Flessibilità e lavoro in Europa: la teoria economica e l'evidenza empirica

AutoreElena Fabrizi - Vito Peragine - Michele Raitano
Pagine49-72
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Flessibilità e lavoro in Italia e in Europa:
la teoria economica e l’evidenza empirica
Elena Fabrizi, Vito Peragine e Michele Raitano
SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. EPL in teoria e in pratica: un quadro internazionale. - 3. EPL e
mercato del lavoro in Italia. - 3.1. Breve storia delle riforme dell’EPL in Italia. - 3.2. Il dibat-
tito sugli effetti della riduzione dell’EPL in Italia. - 4. Il mercato del lavoro italiano: rigido,
duale o fluido? - 5. Una valutazione della riforma del sistema degli ammortizzatori sociali.
1. Il dibattito di politica economica relativo alle riforme del mercato del la-
voro ruota da tempo intorno al concetto di Employment Protection Legislation
(EPL nell'acronimo anglosassone), ovvero l'insieme di norme che regolano le
procedure di assunzione e licenziamento dei lavoratori (OECD, 2004).
La centralità dell’EPL non sorprende quando si consideri il ruolo centra-
le ad essa attribuito sia nei modelli teorici sia nei lavori empirici che cercano
di spiegare le differenze nelle performance dei mercati del lavoro nell’area
OCSE. Gran parte della letteratura empirica, in particolare, si è concentrata
sulla stima degli effetti dell’EPL sui processi di mobilità, in entrata e in usci-
ta, e sugli indicatori aggregati di buon funzionamento del mercato del lavoro:
tassi di occupazione e di disoccupazione e produttività.
Comprendere e quantificare l’impatto dell’EPL in termini di mobilità del
lavoro, e valutarne gli effetti per il funzionamento dell’economia è questione
cruciale per la politica economica; e lo è ancor più oggi, quando i paesi
OCSE stanno attraversando, e forse stanno faticosamente superando, la più
grave crisi economica degli ultimi 50 anni. Una crisi che ha determinato un
impatto elevatissimo, ma anche molto differenziato tra i paesi OCSE, in ter-
mini di perdite di posti di lavoro (OECD, 2010): e le differenze tra paesi
nell’impatto della crisi è stato più volte ascritto esattamente alle differenze
negli assetti istituzionali, tra i quali i costi di licenziamento legati alla EPL.
Nell’ambito dei paesi OCSE, fino alla prima metà degli anni '90 l'Italia
era ritenuto un paese con un mercato del lavoro relativamente rigido, dato
che, in comparazione internazionale, l'indice di EPL risultava abbastanza e-
levato. Come noto, da quel momento in poi nel nostro paese è stata attuata
una serie di riforme che ha modificato radicalmente l'impianto legislativo di
protezione dell'occupazione, aumentando la flessibilità dei contratti di lavoro.
L’ultima riforma in materia, introdotta con la l. n. 92/2012, è, come noto,
intervenuta da un lato introducendo una serie di disincentivi di carattere eco-
nomico e amministrativo all'utilizzo di contratti a termine e parasubordinato
e cercando di rafforzare il ruolo dell'apprendistato come canale di passaggio
dalla formazione verso l'impiego permanente, dall'altro allentando le causali
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in base a cui il lavoratore può disporre della tutela reale (ovvero la reintegra
nel posto di lavoro) nelle imprese con più di 15 dipendenti in caso di licen-
ziamento senza giusta causa per motivazioni economiche.
In questo saggio, piuttosto che analizzare contenuti ed effetti della rifor-
ma, intendiamo tratteggiare il contesto entro cui questa riforma si colloca. In
primo luogo, riportiamo gli ultimi dati disponibili utili a confrontare il grado
di rigidità del mercato del lavoro italiano, nonché la dinamica degli ultimi
decenni, con il livello e la dinamica degli altri Paesi dell’area OCSE, e inter-
roghiamo la letteratura economica esistente, sia quella teorica sia quella em-
pirica, sulle relazioni e i nessi di causalità tra EPL e funzionamento del mer-
cato del lavoro. Nella parte centrale del lavoro, dopo aver ripercorso in ma-
niera sintetica la storia delle riforme di EPL che si sono succedute in Italia e
valutato alcuni possibili effetti macroeconomici del processo di flessibilizza-
zione del nostro mercato del lavoro, utilizziamo una preziosa banca dati di
tipo longitudinale recentemente costruita1 al fine di descrivere le caratteristi-
che del mercato del lavoro italiano sotto il profilo della mobilità, in entrata ed
in uscita, osservando le dinamiche seguite dai lavoratori per lunga parte della
loro carriera. Vedremo come, a differenza di analisi precedenti che si limita-
no a confrontare le situazioni dei lavoratori in un breve intervallo di tempo –,
dall’analisi effettuata emerga un mercato del lavoro meno duale di quanto so-
litamente ritenuto, ma al contempo molto fluido, dato che anche i cosiddetti
lavoratori “garantiti” (ovvero i dipendenti a tempo indeterminato) sono espo-
sti a forti rischi di scivolamento verso situazioni occupazionali meno vantag-
giose. Rischi così diffusi rendono quindi necessaria la definizione di un si-
stema di ammortizzatori sociali atto a evitare eccessive riduzioni del benesse-
re economico a discapito degli individui caratterizzati da interruzioni
dell’attività lavorativa. Il saggio si chiude quindi con un’analisi delle modifi-
che introdotte dalla riforma del sistema degli ammortizzatori sociali.
2. In una prospettiva teorica molto semplificata la mobilità del lavoro e
dei lavoratori, al pari della mobilità di qualsiasi altro fattore produttivo, è
parte di quel continuo processo di riallocazione delle risorse che permette al
mercato di raggiungere l’efficienza, attraverso un matching ottimale tra risor-
se (lavoratori) e impieghi, e che stimola i processi di innovazione delle im-
prese. Ma la mobilità del lavoro ha anche dei costi, per i lavoratori e per le
imprese: il processo di ricerca del lavoro (e di lavoratori da parte delle im-
prese) è un processo costoso e la mobilità, se eccessiva, può incidere negati-
vamente sulla produttività e sul capitale umano dei lavoratori2. La letteratura
economica, sia quella teorica sia quella empirica, si è a lungo esercitata sul
1 Per una descrizione delle caratteristiche di questa banca dati, ottenuta incrociando i dati di
fonte campionaria IT-SILC raccolti dall’ISTAT con le informazioni longitudinali sulla carriera
individuale registrati negli archivi amministrativi gestiti dall’INPS, si veda RAITANO 2011.
2 E.g. OECD, 2005; MORTENSEN e PISSARIDES, 1999; CABALLERO e HAMMOUR, 2000.

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