Eternit, diritto penale e morti da amianto: una breve opinione sull'argomento

AutoreMusacchio Vincenzo
Pagine472-473
472
dott
5/2012 Rivista penale
DOTTRINA
ETERNIT, DIRITTO PENALE
E MORTI DA AMIANTO:
UNA BREVE OPINIONE
SULL’ARGOMENTO
di Vincenzo Musacchio
La sentenza del Tribunale di Torino del 13 febbraio
2012 è una sentenza di gran peso di quelle, come si dice,
che possono fare giurisprudenza ma non è la prima in
Europa.
In Belgio, un tribunale ha già condannato la società
Eternit a risarcire, con duecentocinquantamila euro, la
famiglia di una vittima dell’amianto. La decisione dei giu-
dici belgi, precede di pochi mesi la sentenza italiana nel
più grande processo per le morti da amianto d’Europa nel
tribunale di Torino.
Nel caso belga la vittima fu una donna morta nel 2000
per un cancro alla pleura, un mesotelioma, causato dalle
f‌ibre d’amianto. Era stata lei, insieme ai suoi f‌igli, a trasci-
nare in giudizio la Eternit in quanto il cancro alla pleura
aveva colpito gran parte della sua famiglia. Prima il mari-
to, che per anni aveva lavorato in uno stabilimento della
multinazionale elvetica e poi morto a causa della malattia.
Poi è deceduta lei stessa e poi i suoi due f‌igli, sempre per
cancro alla pleura.
Il tribunale di Bruxelles (1) ha riconosciuto la società
Eternit colpevole, in quanto ha continuato ad utilizzare
l’amianto anche quando era già stato riconosciuto che il
prodotto è cancerogeno.
Il processo penale a Torino si occupa, invece, della
morte di migliaia di persone morte o ammalate a causa
dell’amianto. Ex dipendenti (ma anche abitanti nei pres-
si delle fabbriche) che f‌ino ai primi anni novanta dello
scorso secolo, quando l’amianto è stato proibito perché
cancerogeno, hanno lavorato nei quattro stabilimenti ita-
liani della multinazionale: a Cavagnolo (Torino), Casale
Monferrato (Alessandria), Bagnoli (Napoli) e a Rubiera
(Reggio Emilia).
I fatti contestati ai due imputati Stephan Schmidheiny
e Louis de Cartier, vanno dal 1952 al 2008, e nei loro con-
fronti i P.M. hanno chiesto una condanna a vent’anni per
disastro doloso e omissione dolosa di cautele antinfortuni-
stiche. Le parti civili ammesse dal tribunale torinese sono
oltre seimila.
È bene ricordare che nell’ambito del processo eternit
in Italia, la procura torinese si occupa di un’inchiesta-bis,
per un secondo troncone del processo per un migliaio di
morti per amianto dal 2008 ai giorni nostri; “troncone” per
il quale l’ipotesi di reato sempre nei confronti degli stessi
imputati, è di omicidio colposo (2).
Da Torino è arrivata forse una sentenza davvero storica
(dovremo leggere ancora le motivazioni), che riguarda il
decesso di tanti morti sul lavoro ma queste morti sono di-
verse dalle altre, e per certi versi più atroci perché dovute
a quel veleno implacabile e sottile che si chiama amianto.
Il Piemonte assieme alla Liguria sono statisticamente le
regioni italiane dove ci s’ammala maggiormente di amian-
to e il carcinoma polmonare è il tumore al polmone più
diffuso.
Pertanto, con questa sentenza di sicuro un punto fermo
è stato raggiunto: si è creata una crepa nel muro di omertà
e complicità che f‌inora sono state di ostacolo alla ricerca
della verità.
Un secondo punto fermo è stato conseguito: sono stati
condannati a sedici anni di carcere Stephan Schmidheiny
e Louis de Cartier per i delitti di disastro doloso e rimo-
zione di cautele. I giudici hanno ritenuto i due imputati
colpevoli di disastro doloso solo per le condizioni degli
stabilimenti di Cavagnolo (in provincia di Torino) e Ca-
sale Monferrato (in provincia di Alessandria). Per quan-
to riguarda gli stabilimenti di Rubiera (in provincia di
Reggio Emilia) e Bagnoli (in provincia di Napoli) i magi-
strati hanno dichiarato di non doversi procedere perché
il reato è prescritto. Il Tribunale piemontese ha deciso
anche risarcimenti milionari a favore delle parti civili: al
comune di Casale Monferrato andranno venticinque mi-
lioni di euro, alla regione Piemonte venti milioni, all’Inail
quindici milioni e al comune di Cavagnolo quattro milioni.
Alle centinaia di familiari è stato, invece, riconosciuto un
risarcimento medio di poco più di trentamila euro a testa.
È stato raggiunto anche un terzo punto fermo: con que-
sta sentenza si riconosce che l’amianto ha ucciso prima gli
operai e poi - disperdendosi nell’aria, nelle falde acquife-
re, nel territorio - ha ucciso anche i cittadini. La nascita di
centinaia di comitati e associazioni che da anni si battono
contro la monetizzazione della salute e della vita umana,
affermando che non hanno prezzo, e anni di lotte hanno
contribuito a cambiare la mentalità e l’opinione di molti
sulla pericolosità e cancerogenicità dell’amianto.
La lotta contro un sistema sociale che considera nor-
male che mille lavoratori muoiano per infortuni sul lavoro
e altre migliaia per malattie professionali, che ritiene
normale che migliaia di cittadini muoiano per sostanze
cancerogene ha prodotto la consapevolezza che solo orga-
nizzandosi è possibile difendersi.
In questo processo, come nel processo Thyssenkrupp,
la differenza l’ha fatta la presenza e la partecipazione dei
lavoratori, dei famigliari delle vittime e dei cittadini a tutte
le udienze che non hanno delegato a giudici e avvocati, ma
sono stati sempre presenti facendo pesare la loro presenza
e la loro determinazione ad ottenere giustizia.
Questa volta, per quanto come sempre tardiva, un
minimo di giustizia c’è stata anche se l’amianto, come l’in-
differenza, continua ogni giorno ad uccidere. Il picco dei
morti è previsto in continua crescita f‌ino al 2020 (3).

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