L'impossibilità di configurare il falso grossolano nella contraffazione di marchi: una recente pronuncia della suprema corte

AutoreAntonio Bana
Pagine702-704

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@1. Considerazioni generali sull'art. 474 c.p.

Il reato di cui all'art. 474 c.p. è posto a presidio della fede pubblica e dell'esigenza di certezza e di sicurezza sull'autenticità dei marchi registrati. Si tratta di reato di pericolo in quanto il marchio registrato viene tutelato anche in sede penale da possibili imitazioni e contraffazioni che svilirebbero le esigenze di autenticità e di genuinità dei prodotti coperti da marchi registrati.

Questa argomentazione spiega per quale motivo il ricorrente non abbia sostenuto la tesi della buona fede. Infatti non contestando la contraffazione e, anzi, assumendone la grossolanità, egli ha implicitamente ammesso di essere pienamente consapevole della illecita provenienza della merce.

Questa stessa sezione ha ripetutamente chiarito (confr. Cass. n. 13031 del 2000) che la fattispecie di reato prevista dall'art. 474 c.p. (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) è volta a tutelare, in via principale e diretta, non la libera determinazione dell'acquirente ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscano la circolazione. Trattasi quindi di reato di pericolo, per la cui configurazione non è necessaria l'avvenuta realizzazione dell'inganno. Ne consegue che non può parlarsi, con riguardo alla fattispecie in questione, di reato impossibile per il solo fatto che l'asserita grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti vengano tratti in inganno.

La sussistenza del reato presupposto determina anche quella del delitto di ricettazione.

È comunque agevole rilevare che, anche in questo caso, la concreta grossolanità della contraffazione esige apprezzamenti di merito che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

D'altra parte trattasi di questione che non aveva formato oggetto di appello e che, quindi, non può essere sollevata in questa sede.

La manifesta infondatezza delle censure e la considerazione che esse sono state espresse in termini tali da richiedere indagini di merito determinano l'inammissibilità del ricorso.

A tale declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 600,00, nonché al rimborso delle spese sostenute dalle parti civili, liquidate come in dispositivo. (Omissis).

È il marchio, che attesta la provenienza del prodotto...

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