L’evoluzione della disciplina normativa sulla vigilanza privata

AutoreAntonio Manganelli
Occupazione dell'autoreCapo della Polizia Direttore Generale della Pubblica Sicurezza
Pagine13-34

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@1.L’attività di vigilanza privata nell’ordinamento italiano: profili storici

Gli istituti di vigilanza traggono origine dalle guardie private (o particolari) e rappresentano la naturale evoluzione, in una prospettiva di carattere imprenditoriale, delle modalità di soddisfacimento della esigenza di sorveglianza e di tutela della privata proprietà.

Nell’ordinamento giuridico dell’Italia unificata2, la prima disciplina della polizia privata, intesa nel limitato significato di guardie private deputate alla vigilanza della proprietà rurale, si rinviene nella legge di pubblica sicurezza in data 20 marzo 1865 n. 2248, allegato B3, la quale all’art. 7 disponeva che per la custodia delle terre i privati possono “deputare” guardie particolari, “approvate” dal Prefetto ed aventi i requisiti stabiliti da regolamenti approvati con decreti reali.

Tali guardie devono prestare giuramento dinanzi al Giudice di mandamento del luogo dove sono chiamate a compiere il loro lavoro ed i verbali da esse stesi fanno fede sino a prova contraria.

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Dalla lettura del dettato normativo si evince che le caratteristiche essenziali delle guardie private sono rappresentate dalla loro connotazione “rurale” e dal rapporto diretto fra le stesse ed il proprietario dei fondi alla cui custodia sono assegnate.

Assai controverso è sempre stato il profilo concernente la qualificazione di agenti di pubblica sicurezza da attribuire loro, come accadeva per le guardie municipali e campestri: di vero, lo stesso Ministero dell’Interno affermava in materia di armi, con circolare 7 marzo 1870 n. 18090/4, che le guardie giurate non dovevano considerarsi “forza pubblica”, con la conseguenza che il permesso di porto d’armi ad esse concesso non poteva avere carattere diverso da quello che si rilascia a qualsiasi cittadino, ma non mancava chi riteneva che “le guardie particolari non sono né agenti della forza pubblica né agenti di pubblica sicurezza”, bensì “semplici privati”4.

Il carattere “rurale” delle guardie particolari è superato con la legge 21 dicembre 1890 n. 7321, che all’art. 45 attribuiva ai Comuni, ai corpi morali ed ai privati la facoltà di destinarle “alla custodia delle loro proprietà”, previa approvazione da parte del Prefetto e giuramento innanzi al Pretore. I verbali redatti nell’ambito del servizio cui tali guardie sono preposte fanno fede in giudizio sino a prova contraria.

Non più, dunque, “guardie particolari” destinate, ad opera di privati, alla sorveglianza delle terre, ma alla custodia delle proprietà (anche pubbliche), senza alcuna aggettivazione e quindi senza alcuna limitazione: ecco il sintomo rivelatore dell’emergere di una economia industriale e commerciale che ha il suo centro nel tessuto urbano. Ma non per via legislativa si superava il legame guardia particolare-proprietario del fondo: la citata normativa del 1865 all’art. 7 se non disciplinava la possibilità di organizzare, in una prospettiva imprenditoriale, gruppi di guardie particolari, che svolgessero attività di custodia per conto di terzi, neppure espressamente vietava siffatte intraprese.

E fu questa una intuizione di tal Giuseppe Lombardi, il quale costituì a Padova, intorno al 1880, un “Corpo di guardie notturne”, con il compito di “tutelare la sicurezza dei cittadini, sia personale, sia delle proprietà”: nasceva così l’istituto della vigilanza privata, la cui affermazione non avvenne in modo incontrastato.

Basti in proposito ricordare che proprio il Lombardi, dopo aver aperto un’agenzia a Venezia, venne denunciato dal Prefetto per aver costituito una raccolta di uomini pericolosi per la sicurezza. Assolto in Tribunale, condannato in Corte di appello, ma per usurpazione di funzioni pubbliche, fu definitivamente assolto nel 1883 dalla Corte di cassazione di Firenze.

Trasferita la attività a Milano, allo stesso Lombardi contestarono di aver costituito una milizia che avrebbe potuto turbare la pace dello Stato: dapprima Page 15 assolto in entrambi i gradi di merito del processo, era però condannato dalla Corte di cassazione di Torino, con sentenza in data 9 dicembre 1887, per non aver chiesto la licenza al Prefetto, con ciò fissandosi il principio della legittimità degli istituti di vigilanza.

Il riconoscimento ufficiale si avrà soltanto con il r.d. 4 giugno 1914 n. 563, che approva il regolamento per gli istituti di vigilanza privata ed offre l’esempio di una singolare tecnica legislativa.

La premessa del citato decreto fa riferimento agli artt. 45 e 56 della legge 21 dicembre 1890 n. 7321, che regola il sevizio e le attribuzioni per gli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza; fa riferimento all’art. 44 del testo unico delle leggi sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza approvato con r.d. 31 agosto 1907 n. 690, nonché agli artt. 82 e seguenti del regolamento per gli ufficiali ed impiegati di pubblica sicurezza, approvato con r.d. 20 agosto 1909 n. 666. Visti questi articoli, “udito il parere del Consiglio di Stato; – sentito il Consiglio dei Ministri; – sulla proposta del Nostro Ministro, segretario di Stato per gli affari dell’interno, presidente del Consiglio dei Ministri; – abbiamo decretato e decretiamo: – è approvato l’unito regolamento per gli istituti di vigilanza privata, che sarà visto e sottoscritto, d’ordine Nostro, dal Ministro dell’interno”.

Ora, l’art. 45 della legge 21 dicembre 1890 n. 7321 era volto a superare la tradizionale connotazione rurale delle guardie private, mentre per il successivo art. 56 “il Ministro dell’interno è autorizzato a pubblicare con decreto reale, sentito il Consiglio di Stato, i regolamenti necessari per l’esecuzione della presente legge o delle singole parti di essa”. L’art. 44 del t.u. del 1907 (in tutto uguale all’art. 45 della legge 21 dicembre 1890 n. 7321) stabiliva che “I Comuni, i corpi morali e i privati possono destinare guardie particolari alla custodia delle loro proprietà” e gli artt. 82 e segg. del regolamento 20 agosto 1909 n. 666 dispongono sui requisiti, sulle procedure di nomina e di revoca delle guardie particolari e si prescriveva che queste, per portare armi “dovranno munirsi della prescritta licenza, a termine della legge di pubblica sicurezza” (art. 87).

Trattasi, dunque, di norme, alle quali fa riferimento la premessa del r.d. 4 giugno 1914 n. 563, che non prevedono affatto alcunchè in ordine agli istituti di vigilanza privata, per i quali è approvato il relativo regolamento: si postula in tal modo la giuridica esistenza di questi istituti cogliendone probabilmente la legittimazione in una ipotesi di creazione giurisprudenziale del diritto, rappresentata dalla citata sentenza della Corte di cassazione di Torino e dalle successive pronunce conformi5.

Ed è forse in funzione della individuazione di questa fonte anomala che la normativa portata dall’art. 1 del r.d. 4 giugno 1914 n. 563 non ha natura “regolamentare” o di “esecuzione”. Per essa i Comuni, i corpi morali ed i privati possono, “con l’approvazione del Prefetto, consociarsi per la nomina delle guardie particolari giurate”, di cui all’art. 44 della legge 31 agosto 1907 n. 690, “da Page 16 destinare alla custodia in comune delle loro proprietà mobiliari od immobiliari” ed altresì giovarsi dell’opera degli Istituti che, sotto qualsiasi denominazione, “siano autorizzati dal Prefetto a provvedere, mediante guardie particolari, alla vigilanza ed alla custodia dei beni anzidetti”.

Se con la previsione di associazioni fra Comuni, corpi morali e privati, e si deve pensare anche ad associazioni non solo all’interno di ciascuna delle tre categorie, ma pure fra di esse, è operante una prospettiva di rapporto diretto tra i proprietari e le guardie particolari, il riconoscimento degli “istituti” si muove nella diversa orbita del rapporto indiretto o mediato (appunto del soggetto imprenditore “istituto”) fra il proprietario e la guardia particolare.

I successivi articoli del citato regio decreto del 1914 dettano norme regolamentari: ad esempio, indicando la documentazione da produrre per ottenere l’approvazione del Prefetto, che può essere revocata per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico (art. 2).

Per “impiantare od esercitare” un istituto di vigilanza occorre l’autorizzazione del Prefetto che non si concede alle persone le quali “non possono validamente obbligarsi a termini del codice civile o del codice di commercio né a quelli che abbiano subito una qualsiasi condanna per delitto, o che risultino alla autorità di pubblica sicurezza di non buona condotta”, ed il cui rilascio è subordinato al versamento di una cauzione (art. 9). È necessario essere cittadino italiano ed è prevista la revoca della autorizzazione “quando il concessionario venga a trovarsi in alcuna delle condizioni suindicate” (art. 3), ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico e può essere negata allorché, “in vista del numero o della importanza degli istituti già esistenti, non convenga consentire l’esercizio di altri” (art. 5).

È il Prefetto che deve autorizzare ogni variazione o modificazione nel funzionamento dell’istituto (art. 7), i cui titolari hanno l’obbligo di comunicare a tale autorità gli elenchi del personale dipendente, che deve osservare l’orario di servizio e deve essere iscritto alla Cassa nazionale per l’invalidità e la vecchiaia ed a quella per gli infortuni sul lavoro (art. 6), con i relativi cambiamenti se intervenuti, nonchè gli elenchi degli abbonati per la custodia delle proprietà con la precisa individuazione dei beni sottoposti a vigilanza (art. 8).

Per l’art. 10 del regio decreto del 1914, le disposizioni dell’art. 44 della legge 31 agosto 1907 n.690 e degli artt. 82, 84, 85, 86, 87 del regolamento 20 agosto 1909 n. 666 sono applicabili alle guardie dipendenti “dalle consociazioni fra proprietari e dagli istituti di vigilanza”. Dette guardie, per il successivo art. 11, “sono obbligate a prestare tutte le richieste che loro venissero dirette dagli ufficiali o dagli agenti di pubblica sicurezza e di polizia...

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