Spunti essenziali sul procedimento monitorio ordinario in materia locatizia

AutoreAldo Carrato
Pagine389-393

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Come è risaputo, il procedimento monitorio rileva in ambito locatizio essenzialmente sotto due profili: da un lato, come procedimento d'ingiunzione ordinario che segue la disciplina racchiusa nel capo I del titolo I del libro quarto del codice di rito civile (artt. 633-657); dall'altro, come procedimento speciale connesso e conseguente all'emissione della convalida di sfratto, che trova la sua collocazione e regolamentazione nell'art. 664 c.p.c. 1.

Incentrando l'attenzione sul primo dei modelli in discorso occorre partire dal presupposto scontato che si profila assolutamente indiscutibile che il procedimento monitorio nelle sua connotazione ordinaria sia utilizzabile anche in relazione ai crediti che trovano la ragione giustificatrice in un rapporto di locazione.

Secondo i principi generali sarà necessario - per far luogo fruttuosamente alla domanda per decreto ingiuntivo - che la stessa sia confortata da idonea prova scritta, alla stregua della indispensabile condizione di ammissibilità statuita dall'art. 633 c.p.c., tenendo presente che tale prova potrà essere offerta in una delle forme individuate nel successivo art. 634 c.p.c., ovvero attraverso l'allegazione di qualsiasi altra prova documentale - non necessariamente tipizzata - dalla quale si possa desumere la verosimile sussistenza del fatto costitutivo sotteso all'istanza di ingiunzione.

In effetti - secondo la prospettiva in esame - appare naturale asserire che la materia locativa non si differenzia da quella concernente gli altri rapporti contrattuali, e ciò quantomeno avuto riguardo ai presupposti implicati dalla legge ai fini della concessione del provvedimento monitorio in oggetto.

Da tanto deriva che - in virtù di un indirizzo costante sia giurisprudenziale che dottrinale 2 - nel procedimento monitorio la prova scritta sufficiente allo scopo può essere rappresentata da qualsiasi documento, ancorché privo dell'efficacia probatoria assoluta di cui agli artt. 2700 e 2702 c.c. e pur se non fornisca la prova piena dell'esistenza del diritto in esso indicato, essendo, invero, sempre possibile al creditore provvedere all'integrazione dell'inerente prova e con effetto retroattivo nel successivo (eventuale) giudizio di opposizione.

In relazione al disposto dell'art. 637 c.p.c. e sul presupposto ormai assodato che la cognizione esclusiva e funzionale delle controversie in ambito locatizio appartiene - a seguito dell'avvento della riforma sul giudice unico di cui al D.L.vo n. 51/1998 (con efficacia dal 2 giugno 1999) - al Tribunale in composizione monocratica 3 (come prima era indubbio che appartenesse al Pretore, in riferimento all'indicazione contenuta nell'ora abrogato art. 8, secondo comma, n. 3. c.p.c.), anche la competenza in tema di procedimento monitorio non può che ritenersi conferita a quest'ultimo organo giurisdizionale, avuto riguardo - in ordine al criterio territoriale - al luogo ove si trova l'immobile cui si riferisce il rapporto locativo (art. 21 c.p.c.).

Ovviamente il giudice adito, qualora ritenga che non sussista la propria competenza (sia in relazione al criterio materiale che a quello territoriale inderogabile), può rilevarla d'ufficio fin dalla fase monitoria, pur venendosi a connotare, nella sostanza, il relativo provvedimento come un decreto di reiezione dell'istanza avanzata dal creditore.

Il riferimento dell'oggetto della domanda ad una causa locatizia comporta che l'eventuale fase dell'opposizione soggiace alla disciplina processuale prevista dall'art. 447 bis c.p.c. 4.

Da un punto di vista generale è risaputo che l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un autonomo giudizio di cognizione, esteso, come tale, all'esame delle condizioni di ammissibilità e di validità del procedimento monitorio, ma anche della fondatezza della domanda, sul merito della quale il giudice ha, comunque, l'obbligo di pronunciarsi, nel senso che egli è tenuto ad accoglierla (o rigettarla) qualora ritenga provato (o meno) il credito dedotto, e ciò indipendentemente dalla validità, sufficienza e regolarità degli elementi posti a fondamento del decreto ingiuntivo opposto 5, ragion per cui lo stesso giudice, anche quando dichiari la nullità del ricorso e del relativo provvedimento monitorio, deve pronunciarsi sulla domanda così introdotta 6.

In applicazione delle norme sul rito del lavoro si verificherà che sin dalla fase introduttiva occorre osservare le relative regole processuali, ragion per cui l'opposizione deve essere instaurata nelle forme del ri corso in relazione al disposto dell'art. 414 c.p.c. ed essere depositato nella cancelleria del giudice competente nel termine di quaranta giorni dalla notificazione del decreto ingiuntivo.

Tuttavia la giurisprudenza 7 ha puntualmente precisato che, nel rito del lavoro (al quale è certamente assimilato in materia quello locatizio), l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dall'opponente (che, però, riveste il ruolo sostanziale di convenuto) deve avere il contenuto della memoria difensiva ai sensi dell'art. 416 c.p.c. e, quindi, l'opponente deve compiere tutte le attività ivi previste, a pena di decadenza. Pertanto con l'atto introduttivo dell'opposizione egli è tenuto a proporre le eccezioni processuali e di merito, non rilevabili d'ufficio, e le domande riconvenzionali, oltre ad indicare i mezzi di prova e produrre i documenti, non dissimilmente da quanto è previsto per ogni convenuto nel rito del lavoro. Allo stesso modo l'atto di costituzione dell'opposto è riconducibile, piuttosto che allo schema della memoria difensiva, a quello di un atto integrativo della domanda azionata con la richiesta per decreto ingiuntivo, sicché l'opposto ha l'onere di proporre con essa tutte le deduzioni e le eccezioni intese a paralizzare i fatti estintivi e modificativi dedotti dall'opponente o le pretese vantate dall'opponente stesso in via riconvenzionale e ad indicarne i mezzi di prova a loro sostegno.

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Bisogna, inoltre, sottolineare che l'intima correlazione intercorrente tra ricorso per ingiunzione e atto di costituzione dell'ingiungente opposto nella successiva fase dell'opposizione implica che le eventuali incompletezze del secondo (che, nel rito del lavoro, coincide con la memoria difensiva depositata appunto dall'opposto, che assume la qualità di convenuto in senso solo formale) finiscono con l'essere integrate dal contenuto del ricorso stesso, e, quindi, in un certo senso con l'essere sanate od ovviate con quest'ultimo 8.

In ogni caso, ai fini della tempestività dell'opposizione in oggetto qualora la stessa debba essere trattata con il rito speciale di cui all'art. 447 bis c.p.c., si prospetta irrilevante la mancata indicazione del rito applicabile, ovvero della necessità di depositare l'opposizione in cancelleria (in conformità dell'art. 415 c.p.c.) nel termine perentorio di cui all'art. 641, primo comma, c.p.c., non vigendo il principio dell'affidamento in materia processuale 9.

Sulla scorta della riferita impostazione deriva che qualora l'opposizione in discorso venga formulata nella forma della citazione, intanto potrà ritenersi idonea ad instaurare la relativa controversia se sarà stata depositata nel predetto termine perentorio in cancelleria con la relativa iscrizione a ruolo 10.

Invero quando l'opposizione risulta avanzata con citazione è da ritenersi che essa possa valere come ricorso - per il principio di conservazione degli atti processuali (imperfetti) - solo nel momento in cui, attraverso il deposito (tempestivo) in cancelleria, abbia raggiunto lo scopo proprio di quell'atto, in quanto non può riconoscersi alcun valore alla notificazione della citazione eseguita anteriormente al deposito, concernendo, infatti, un'opposizione ancora non venuta ad esistenza 11. Alla stregua di questo inquadramento di fondo deriva che, qualora la citazione sia depositata in cancelleria dopo la scadenza del termine contemplato dall'art. 641 c.p.c., l'opposizione deve essere dichiarata inammissibile 12, non vertendosi in tema di questione...

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