Self executing, disapplicazione comunitaria e abolitio criminis

AutoreIvan Borasi

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1. Premessa

Il presente contributo trova spunto dalla recente situazione creatasi a seguito del mancato recepimento della direttiva rimpatri in rapporto alle fattispecie penali in materia di immigrazione,1 ma non vuole trattare del caso singolo,2 bensì effettuare un’analisi che permetta agli operatori del diritto di attualizzare le risultanze generali ai casi concreti.

L’intenzione è quella di effettuare una panoramica sui rapporti fra le fonti comunitarie, o sovranazionali in genere, e il diritto penale, sostanziale e processuale, interno, non dimenticando il rapporto tra le stesse fonti e la pubblica amministrazione. La volontà è quella di fotografare la situazione vigente, senza effettuare un puntuale excursus evolutivo del passato, non dimenticando però i punti salienti in cui lo stesso ha inciso sullo status quo normativo e giurisprudenziale.

2. I rapporti tra fonti comunitarie e diritto penale interno

In primis è necessario fare una rassegna dei principi fondamentali cristallizzatisi nel tempo nei rapporti tra fonti comunitarie e ordinamento interno,3 per poi parametrare il tutto alle problematiche specifiche del settore penale.4

È indispensabile partire dalle fondamentali sentenze C. Cost. nn. 348, 349 del 2007,5 le quali, seppur riferite specificamente ai problemi di coordinamento tra la CEDU e le norme interne, effettuano una panoramica generale sui rapporti fra i vari ordinamenti de quibus.

Si ricava che, con l’adesione dell’Italia ai Trattati comunitari, la stessa, ai sensi dell’art. 11 Cost., ha ceduto, nelle materie oggetto dei Trattati, parte della sovranità, anche legislativa, salvo l’intangibile limite dei principi e dei diritti fondamentali previsti in Costituzione. Si è formato un ordinamento sovranazionale, in relazione a materie che possono, sulla base delle modifiche dei Trattati (UE e FUE), via via aumentare e differenziarsi.

Importante modifica normativa ha portato, con la legge costituzionale n. 3 del 2001, alla novella dell’art. 117 Cost., con la costituzionalizzazione in via diretta della norma- zione comunitaria, in contrapposizione alla normazione internazionale pattizia.Il Trattato di Lisbona, in vigore per l’Italia dal 1 dicembre 2009, cancella il sistema dei pilastri comunitari, e incide fortemente nelle materie della cooperazione giudiziaria e della polizia in materia penale, permettendo una più penetrante normazione armonizzatrice delle legislazioni degli Stati membri.6

È con le sentenze C. Cost. n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 399 del 1987, e C. Giust. UE (dizione oggi vigente) 15 luglio 1964, causa 6/64, e 9 marzo 1978, causa 106/77, che viene affermato il primautè degli atti-fonte comunitari rispetto alle norme interne, anche di natura costituzionale, salvi i principi fondamentali della Costituzione italiana e del Trattato UE.7

La Corte Costituzionale afferma valenza normante alle sentenze della Corte di Giustizia UE, sia interpretative,8 id est emesse a seguito di ricorso in via pregiudiziale, sia per inadempimento degli Stati membri.9

La giurisprudenza individua valenza normante anche alle direttive self executing,10 e in particolare anche a disposizioni specifiche self executing11 di direttive generiche.12

La Corte di Giustizia UE chiarisce che è il giudice interno a disapplicare, anche d’ufficio, la normativa interna contrastante con quella comunitaria self executing13; nello stesso tempo attribuisce tale potere anche alle auto- rità amministrative. La Corte di Lussemburgo ha precisato come le disposizioni delle direttive scadute, per avere un’applicazione diretta, debbano essere chiare, precise e incondizionate.14 I regolamenti, invece, sono self executing di diritto.

La Corte Costituzionale afferma la valenza normante delle suddette fonti comunitarie in senso lato, anche in materie come quella penale, oggetto di riserva di legge statale, vedendo in puncto una fungibilità tra legge interna e fonti comunitarie.15

Mette conto osservare come, di fronte ad una disposizione comunitaria esecutiva per l’ordinamento nazionale, sulla base del primato comunitario, il giudice interno, e la pubblica amministrazione, siano obbligati all’applicazione della norma sovranazionale a discapito di quella interna, in primis attraverso un’interpretazione16 delle norme nazionali secondo il canone dell’effetto utile comunitario, e laddove non possibile, mediante disapplicazione, se si tratta di norme comunitarie self executing, o in caso contrario, mediante proposizione, da parte del giudice, di un incidente di costituzionalità avente come norme parametro gli artt. 11, 117 Cost..17

Funditus, prima che il termine per il recepimento della direttiva pubblicata sia scaduto, è obbligata l’interpretazione della norma interna alla luce della direttiva,18 eventualmente dopo aver chiesto chiarimenti sul punto alla Corte di Giustizia UE, ma non è possibile alcun incidente di costituzionalità,19 o rinvio pregiudiziale teso

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ad un vaglio di compatibilità, neppure per relationem con i principi del Trattato ispiratori della direttiva,20 mentre vi è l’obbligo per il legislatore di non introdurre ex novo norme che frustrino il risultato che la direttiva vuole ottenere.21

Il rapporto tra le norme interne e quelle comunitarie abbisogna di alcune precisazioni.22 In primo luogo può accadere che la norma comunitaria sostituisca quella interna, in tal caso nulla quaestio. È possibile che la norma comunitaria si limiti a porre nel nulla la norma interna23; in tale situazione il giudice, o la pubblica amministrazione, disapplicano solamente la norma interna senza sostituirla. Ciò si realizza quando il carattere self executing della disposizione riguarda solamente il profilo dell’incompatibilità con la norma interna, ma non la fase normativa in senso proprio, che è demandata al legislatore interno, il quale a sua volta dovrà rispettare le prescrizioni comunitarie.

Il ruolo della pubblica amministrazione nei rapporti tra norme comunitarie e normazione interna, è sicuramente speciale rispetto a quello del giudice. In primo luogo, la pubblica amministrazione, non rilevando ai fini dell’incidente di costituzionalità come potere dello Stato, non può attivare il meccanismo de quo, come anche non può effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. In secondo luogo, essa è comunque vincolata al rispetto delle circolari ministeriali, le quali viceversa non vincolano l’operato della magistratura nello svolgimento dell’attività giurisdizionale, visto il principio di indipendenza esterna di quest’ultima. In terzo luogo, la disciplina sulla responsabilità civile eventuale del pubblico funzionario risulta certamente meno favorevole rispetto a quella del giudice come disciplinata dalla legge n. 117 del 1988.

Particolarmente interessante risulta il ruolo della normazione comunitaria, e dell’incidenza della stessa rispetto all’ordinamento interno, in rapporto allo ius superveniens rappresentato dal Trattato di Lisbona. La particolarità è data dal fatto che anche atti comunitari, relativi ad una determinata materia, possono incidere indirettamente sulla materia penale24 come presupposti del reato, o in via diretta, come obbligo25 o divieto di sanzione penale, e ciò in chiave di coordinamento e armonizzazione26 delle discipline degli Stati membri, come affermato dalla Corte di Giustizia UE, purché tale incidenza nel diritto transitorio non porti ad una soluzione in malam partem27 nel caso concreto.

La funzione interpretativa della normazione comunitaria dubbia28 spetta alla Corte di Giustizia UE, attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale da parte di un giudice interno, salvo che il significato sia evidente, anche perché già oggetto di interpretazione della stessa Corte di Giustizia29; in tal caso sarà direttamente il giudice, o la pubblica amministrazione, ad interpretarla ed applicarla.

Sull’operazione di vaglio della natura self executing o meno di una norma comunitaria incidono certamente i criteri dell’effetto utile, species del genus leale collaborazione, nonché la tendenziale necessità di evitare comunque un abuso del diritto, che si perpetrerebbe in caso di valenza ultrattiva di una norma interna contrastante con lo ius superveniens comunitario inderogabile, o sotto il profilo di contrasto con una norma specifica, oppure di contrasto con un diritto o libertà tutelato dal Trattato UE.

3. La vexata quaestio sulla natura della CeDU

I rapporti tra norme pattizie non comunitarizzate,30 in particolare la CEDU, e l’ordinamento interno, sono stati chiariti dalle importantissime sentenze C. Cost. nn. 348, 349 del 2007,31 e dalla recentissima C. Cost. n. 80 del 2011,32 le quali affermano la non autoapplicatività delle prime, in quanto non equiparabili alle norme comunitarie, e non riferibili alla limitazione di sovranità di cui all’articolo 11 Cost., o alle norme consuetudinarie ai sensi dell’articolo 10 comma 1 Cost., ma anche la natura delle stesse come fonti interposte sub-costituzionali, valevoli in chiave di eventuale incidente di costituzionalità, e conseguentemente in chiave interpretativa forte della normazione interna.33

Ciò porta a far sì che le decisioni della Corte EDU, a cui è attribuita la competenza generale a valutare le questioni sull’interpretazione e applicazione della CEDU, seppur non comportanti una disapplicazione diretta del giudice interno, come invece quelle della Corte di Giustizia UE, abbiano una funzione “normante”, o “formante”, interpretativa molto importante.

In particolare, la recentissima sentenza C. Cost. n. 80 del 2011 ha ritenuto non innovativo in puncto il Trattato di Lisbona,34 lasciando solo uno spiraglio di possibile revirement in relazione agli effetti della futura adesione dell’UE alla CEDU, strettamente connessi alle modalità della stessa.

Medesimo valore interpretativo, e di fonte interposta sub-costituzionale...

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