L’evoluzione sociale e normativa della struttura familiare e I suoi riflessi sulle forme di tutela dei componenti del nucleo familiare

AutoreMaria Rosaria Correra
Pagine1073-1080

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L’esame delle nuove forme di tutela civile e penale del familiare che subisce violenza, introdotte nel nostro ordinamento giuridico con la legge 4 aprile 2001 n. 154, deve muovere da una necessaria premessa, legata all’evoluzione culturale della concezione della famiglia nel nostro Paese.

A partire dagli anni ’70, con il venir meno del principio dell’indissolubilità del matrimonio e della rigida scala gerarchica con al vertice la posizione del marito predominante su moglie e figli, si è gradualmente sostituito il tradizionale modello piramidale di famiglia con una concezione pluralistica e personalistica, che vede la famiglia come luogo di coordinamento e sviluppo delle personalità dei suoi componenti, i quali devono ricevere – al pari di ogni altro individuo – la garanzia del pieno rispetto della loro dignità e libertà.

Questa innegabile progressione che si è attuata sul piano sociale, in realtà veniva a recepire solo tardivamente principi già statuiti in norme costituzionali e di diritto internazionale.

Sotto il profilo normativo, infatti, la nostra Costituzione ha sancito la piena uguaglianza giuridica e morale dei coniugi (art. 29) e la tutela dei diritti inviolabili dell’individuo anche all’interno delle formazioni sociali di cui è componente, quale appunto la famiglia (art. 2). Ciò comporta che all’interno del consesso familiare devono valere le stesse regole di condotta che valgono all’esterno di essa, con la conseguenza che «il rispetto della dignità e della personalità di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di diritto inviolabile»1.

Analogamente l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (ratifica L. 848/1955) ha riconosciuto ad ogni persona il diritto al rispetto della sua vita privata e familiare2 e la Corte europea, sulla base di tale statuizione ha ravvisato la violazione della norma in ogni caso in cui lo Stato non predisponga efficaci mezzi di tutela per garantire la protezione del familiare contro comportamenti violenti o prevaricatori di altro componente del nucleo.

L’evoluzione del modello comportamentale e sociale della struttura familiare, ha portato al definitivo tramonto di orientamenti dottrinali3 e giurisprudenziali4 i quali finivano per tollerare, se non anche giustificare, la compressione dei diritti individuali dei singoli componenti in funzione dell’interesse all’unità familiare, che prevaleva su ogni altro.

Con l’avvento della nuova mentalità, quindi, si è attuato un modello normativo che era già stato introdotto e delineato dalla nostra Costituzione e dal diritto internazionale (da ultimo art. 7 Convenzione di Nizza del 7 dicembre 2000).

Concepire oggi la famiglia non più come luogo chiuso (al diritto), ma come una piccola comunità in cui convivono singoli individui, ciascuno garantito nei suoi diritti inviolabili, ha comportato una emersione dei fenomeni di abusi e violenze perpetrati all’interno delle mura domestiche e la necessità di tutelare la libertà e la dignità di ogni componente del nucleo familiare, nella piena espansione della sua personalità anche nell’ambito di realizzazione delle relazioni affettive.

Gli interventi normativi. – Il legislatore si è fatto carico di questa necessità di introdurre forme di protezione alle vittime di abusi e violenze familiari, accogliendo in massima parte le soluzioni adottate dall’area giuridica anglosassone, con il modello dell’Order of Protection statunitense.

Si tratta di un provvedimento adottabile dal giudice civile in presenza di condotte qualificabili come abusi familiari, che vanno dallo stress emotivo alle molestie ed allo stalking, sulla base di una procedura informale che la parte può presentare personalmente. I contenuti inibitori dell’Order of Protection possono ricomprendere l’allontanamento dell’autore degli abusi dalla casa familiare, il divieto di avvicinare la vittima e altri membri della famiglia, prescrizioni a carattere patrimoniale, provvedimenti di recupero del familiare violento, specie se dedito all’alcol o al consumo di droghe.

Con la legge 4 aprile 2001 n. 154, vengono introdotti nell’ordinamento giuridico italiano alcuni strumenti processuali, in ambito civile (art. 342 bis 343 ter c.c.) e penale (art. 282 bis c.p.p.), aventi il duplice scopo di inibire la prosecuzione degli abusi familiari e, nel contempo, di limitare gli ulteriori disagi e sofferenze alle vittime di tali condotte, spesso costrette ad allontanarsi dalla casa familiare per sottrarsi ai comportamenti vessatori.

Nello stesso contesto temporale, il legislatore con la L. 28 marzo 2001 n. 149, ha attribuito al tribunale per i minorenni il potere di disporre l’allontanamento dalla famiglia «del genitore o del convivente che maltratta o abusa del minore».

In questo modo il sistema normativo italiano viene arricchito di una serie di mezzi cautelari, e per ciò stesso provvisori ma di rapida adozione, aventi carattere personale e patrimoniale. Mezzi che siPage 1074 pongono l’obiettivo di agevolare l’emersione dei fenomeni degli abusi familiari, consentendo alle vittime di evitare le pesanti conseguenze correlate alla denuncia dell’abuso, quale l’abbandono della casa familiare, i problemi di carattere economico, le difficoltà di gestione e mantenimento della prole. Una molteplicità di ostacoli, questi, che da sempre ha scoraggiato le vittime dal denunciare vessazioni e violenze in ambito familiare.

Le misure di protezione in ambito penale.

Art. 282 bis c.p.p. – Il legislatore con la legge 154/01 ha introdotto una misura cautelare processuale penalistica modellata sull’esempio dell’ordine di protezione, definita all’articolo 282 bis c.p.p. «Allontanamento dalla casa familiare».

L’art. 282 bis c.p.p. è stato inserito nell’ambito delle misure cautelari personali ed è una misura di carattere generale, applicabile dunque anche nei procedimenti relativi ad ipotesi criminose diverse dagli abusi familiari5.

In concreto, la premessa svolta in ordine alla genesi della legge 154/01 ed ai suoi obiettivi, consente di valutare appieno la portata innovativa della misura come il primo vero ordine di protezione riconosciuto dal nostro sistema processuale penale alle vittime delle violenze domestiche.

E ciò è confermato dal disposto dell’ultimo comma dell’articolo 282 bis c.p.p., che consente l’adozione della misura anche al di fuori dei limiti di pena di cui all’art. 280 c.p.p. (delitti puniti con pena speriore ai tre anni di reclusione) quando si procede per i delitti di cui agli artt. 570, 571, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies del codice penale, commessi in danno dei prossimi congiunti o del convivente.

In questo modo si è ampliata la sfera di applicabilità della misura a reati puniti con pena edittale – principale o relativa alle previste fattispecie attenuate (dei reati a sfondo sessuale) – inferiore ai tre anni di reclusione. La deroga, tassativa e specifica, al limite di carattere generale imposto dall’art. 280 c.p.p., è indicativa del particolare disvalore attribuito dal legislatore a queste condotte criminose le quali, considerate unitariamente ai reati di violenza intra-familiare «tipizzati» (come il delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p.) completano l’eterogenea gamma di abusi domestici alla cui repressione è indirizzato l’intervento della legge 154/01.

Presupposti della misura. – Trattandosi di misura cautelare personale, la sua adozione da parte del giudice competente6, su richiesta del P.M., deve essere preceduta dalla valutazione della sussistenza dei presupposti di legge previsti per tutte le misure cautelari personali.

In primo luogo, è necessario ricorrano i gravi indizi di colpevolezza indicati dall’art. 273 c.p.p., derivanti dalla commissione di un fatto-reato per il quale la legge prevede l’applicazione di una pena superiore ai tre anni di reclusione, con le eccezioni richiamate dall’ultimo comma dell’art. 282 bis c.p.p.

La più evidente differenza con il coevo intervento legislativo in ambito civile risiede appunto nella necessaria correlazione della misura cautelare penale con un fatto-reato, consumato o tentato, per il quale sono stati acquisiti dall’accusa gravi indizi di colpevolezza a carico del presunto autore.

Il campo di applicazione, dunque, della tutela penale si connota per il suo carattere repressivo a fronte di una condotta che integra gli estremi di un reato, per il quale non è dato ravvisare cause di giustificazione, di non punibilità o di estinzione.

La condotta incriminata può essere attiva (es.: violenze, abusi sessuali) ovvero anche omissiva [perdurante inadempimento degli obblighi genitoriali7, forme di violenza economica costituite da abituali manifestazioni di avarizia del marito verso la moglie]8.

Accanto ai gravi indizi di colpevolezza, occorre, poi, verificare la sussistenza delle esigenze cautelari indicate dall’art. 274 c.p.p.

Nelle fattispecie di reati da abusi familiari, l’esigenza che maggiormente si ravvisa è proprio quella di interrompere tempestivamente le condotte vessatorie ed abusanti e, quindi, di evitare la reiterazione dei reati della stessa specie di quello per cui si procede (art. 274 lett. c del c.p.p.).

Accanto a questa esigenza cautelare che potremmo definire propria dei casi di violenza domestica, deve tuttavia valutarsi anche la possibilità di adottare la misura per garantire l’acquisizione e la genuinità della prova, laddove vi sia il concreto pericolo che il presunto autore del reato induca la vittima, con intimidazioni o minacce, al silenzio ovvero a fornire una falsa ricostruzione dei fatti (art. 274 lett. a del c.p.p.).

Dovranno, infine, valutarsi i criteri di scelta delle misure secondo i principi di proporzionalità ed adeguatezza indicati dall’art. 275...

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