L'evoluzione delle logiche gestionali d'impresa

AutoreAmedeo Maizza
Occupazione dell'autoreProfessore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese
Pagine17-50
CAPITOLO 1
L’EVOLUZIONE DELLE LOGICHE
GESTIONALI D’IMPRESA
Sommario: 1. La competitività – 2. Lo studio del rapporto impresa-ambiente – 3.
L’impresa fordista – 4. L’impresa post-fordista – 5. La governance del cam-
biamento.
1. La competitività
La ricerca della sopravvivenza è la condizione che contraddistin-
gue le entità economiche, le quali possono perseguire tale obiettivo
qualora riescano a fronteggiare i rischi che la competitività quotidia-
namente presenta loro. Nel continuo divenire delle imprese, dunque,
la competitività assume un ruolo nevralgico ma, al tempo stesso, poco
definito per via della vastità del significato che rende sfumato il con-
cetto, riducendone talvolta l’importanza.
È noto, infatti, come vi siano diverse dimensioni del fenomeno; si
compete, infatti, tra: imprese, singoli soggetti all’interno di una stessa
organizzazione, raggruppamenti di imprese, ambiti territoriali, Stati.
Adottando una prospettiva olistica –come è necessario nell’analisi dei
fenomeni economici-, appare evidente che la competitività di ogni sin-
golo ambito influenzi gli altri, per via della ricorsività sistemica degli
agenti partecipanti1. Proprio questa caratteristica rende sfumato il con-
cetto stesso il quale deve, dunque, intendersi come “relativo”, ovvero
riferibile ad un ambito che può variare a seconda delle esigenze di ana-
lisi. Vi è altresì da considerare come detta ricorsività renda quasi con-
tradditorio il fenomeno di cui si discute. Ad esso, infatti, generalmente
1 Uno Stato è economicamente competitivo se lo sono i suoi territori, le imprese su essi operanti,
i singoli partecipanti alle diverse realtà economiche.
18 Management d’impresa e strategie competitive
si dà un’accezione legata alla conflittualità, omettendo però di consi-
derare come le medesime entità economiche possono, al tempo stesso,
trovarsi in “conflitto” su una dimensione e cooperare in altro ambito.
Tale circostanza emerge ove si approfondisca l’etimologia stessa del
termine (di chiara genesi latina cum petere) dalla quale si evince come
esso possa assumere – come di fatto poi assume se si pensa a quanto
detto poc’anzi – connotati ambivalenti che oscillano dalla rivalità alla
cooperazione.
A conferma di tale asserzione potrebbero portarsi vari esempi so-
prattutto nelle formule aggregative (tipo cluster o distretti le cui im-
prese possono operare in maniera autonoma – quindi in competizione
tra loro-, ovvero unirsi per alcune attività – quindi seguendo una logi-
ca di cooperazione –) nonché vari studi che, enfatizzando tale valenza
comportamentale, hanno coniato il neologismo “coopetizione” con cui
si vuole sottolineare proprio la duplice caratteristica presente in molti
comportamenti imprenditoriali.
Coopetizione2
Da un punto di vista lessicale, il termine “coopetizione” (traduzione
dell’inglese “coopetition”, o “cooperative-competition”) nasce dalle pa-
role “cooperazione” e “competizione”: esso è stato utilizzato per la prima
volta nel 19133 e ripreso nel 19374, per indicare la contemporanea ado-
zione, nella medesima relazione tra due o più imprese, di pratiche col-
laborative e pratiche competitive; tuttavia, esso è entrato nel linguaggio
manageriale soltanto nel 19965, a seguito della sua formalizzazione, sulla
base della teoria matematica dei giochi, come nuova categoria interpreta-
tiva nell’ambito delle strategie d’impresa.
Secondo la definizione di Bengtsson e Kock6, la coopetizione è una
«relazione diadica e paradossale che prende forma nel momento in cui
due imprese cooperano per lo sviluppo di alcune attività, mentre riman-
gono concorrenti in tutte le altre».
Nata come risposta ai continui e perturbanti cambiamenti dell’ambien-
te, che rendono sempre meno esaustiva la rigida dicotomia tra competi-
2 di Silvia Gravili, dottoranda di ricerca in Economia Aziendale, XXVI ciclo, Dipartimento di
Scienze dell’Economia, Università del Salento.
3 Cherington P.T., Advertising as a Business Force: A Compilation of Experience Records, ed.
Doubleday, Page & Company for the Associated advertising clubs of America, 1913, p. 144.
4 Rockwell D. Hunt, “Co-opetition”, in Los Angeles Times, Nov 20, 1937, p. 4.
5 Brandenburger A., Nalebuff B., Co-Opetition: A Revolution Mindset That Combines Compe-
tition and Cooperation, ed. Doubleday, 1996. Pochi anni prima, e precisamente nel 1992, l’am-
ministratore delegato della casa automobilistica statunitense Novell, Ray Noorda, lo utilizzò in
un’intervista per descrivere la strategia di business adottata dalla sua impresa.
6 Bengtsson M., Kock S., “Cooperation and Competition in Relationships Between Competitors in
Business Networks”, in Journal of Business and Industrial Marketing, Vol. 14, No. 3, 1999, pp. 178-194.
Cap. 1 – L’evoluzione delle logiche gestionali d’impresa 19
zione e cooperazione, la coopetizione si realizza dunque nel momento in
cui due o più imprese tra loro concorrenti decidono, preservando integral-
mente la propria autonomia gestionale, di collaborare nella realizzazione
di una o più attività7; tuttavia, esse sono pienamente consapevoli del fatto
che tale alleanza non pone fine alla competizione tra loro, in quanto, per
ciascuna impresa, lo scopo rimane quello di raggiungere i propri obiettivi
aziendali, indipendentemente dai risultati (migliori o peggiori) degli altri
soggetti con cui si sta cooperando8.
Un tratto tipico della coopetizione è, dunque, il riconoscimento che
gli interessi prioritari di un partner non sono allineati in toto con quel-
li dell’altro partner: per tali ragioni, Dagnino e Padula9 l’hanno definita
come «una parziale congruenza di interessi (ed obiettivi) nell’ambito del-
le relazioni di interdipendenza tra due o più imprese», che si traduce in un
«nuovo sistema di creazione e di distribuzione del valore» inquadrabile
alla luce di concetti come fiducia, opportunismo e commitment.
Questa “incogruenza” tra le strutture di interessi e di obiettivi delle
aziende coinvolte nella coopetizione pone, infatti, un sostanziale proble-
ma di “correttezza” nei comportamenti o, se si preferisce, di “equilibrio”
nella relazione. Essendo quest’ultima per sua stessa natura variabile (per-
ché tali sono le decisioni strategiche che ogni impresa assume indipen-
dentemente dal proprio partner nella coopetizione), è possibile che nel
corso del tempo la struttura degli interessi delle aziende che coopetono
tenda a divergere in maniera sempre più significativa; o che si sviluppino
delle forti asimmetrie nelle rispettive capacità di apprendimento organiz-
zativo; o che un indebolimento nella leadership renda, di fatto, un partner
meno attrattivo rispetto al passato.
7 Esse assumono tale decisione perché, lavorando insieme, si aspettano di ottenere un valore
aggiunto rispetto alle altre aziende che operano nel medesimo mercato o settore. Ad esempio, un’a-
zienda potrebbe decidere di stringere accordi di coopetizione per:
– attivare sinergie sui costi che le permettano di migliorare, a parità di vendite, i profitti;
– allungare la catena del valore e rafforzare il proprio brand;
aumentare il numero di clienti attivi in un determinato mercato, educandoli sui vantaggi del
prodotto (si pensi alla campagna del 2010 “Birra e sai cosa bevi”, condotta dalle imprese di
AssoBirra per sfatare i luoghi comuni legati al consumo della birra) o sovvenzionando l’acquisto
di beni complementari (ad esempio, l’attività del Consorzio E.S.E. per la diffusione del caffè – e
delle macchine da caffè – in cialde);
usufruire di soluzioni tecnologiche, logistiche, commerciali, distributive o di marketing ad un
costo minore – o con un’efficacia maggiore – rispetto agli altri competitor.
8 Per tale ragioni, inquadrata nel paradigma della teoria dei giochi la coopetizione si configura
come un gioco a somma variabile e con “pay-off” (cioè, letteralmente, “compenso”, “vincita”,
“pagamento”, ma anche “esito”) positivo. Infatti, da un lato la “vittoria” di un giocatore non si tra-
duce nella corrispondente “perdita” per l’altro giocatore, ma nell’ “arricchimento” di ciascuno dei
soggetti coinvolti nella relazione (pay off positivo); dall’altro, l’entità e la portata di tale “vincita”
non possono essere definite, per ciascun partner, ex-ante – cioè prima che si avvii la relazione – a
causa della variabilità strutturale di tale alleanza e dell’incertezza dovuta alla pressione esercitata
dall’ambiente esterno (da cui deriva la “variabilità” e la “competitività” della relazione).
9 Dagnino G.B., Padula G., “Coopetition strategy: a new kind of interfirm dynamics for value
creation”, paper presentato a EURAM – The European Academy of Management Second Annual
Conference – “Innovative Research in Management”, Stoccolma, 9-11 maggio, 2002.

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