La fase decisionale

AutoreStefano Ambrogio
Pagine267-275

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@1 La discussione finale

Terminata l’istruttoria dibattimentale si apre la fase della discussione finale. La discussione, che precede la deliberazione finale, è il momento in cui ciascuna parte offre al giudice la propria rilettura degli elementi probatori raccolti nel corso del dibattimento e ne trae le proprie conclusioni, sia in relazione alla ricostruzione della vicenda sia in relazione alle conseguenze giuridiche. L’ordine per la formulazione delle conclusioni è il seguente: vi è prima la requisitoria del pubblico ministero e poi le arringhe dei difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata alla pena pecuniaria e infine dell’imputato (art. 523 c.p.p.).

Sono ammesse repliche, ma l’imputato e il suo difensore devono avere la parola per ultimi se la domandano (a pena di nullità).

Anche la fase della discussione viene diretta dal presidente, ma questi può intervenire solo in casi particolari per garantirne il sereno svolgimento.

La discussione possa essere interrotta solo nel caso in cui una parte o il giudice d’ufficio rilevi la necessità di nuove prove; ciò accade molto di rado nella prassi, ma la legge non vieta di soddisfare l’esigenza primaria di accertamento della verità. Invero, nel corso della discussione, ciascuna parte può insistere su richieste di prova ritenute essenziali e prima non accolte dal giudice, evidenziando ulteriori elementi che possono spingere a una diversa decisione sul punto. Esaurita la discussione il presidente dichiara chiuso il dibattimento (art. 524 c.p.p.).

@2 La deliberazione finale

Alla fase del dibattimento segue la deliberazione del giudice, il quale esprime, dopo aver sentito le argomentazioni della parti, il suo libero convincimento in un atto che ha la forma della sentenza.

In questa fase prevale il principio dell’immediatezza, nel senso che il giu-dice che ha seguito l’intero dibattimento deve ritirarsi immediatamente in

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camera di consiglio e deve rimanervi sino a quando non abbia assunto una decisione, senza soluzione di continuità (art. 525 c.p.p.).

Quando il giudice esce dalla camera di consiglio è solo per leggere il dispositivo o la sentenza completa di dispositivo e motivazione.

Le sentenze pronunciate in giudizio possono essere di:

-proscioglimento se contengono una pronuncia che esclude la responsabilità penale dell’imputato per motivi procedurali (mancanza di una condizione di procedibilità) o per motivi attinenti al merito (mancanza o insufficienza delle prove a carico dell’imputato);

-condanna se contengono l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato e, quindi, la determinazione della pena inflitta, delle pene accessorie e delle eventuali misure di sicurezza.

La sentenza deve essere deliberata dagli stessi giudici che hanno partecipato all’intero dibattimento, sia in veste di giudici titolari, sia in veste di giudici supplenti (principio di immutabilità del giudice).

@3 Il principio di correlazione

Al termine della discussione delle parti in ordine alla contestazione oggetto del processo, il giudice deve decidere entro i limiti del fatto portato alla sua attenzione e in relazione al quale si è svolto il contraddittorio. Ai sensi dell’art. 521 c.p.p. vi deve, infatti, essere piena correlazione tra imputazione e sentenza, con ciò significando che la pronuncia del giudice deve riguardare il medesimo fatto indicato nel capo di imputazione.

Se il giudice ritiene che il fatto sia diverso da quello descritto nel capo di imputazione, sia esso quello indicato nel decreto di citazione a giudizio o risultante dalle contestazioni suppletive effettuate in udienza, deve dichiararlo con ordinanza e trasmettere gli atti al p.m. perché proceda in relazione al fatto diverso, non contestato.

La mancata correlazione tra imputazione e sentenza è causa di nullità della sentenza (art. 522 c.p.p.). Come è ovvio, ben può il giudice attribuire con la sentenza una diversa qualificazione giuridica al medesimo fatto (ad esempio qualificando l’associazione come semplice ex art. 416 c.p. invece che di stampo mafioso ex art. 416 bis c.p.).

Nella deliberazione della sentenza il giudice deve utilizzare solo le prove legittimamente acquisite nel dibattimento (art. 526 c.p.p.).

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È evidente che il giudice deve formare il proprio convincimento solo sulla base delle prove acquisite nel rispetto delle regole stabilite dal codice di procedura penale, intendendosi, in concreto, fare riferimento a quelle prove che si sono formate in dibattimento correttamente (ad esempio, non è...

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