La Cassazione estende il principio del 'minore sacrificio necessario' al reato di violenza sessuale di gruppo ex art. 609 octies c.p.

AutoreCinque Carlo: Troppo rumore per nulla
Pagine643-647
643
giur
Rivista penale 6/2012
LEGITTIMITÀ
TROPPO RUMORE PER NULLA:
LA CASSAZIONE ESTENDE
IL PRINCIPIO DEL “MINORE
SACRIFICIO NECESSARIO” AL
REATO DI VIOLENZA SESSUALE
DI GRUPPO EX ART. 609
OCTIES C.P.
di Carlo Cinque
SOMMARIO
1. Introduzione. 2. Il c.d. “vuoto dei f‌ini” e l’apparente anti-
nomia tra l’art. 13 secondo comma Cost. e l’art. 27 secondo
comma Cost. Fino a che punto può spingersi il legislatore?.
3. Il legislatore non rispetta il principio di ragionevolezza ed
estende il regime speciale ad altre tipologie di reati. La scure
della Corte Costituzionale e l’intervento costituzionalmente
obbligato di Cass. n. 4377/12.
1. Introduzione
Con la sentenza in rassegna (1), la terza sezione penale
della Corte di Cassazione ha esteso, al reato di violenza ses-
suale di gruppo, i principi già enunciati a suo tempo dalla Cor-
te Costituzionale con la sentenza n. 265 del 21 luglio 2010.
Come noto, nella suddetta pronuncia, la Consulta ha
dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 275 comma 3 c.p.p.
nella parte in cui, sussistendo le esigenze cautelari previ-
ste dal codice di rito, prevede che l’unica misura cautelare
adeguata, per i reati di cui agli artt. 600 bis primo comma,
609 bis (violenza sessuale) e 609 quater c.p. (atti sessuali
con minorenne), sia la custodia cautelare in carcere.
La norma de qua è stata modif‌icata più volte dal legisla-
tore nel corso del tempo (decreto-legge 9 settembre 1991
legge n. 8 agosto 1995 n. 332; art. 2 decreto-legge 23 feb-
braio 2009 n. 11 convertito, con modif‌icazioni, dalla legge
23 aprile 2009 n. 38) il quale, per alcune tipologie di reato,
ha introdotto un sistema cautelare a doppio binario: da un
lato la disciplina tradizionale che subordina l’emanazione
del provvedimento cautelare all’accertamento della sussi-
stenza delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p. [id est: a)
pericolo di inquinamento probatorio; b) pericolo di fuga;
c) pericolo di reiterazione del reato della stessa specie o
dei reati indicati nella lett. c) dell’art. 274 c.p.p.] e f‌issa
i principi guida della adeguatezza e della proporzionalità
(2) per condurre per mano il giudice nella scelta della mi-
sura cautelare da adottare nel caso concreto; dall’altro la
disciplina speciale che prevede una doppia presunzione:
una iuris tantum relativa alla sussistenza delle esigenze
cautelari e, quindi, vincibile mediante prova contraria;
l’altra iuris et de iure avente ad oggetto il principio di
adeguatezza nella convinzione che, per i reati ivi previsti
(associazione di tipo maf‌ioso; violenza sessuale semplice e
di gruppo e atti sessuali con minorenne; pornograf‌ia mino-
rile; prostituzione minorile; omicidio volontario), l’unica
misura adeguata a garantire il rispetto delle esigenze
cautelari fosse la custodia cautelare in carcere.
Per questa tipologia di reati, quindi, una volta non di-
mostrata da parte della persona sottoposta alle indagini
l’insussistenza di esigenze cautelari o comunque non ri-
sultino elementi che escludano la sussistenza di esigenze
cautelari, il giudice è obbligato a disporre la custodia cau-
telare in carcere, sempreché ovviamente sussistano i gravi
indizi di colpevolezza.
Ne deriva una sorta di stravolgimento rispetto alla
disciplina classica delle misure cautelari per almeno un
triplice ordine di ragioni: in primo luogo si inverte l’onere
della prova che è a carico dell’indagato essendo egli tenu-
to a dimostrare l’insussistenza delle esigenze cautelari di
cui all’art. 274 c.p.p., con conseguenti dubbi di legittimità
costituzionale della norma in relazione alla presunzione
d’innocenza ex art. 27 comma 2 Cost. (3); in secondo
luogo si sottrae al giudice la possibilità di scegliere, tra
il ventaglio delle misure cautelari previste dalla legge,
quella maggiormente confacente alla tutela delle esigenze
cautelari presenti nel caso di specie; in terzo luogo si eli-
mina l’obbligo di motivazione della scelta della custodia in
carcere che non è più l’extrema ratio in caso di inadegua-
tezza delle altre misure coercitive, bensì la regola.
Fatte queste premesse, occorre chiedersi f‌ino a che pun-
to il legislatore possa creare sistemi alternativi al normale
regime cautelare disciplinato dal libro quarto del codice di
procedura penale e perché il sistema del doppio binario è
stato recentemente scardinato dalla Corte Costituzionale
(v. in proposito sent. n. 164/2011 che ha dichiarato l’inco-
stituzionalità dell’art. 275 comma 3 c.p.p. nella parte in
cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di
colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 575 del codice
penale (omicidio volontario), è applicata la custodia caute-
lare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali
risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva,
altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specif‌ici, in
relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze
cautelari possono essere soddisfatte con altre misure).
2. Il c.d. “vuoto dei f‌ini” (4) e l’apparente antinomia tra
l’art. 13 secondo comma Cost. e l’art. 27 secondo comma
Cost. Fino a che punto può spingersi il legislatore?
L’art. 13 Cost., nello stabilire l’inviolabilità della libertà
personale, testualmente dispone al secondo comma: “Non
è ammessa forma alcuna di detenzione, … (omissis) …,
se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli
casi e modi previsti dalla legge”.

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