L'art. 223, comma 2, N. 1 L. Fall.: Reato autonomo o circostanza aggravante?

AutoreGiovanna Fanelli
Pagine1176-1183

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@1. Generalità

Con l'ordinanza in rassegna, il Tribunale di Piacenza rimetteva gli atti del procedimento al pubblico ministero, affinché, ex art. 518 c.p.p., provvedesse a riformulare il capo d'imputazione e, conseguentemente, a contestarne il contenuto ex novo.

A fronte di un'originaria imputazione di esposizione fraudolenta, nel bilancio e nelle relative relazioni, di fatti non rispondenti al vero sulle condizioni economiche della società, mediante sopravvalutazione delle rimanenze finali (art. 2621 n. 1 c.c.), il P.M., per l'intervenuta dichiarazione di fallimento, modificava la stessa contestando agli imputati i reati di cui agli artt. 223, comma 2, n. 1, l. fall. in relazione all'art. 2621 n. 1 c.c., unitamente all'aggravante di cui all'art. 219, comma 2, n. 1, l. fall.

Il provvedimento del tribunale, oggetto di queste brevi note, si inserisce, pienamente, nel filone maggioritario della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che considera l'art. 223, comma 2, n. 1 l. fall. un'autonoma ipotesi di reato rispetto alla fattispecie di cui all'art. 2621, n. 1, c.c., in materia di false comunicazioni sociali, richiedendo, nel caso di intervenuta declaratoria di fallimento, la nuova contestazione ex art. 518 c.p.p. anziché la procedura di cui all'art. 517 c.p.p.

Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sorto intorno all'art. 223, comma 2, n. 1, l. fall. risale nel tempo e tuttora non risulta ancora concluso, impegnando l'attenzione di studiosi e giudici sull'interpretazione della norma con riferimento soprattutto alla necessità o meno di un legame tra i reati societari indicati ed il fallimento ed, altresì, con riguardo alla formulazione letterale della norma incriminatrice de qua che prescinde dal tempo intercorso tra reato societario e fallimento; a ciò si aggiunga la dibattuta individuazione della natura giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento e come questa si inserisca nella struttura del reato 1.

Come è noto, l'art. 223, comma 2, n. 1, l. fall., nell'ipotesi di dichiarazione di fallimento, prevede l'applicazione della pena di cui all'art. 216, comma 1, l. fall., agli ammini-Page 1177stratori, direttori generali, sindaci e liquidatori che abbiano commesso fatti riconducibili alle ipotesi incriminatrici di cui all'art. 2621 ss. c.c. Le peculiarità di tale figura di bancarotta risiedono, principalmente, nell'individuazione del soggetto attivo del reato che non è l'ente o la persona fisica fallita, bensì altre persone ad essa collegate da determinati rapporti, e nell'oggetto materiale dell'attività criminosa individuato non nei beni dell'autore del reato, ma nei beni di altro soggetto giuridico sui quali l'autore stesso esercita poteri di gestione o di controllo 2. «Chi ponga a raffronto le figure di bancarotta propria con quelle di bancarotta impropria, rileverà come tre siano essenzialmente gli elementi di differenziazione: a) al fallimento dell'imprenditore individuale si sostituisce quello della società; b) soggetto attivo qualificato non è più quest'ultimo, ma l'amministratore, direttore generale, sindaco, liquidatore o istitutore; c) i beni su cui cade l'attività antidoverosa dell'agente non sono quelli propri, ma quelli della società su cui egli esercita poteri di gestione o di controllo e, nel caso dell'institore, quelli del proponente» 3.

A questo proposito è stato affermato che «l'art. 223 l. fall. sta all'art. 216 l. fall. come l'art. 147 l. fall. sta all'art. 1 l. fall.: è la trasmigrazione della realtà soggettiva, e quindi anche delle responsabilità penali, dall'individualità dell'imprenditore alla collettività societaria che realizza ormai la stragrande maggioranza della realtà soggettiva dell'impresa» 4.

Attraverso l'art. 223 l. fall., ed il corrispettivo art. 224 l. fall. per quanto concerne i fatti di bancarotta semplice di cui all'art. 217 l. fall., il legislatore crea una sorta di «parallelismo» tra situazioni riportabili da un lato all'imprenditore individuale e dall'altro agli organi societari: in questo modo vengono disciplinate le ipotesi di responsabilità penale di persone diverse dal fallito (la società), identificando specifiche funzioni (amministrative, dirigenziali o di controllo) sull'esercizio delle quali si radicano obblighi comportamentali secondum jus, evitando, così, che la natura collettiva dell'esercizio dell'impresa possa produrre pericolose zone d'immunità 5. «Nel caso di sdoppiamento fra titolarità ed esercizio dell'attività commerciale, la responsabilizzazione di soggetti diversi dal fallito è ineluttabile quando a incorrere nella procedura concorsuale è un ente collettivo incapace» 6.

Come giustamente affermato 7 tale «parallelismo» non può essere suscettibile d'applicazione automatica, necessitando un'indagine specifica con riferimento alle peculiarità del caso singolo. Deve, infatti, essere tenuto presente che nella c.d. bancarotta impropria 8, l'attività criminosa si esplica sul patrimonio della società, risultando profondamente diversa la struttura del rapporto tra l'imputato ed il bene materiale sul quale egli abbia realizzato i fatti incriminati, rispetto alla figura della bancarotta propria: da un lato si pongono l'imprenditore individuale ed il socio amministratore illimitatamente responsabile, per i quali è penalmente irrilevante che le operazioni delittuose siano realizzate sul patrimonio individuale o su quello sociale, in virtù dei principi dell'illimitata responsabilità e del fallimento individuale che ex art. 147 l. fall. necessariamente consegue al fallimento sociale 9; dall'altro lato si posiziona, invece, il socio amministratore di società di capitali (unitamente agli altri organi direttivi o di controllo), nel qual caso l'attività punibile ha necessariamente ad oggetto il solo patrimonio sociale, questo solo essendo vincolato al soddisfacimento delle ragioni creditorie.

La differenza poggiante sulla diversità dell'oggetto materiale sul quale si realizza la condotta criminosa, oltre alle altre peculiarità precedentemente accennate, deve richiamare la particolare attenzione dell'interprete sull'applicazione della fattispecie de qua in modo rigidamente conforme ai principi portanti la responsabilità penale nel nostro ordinamento. Le modalità di chiamata a sanzione penale effettuata dal legislatore, tout court, attraverso l'estensione della stessa agli organi direzionali, di gestione e di controllo della società dichiarata fallita può portare, se spinte sino all'estremo del «parallelismo», all'applicazione della norma anche a soggetti non più in carica al momento della dichiarazione di fallimento o a soggetti che non erano in carica al momento della commissione dei fatti rilevanti come reato societario e che si troveranno a subire una condanna per una fattispecie più grave, nonostante possa essere intervenuto anche un rilevante lasso di tempo tra i due fatti 10.

Come presupposto del reato, la carica deve essere ricoperta al tempo della condotta tipica; è irrilevante che sia venuta meno al momento della dichiarazione di fallimento... Con la cessazione dalla carica, per qualunque causa, si estinguono i relativi poteri e doveri. Ma l'estinzione ha effetto ex nunc e non sana le inadempienze in atto

11. Pertanto come la chiamata a sanzione penale richiede che il soggetto abbia fornito il proprio contributo causale all'integrazione della fattispecie delineata, così le dimissioni non possono neutralizzare un precedente apporto del medesimo soggetto all'attività criminosa 12: proprio queste semplici considerazioni hanno portato la dottrina più sensibile a sottolineare l'importanza di interpretare la fattispecie prestando attenzione alla necessità di curarne l'applicazione rispettando i fondamentali principi della personalità della responsabilità penale, soprattutto laddove tale esigenza non sia stata soddisfatta dal legislatore attraverso una normazione precisa 13. Il rispetto e l'attuazione degli irrinunciabili principi, non solo costituzionali, ma innanzitutto di civiltà giuridica, sottesi alla sanzione penale debbono sempre guidare l'interprete verso un'attenta applicazione della norma mediante l'individuazione del soggetto formalmente e sostanzialmente qualificato al quale collegare causalmente e psicologicamente il fatto sub judice.

Mentre la giurisprudenza di legittimità si è mostrata immediatamente concorde e costante nel considerare l'art. 223, comma 2, n. 1, l. fall. una fattispecie autonoma rispetto ai reati societari in essa richiamati 14, imboccando la strada dell'automatismo nella sua applicazione, la dottrina ha prestato maggior attenzione al fenomeno dei reati de quibus seguiti dal fallimento, ricercando giustificazioni giuridiche che potessero ricondurre l'articolo citato nella categoria del reato autonomo o in quella dell'ipotesi aggravata, individuando le possibili conseguenze derivanti dall'una o dall'altra e come queste si pongano con riguardo ai canoni costituzionali in materia di responsabilità 15.

La questione si prospetta fondamentalmente articolata in tre punti.

L'estensione di responsabilità ex art. 223, comma 2, n. 1 l. fall. agli organi direzionali, gestionali e di controllo della società dichiarata fallita pone il problema della individuazione precisa dei soggetti attivi del reato: la norma fa riferimento ad organi societari in essere al momento della dichiarazione di fallimento, ma anche a soggetti che abbiano realizzato fatti rientranti nella portata di cui all'art. 2621 n. 1 c.c. ed altri reati societari ivi citati. È evidente che potrebbe mancare coincidenza tra i criteri d'individuazione offerti dalla norma; si può fare il caso di soggetti non più incarica al momento della dichiarazione di fallimento o di soggetti titolari dei poteri gestionali e di controllo in carica successivamente, ma completamente estranei alla realizzazione deiPage 1178 reati societari, chiamati a rispondere penalmente ex art. 223 l. fall. senza aver commesso effettivamente «alcuno dei fatti previsti...

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