e Direttore della Scuola Europea di Alti Studi Tributari.
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FEDERALISMO FISCALE E NUOVA GOVERNANCE EUROPEA Adriano DI PIETRO*

1. Governance comunitaria e federalismo fiscale: un percorso parallelo

Nelle istituzioni Comunitarie e in Italia, come in altri Stati europei, i percorsi della governance comunitaria e del federalismo iscale si sono sviluppati, negli ultimi dieci anni, in maniera parallela anche se con un ruolo diverso, quasi opposto, della politica da una parte e del diritto dall’altra.

La governance fu riconosciuta dieci anni fa come un obiettivo comunitario, forse, addirittura, come l’obiettivo comunitario.1Il libro bianco della Commissione europea del Duemila che ne uficializzò l’importanza voleva riscattare il complesso di regole e procedure, con le quali si deinisce tradizionalmente la governance, dal proilo meramente tecnico, operativo: quello utile a misurare eficacia ed eficienza dell’operare pubblico2. Dopo il consolidamento delle istituzioni Comunitarie, nate con il Trattato di Roma; dopo il mercato, divenuto inalmente interno nel 1993, la governance poteva, per la prima volta nell’intensa storia istituzionale europea, rappresentare un obiettivo ordinamentale. In suo nome l’effettività, come vincolo funzionale per norme ed atti comunitari, agli obiettivi dei Trattati europei e al relativo acquis comunitario,3poteva assumere un carattere, una consistenza non necessariamente economica, com’era accaduto ino agli anni Duemila4. Come obiettivo della

* Ordinario di Diritto Tributario – Università di Bologna e Direttore della Scuola Europea di Alti Studi Tributari.

1 Si tratta della comunicazione della Commissione Europea del 25 luglio 2001, dal titolo Governance europea-Un libro bianco (COM (2001), pag. 428.

2 Si affermava la necessità di formare la governance europea per avvicinare i cittadini alle istituzioni europee, senza richiedere l’adozione di nuovi Trattati. Si trattava di d’interventi di volontà politica con l’impegno congiunto delle Istituzioni comunitarie e degli Stati membri per affermare una governance che per essere buona avrebbe dovuto essere fondata su cinque principi: quello di apertura, per permettere alle Istituzioni europee di dare maggiore importanza alla trasparenza e alla comunicazione delle loro decisioni; quello di partecipazione, per coinvolgere in maniera più sistematica i cittadini nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche; quello di responsabilità, per consentire ad ogni operatore interessato di assumere la responsabilità del ruolo assegnatoli; quello di efficacia per permettere alle decisioni di essere prese al livello e nel momento adeguati e produrre i risultati ricercati; quello di coerenza per coordinare in maniera unitaria le politiche dell’Unione.

3 Cfr. N. LIPARI, Il problema dell’effettività del diritto comunitario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, pag. 896.

4 Nel libro bianco si affermava, infatti, che la riforma della governance europea implicasse che la Commissione ridefinisse la sua missione fondamentale: quella di un’Unione fondata sul principio di legalità,

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nuova governance, l’effettività poteva inalmente essere riscattata dal vincolo di mercato al quale la politica della Commissione europea da un lato e la giurisprudenza della Corte di Giustizia dall’altro, l’avevano tradizionalmente ricondotta: aveva dovuto supportare il consolidamento del mercato unico e la successiva affermazione di quello interno. Una volta raggiunti tali risultati, dopo il 1993, non sarebbe stato necessario continuare a limitare nell’ordinamento comunitario il ruolo politico e giuridico degli Stati rispetto alle istituzioni.

La governance immaginata dieci anni fa, invece, aveva un obiettivo ambizioso, quello di dare all’Europa non i pochi e da tempo conosciuti volti di quegli Stati che, con il Trattato di Roma, avevano rinunciato a parte della loro sovranità per creare istituzioni e mercato e, una volta che li avessero raggiunti, avrebbero voluto riprendere il ruolo di protagonisti. L’obiettivo era, invece, quello di animare l’Europa dei volti di quei milioni di cittadini degli Stati, che sarebbero stati orgogliosi di poter aggiungere a quella nazionale una nuova cittadinanza, quella europea.5Sarebbe toccato loro inaugurare il nuovo secolo con una relazione se non diretta con le istituzioni comunitarie, almeno più prossima. Con la loro partecipazione i cittadini avrebbero dovuto rafforzare la democrazia in Europa, avrebbero dovuto consolidare la legittimità delle istituzioni europee, grazie anche ad una maggiore partecipazione della società civile, pur senza aspirare a una rappresentanza elettorale maggiore di quella che ino a quel momento il Parlamento europeo aveva offerto. I nuovi cittadini europei, non più solo consumatori, così come li aveva riconosciuti il mercato, ben avrebbero potuto richiedere di conoscere e di animare le istituzioni dando all’effettività, nata con carattere economico6, un ruolo politico istituzionale: quello della maggiore partecipazione dei cittadini europei. Solo così, come affermava il libro bianco della Commissione europea, si sarebbe potuta affermare, in forme nuove, la sussidiarietà7. Questa sarebbe stata considerata in termini positivi e non più solo come limite al primato delle istituzioni comunitarie. La sussidiarietà doveva garantire la partecipazione diretta alle istituzioni comunitarie, così com’era stato concepita con l’applicazione del Trattato di Maastricht che l’aveva qualiicata come principio cardine dell’’ Unione Europea. Come tale viene, infatti, richiamata nel preambolo del Trattato: “[...] DECISI a portare avanti il processo di

che si basa sulla Carta dei diritti fondamentali ed investita di un doppio mandato democratico, tramite il Parlamento europeo e il Consiglio.

5 Secondo il libro bianco rivedere la governance implicava anche affrontare la questione delle modalità di esercizio da parte dell’Unione Europea dei poteri che i cittadini le avevano conferito.

6 Lo scopo della nuova governance, sempre secondo il libro bianco, era quello di aprire il processo di elaborazione delle politiche ad una maggiore partecipazione e responsabilizzazione, nella consapevolezza che un miglior utilizzo dei poteri potesse avvicinare l’Unione ai cittadini e rafforzare l’efficacia delle sue politiche.

7 Era chiaramente affermato, infatti, nel libro bianco che i principi della nuova governance dovessero a loro volta basarsi sulla proporzionalità e sulla sussidiarietà. Dalla prima elaborazione di una politica fino alla sua esecuzione, la scelta del livello al quale intervenire (da quello comunitario a quello locale) e degli strumenti da utilizzare, dovevano essere proporzionatiti agli obiettivi perseguiti. Sarebbe stato fondamentale pertanto quando si avviasse un’iniziativa, verificare se un’azione pubblica fosse veramente necessaria, se il livello europeo fosse quello più opportuno e se le misure proposte fossero proporzionate agli obiettivi.

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creazione di un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio della sussidiarietà” ed è esplicitamente sancita dall’art. 5. La sussidiarietà vale come principio regolatore dei rapporti tra Stati e Unione tanto che quest’ultima agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal Trattato. In sostanza, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità prima e l’Unione poi intervengono, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere suficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. L’azione della Comunità prima e dell’Unione poi non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del Trattato.

Tale principio è stato poi ulteriormente potenziato dal Trattato di Lisbona, che recependo molte delle disposizioni del progetto, poi non approvato, di Costituzione europea è riuscito a introdurre un elenco di competenze e un meccanismo di controllo del principio stesso, da parte dei Parlamenti nazionali.8La governance dei cittadini poteva essere, dieci anni fa, un primo, timido passo verso un’evoluzione in senso federale dell’Unione europea. La nuova governance avrebbe dovuto sollecitare, infatti, una trasformazione profonda, anche radicale, di quelle istituzioni che, nate con il Trattato di Roma come comunitarie, erano ancora debitrici del loro ruolo agli Stati. Continuavano a trovare, infatti, la loro forza giuridica e politica nelle limitazioni di sovranità accettate dagli Stati con l’adesione al Trattato. D’altra parte invece, la rappresentanza dei cittadini al Parlamento europeo non aveva mai assunto una completa ed esclusiva responsabilità normativa,anche se era stata direttamente coinvolta nel processo decisionale degli atti comunitari.9

Anche senza una rappresentanza parlamentare, la nuova governance avrebbe voluto assicurare ai cittadini europei una diretta conoscenza delle fonti e delle istituzioni e una loro maggiore partecipazione; avrebbe voluto valorizzare in senso nuovo la sussidiarietà: non più rapporto tra Stati e istituzioni comunitarie, ma fertile relazione tra istituzioni comunitarie e cittadini10. Come tale la nuova governance avrebbe

8 In particolare si rileva il primato dell’ordinamento comunitario in nome di una più incidente effettività comunitaria, cfr. P. MARCHESSOU, Le conseguenze fiscali del Trattato di Lisbona, in Rass. Trib., n. 3/2010; pag. 595; G. INGRAO, Dalle teorie moniste e dualiste all’integrazione dei valori nei rapporti tra diritto interno e comunitartio alla luce del Trattato di Lisbona, in Riv. dir. trib., 2010, II, pag. 228.

9 In quegli stessi anni di dibattito sulla nuova governance si proponeva un’evoluzione del concetto di...

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