L'evento di cui all'art. 586 C.P. Con riguardo alla stupefacente confusione tra colpevolezza e causalità

AutoreIvan Russo
Pagine1421-1428

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@1. Responsabilità oggettiva e aberratio delicti

- La sentenza in rassegna affronta l'arduo tema dell'aberratio delicti (art. 83 c.p.), con riguardo alla figura speciale di cui all'art. 586 c.p.; si tratta, nel caso de quo, dell'evenienza più frequente: cessione di eroina donde è conseguita la morte di uno degli assuntori.

Come è noto, a proposito del titolo d'imputazione dell'evento non voluto, tre teorie si contendono il campo.

a) Per il primo indirizzo, titolo è la responsabilità oggettiva: l'evento aggiuntivo è posto a carico del reo in virtù del nesso causale, senza alcuna dipendenza dalla sua colpa in concreto 1. La locuzione «a titolo di colpa», di cui all'art. 83 c.p., sancirebbe il trattamento normativo del delitto ulteriore (da considerare come colposo).

b) Il secondo orientamento afferma che si è al cospetto di colpa specifica del reo, per aver egli violato una norma di legge (art. 43, c.p., comma 1, ultimo periodo composto): nella specie, penale 2.

c) La terza corrente di pensiero, richiamandosi all'art. 27 della Costituzione e all'attuale orientamento della Consulta, afferma che il coefficiente minimo per l'imputazione di un fatto non può essere inferiore a quello che caratterizza almeno la colpa dell'agente; non di rado si evocano il caso fortuito e la forza maggiore come accidenti che, escludendo il nesso soggettivo, consentirebbero di recuperare la dimensione personale dell'illecito penale 3. L'accenno al «titolo di colpa» indicherebbe, dunque, che la responsabilità deve essere ancorata a uno specifico rimprovero, che non sia meramente quello d'aver infranto la norma penale.

Per vero, le Sezioni unite, nella lunga, ponderosa ricostruzione dogmatica delle rispettive teorie, ne richiamano altre due: quella della prevedibilità in re ipsa 4 e quella della responsabilità da rischio totalmente illecito 5. La prima afferma che la punibilità si giustifica alla luce della prevedibilità astratta, da parte dell'agente, delle conseguenze delle sue azioni, secondo l'id quod plerumque accidit (nello specifico, non si dovrebbe dubitare che la morte in seguito ad assunzione di stupefacenti sia evento prevedibile); la seconda, partendo dal presupposto che la responsabilità per colpa e quella da rischio totalmente illecito condividono l'insieme della prevedibilità e evitabilità dell'evento (per violazione di una norma cautelare), assume tuttavia che, nel secondo caso, non è necessaria la presenza di una colpa in concreto, dal momento che qui in re illicita versat non può accampare scusanti assumendo di essere scevro da menda aggiuntiva (ri-

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spetto all'aver infranto la norma penale): talché l'assunzione del rischio illecito (concretatosi con la commissione del delitto citeriore) giustifica, di per sé, l'imputazione dell'evento ulteriore. Per come sono illustrate in sentenza 6, le due elaborazioni sembrano tuttavia sconfinare in una dimensione evanescente che sta a metà strada tra la teoria della responsabilità obiettiva e quella della colpa specifica, laddove, pur essendo in effetti sistemabili entro l'ampio genere delle teorie oggettivistiche, le proposte offrono uno spunto condivisibile: la constatazione che la responsabilità oggettiva poggia in ogni caso su un profilo di colpa primiero.

A ogni modo, la pronuncia respinge qualsiasi forma di responsabilità obiettiva.

@2. La soluzione delle Sezioni unite

- Muovendo implicitamente dalla definizione classica del nesso di causalità materiale 7, secondo cui anche per le discipline giuridiche varrebbe il metodo che è proprio di Galileo e di Newton, il consesso deve di necessità rintracciare un termine mitigatore dell'inaccettabile rigore che consegue all'applicazione pura della teoria condizionalistica: per il fine, non può che far perno sul nesso soggettivo. In altri termini, se si accede al teorema secondo cui ogni antecedente, ove necessario (sotto il profilo scientifico-naturalistico) per la produzione dell'evento, diventa altresì causa (giuridicamente intesa) dell'esito, il corollario è che il nesso psicologico (ovvero la sua assenza) diventa l'indispensabile baluardo erto a difendere la causalità giuridica dall'invasione massiva da parte della causalità intesa in senso naturalistico 8. Cosicché, per evitare gli aberranti e nocivi esiti che sarebbero generati dalla stretta attuazione della teoria dell'equivalenza, il Collegio ricorrere all'istituto della colpa e statuisce che la commissione del delitto doloso citeriore non è titolo sufficiente per la configurazione del delitto ulteriore, qualora al reo non si possa muovere uno specifico rimprovero di colpa in concreto.

In altri termini, le Sezioni unite fanno proprio, implicitamente, il principio secondo cui solo il fatto sopravenuto eccezionale (art. 41, comma 2, c.p.) esclude la causalità, mentre, una volta che sia stata assodata l'esistenza del nesso dinamico, ogni altra delibazione va ricondotta nell'ambito della colpevolezza: nel caso di specie, con riferimento alla colpa; di guisa che il responsabile del delitto generante risponderà di quello generato, soltanto se a lui sarà stato mosso, nel concreto, un rimprovero specifico e aggiuntivo. In caso contrario, similmente all'evenienza che l'evento sia frutto di accidenti eccezionali o anomali che siano preesistenti o simultanei, il fatto successivo non costituisce reato, bensì mera e penalmente neutra mutazione del mondo fisico.

@3. Il crepuscolo della causazione per opera della colpevolezza

- Orbene, ferma l'indiscussa pregevolezza di taluni passi della sentenza 9, l'impostazione concettuale di cui si discute sembra evidenziare tuttavia defaillances e limiti logico-giuridici.

Intanto, vale osservare che le Sezioni unite, superato con disinvoltura il principio di conservazione della norma penale (nonché l'art. 12 delle preleggi) 10, asseriscono che l'essenza dell'art. 586 c.p. è giustificata dall'inasprimento della pena comminata per omicidio e lesioni conseguenti al delitto citeriore, trascurando che la bisogna ben avrebbe potuto essere soddisfatta in modo assai più elementare e diretto 11; e ancora, soggiungendo che il principio di conservazione è destinato a soccombere al cospetto di un'interpretazione adeguatrice, sembrano (da un canto) non avvedersi che, così argomentando, vengono ribaltati i termini della questione (talché l'explanandum diventa arbitrariamente explanans) 12, e (dall'altro) trascurare che la Consulta non ha mai sospettato di difformità dalla Carta quel modello di responsabilità oggettiva spuria che sia esito di uno sviluppo causale logicamente congruo rispetto alla potenzialità offensiva di un primiero incipit illecito 13.

L'aver collocato la risoluzione della querelle entro l'alveo della colpevolezza induce il giudicante a dicta che non di rado sono singolari: per esempio, si assume che l'inopinata ingestione di una bustina di plastica da parte di un assuntore, al fine di sfuggire a un controllo della Polizia, con conseguente morte del soggetto (perché la busta si era poi aperta nello stomaco), si risolve in assenza di colpa del cedente, laddove è di tutta evidenza che si tratta di fatto atipico e anomalo che interrompe il nesso causale, ai sensi del comma 2 dell'art. 41 c.p. 14.

La vittima più insigne dell'impostazione de qua, però, è la ragionevolezza che dovrebbe governare l'accertamento della colpa. In altri termini, avendo premesso che l'azione commissiva del delitto doloso anteriore (cessione di eroina) non è intrisa, di per sé, di quella colpa che è funzionale all'addebito del delitto posteriore (morte dell'assuntore), il Consesso deve di necessità ingegnarsi a delineare quei profili astratti di colpa che, se ricorrenti, legittimano l'imputazione dell'omicidio colposo al reo. E però, siccome tali profili (oltre che essere difficilmente dimostrabili nel concreto) aggiungono poco più di un niente alla condotta citeriore (lo spaccio, appunto), la quale, invece e a ben vedere, già li ingloba almeno nelle linee essenziali e più indicative, ecco che l'elaborazione appare a dir poco opinabile, poiché è innegabile che già la schietta cessione di eroina (a persona che se la inietterà) sia azione intrisa di colpa sufficiente a giustificare l'addebito aggiuntivo; anzi, l'individuazione di un qualche supplemento di colpa (di certo, però, più espressiva di quella ipotizzata da talune esemplificazioni estreme della sentenza dirette a segnare il confine tra il neutro e il rilevante) costituirà, semmai, elemento fondante l'aggravante di cui all'art. 61, n. 3, c.p. (colpa cosciente).

Del resto, quando si conferisce al momento psicologico la dignità di elemento adeguatore della causalità materiale, si è costretti a individuare argini e confini che dovrebbero separare l'atteggiamento intriso di colpa in concreto da quello scevro da rimprovero. Però, essendo tali confini spesso labili e talvolta inesistenti, lo sforzo non sortisce risultati congrui e finisce, per altro verso, con l'originare una pecca opposta rispetto a quella innanzi rilevata (circa la bustina ingoiata), ossia con il creare una lata e inaccettabile area d'impunità: stiamo parlando della statuizione che la colpa dello spacciatore è da escludere se la vittima è giovane e sana 15, ovvero che il delitto si ravvisa alla condizione che l'assuntore presenti «caratteristiche esteriori di fragilità fisica» 16; parimenti singolare è

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il tentativo di ancorare la colpa all'evenienza che il soggetto possa aver assunto o possa in séguito assumere sostanze alcoliche che producano, per sinergia, un effetto letale 17; desta poi molta perplessità che la colpa sarebbe da escludere quando lo spacciatore non sa che l'assuntore è più esposto al collasso perché si è sottoposto a precedente tentativo di disintossicazione 18; e che dire dell'asserzione che la base della colpa del venditore fu costituita dalla sua possibilità di rendersi conto che la vittima è affaticata perché di ritorno da un lungo viaggio 19?

In sostanza, dimentiche dell'esortazione...

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