Danno esistenziale e sistema della responsabilità civile alla luce dell"evoluzione giurisprudenziale

AutoreGiuseppe Cassano
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@Introduzione

- Due sentenze della Corte di Cassazione (Cass. 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828), ed una della Corte costituzionale (Corte cost. 11 luglio 2003, n. 233) hanno rivoluzionato il sistema della responsabilità civile in relazione al danno alla persona, e quindi al danno esistenziale 1.

È opportuno quindi prima di affrontare quanto sostenuto dalla Suprema Corte e dalla Consulta una messa a fuoco dei «risultati» raggiunti da dottrina e giurisprudenza in tema.

@1. Il danno non patrimoniale

- Il termine danno assume nell'ambito della responsabilità aquiliana un significato anfibologico: da un lato esso rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie di illecito civile ai sensi dell'art. 2043 c.c. (lesione di un interesse), dall'altro integra, l'oggetto dell'obbligazione risarcitoria e dunque si connota quale sanzione, quale effetto dell'illecito, corrispondente all'ammanco di utilità subito dal soggetto passivo.

Il danno non patrimoniale consiste nella lesione di un bene inidoneo a costituire oggetto di scambio e di quantificazione pecuniaria secondo le leggi di mercato ma che costituisce, pur sempre, un interesse direttamente protetto dall'ordinamento ed in quanto tale può affermarsi la sua natura di interesse rivestito di valore economico, alla stregua degli altri interessi immateriali tutelati.

Il danno risarcibile non si identifica in qualunque lesione materiale e naturalistica patita dalla vittima, ma dipende dalle scelte di valore operate dall'ordinamento giuridico nella selezione degli interessi protetti e delle conseguenze pregiudizievoli economicamente rilevanti.

Una prima opzione interpretativa tende ad ampliare la nozione di patrimonio per tutelare i valori della persona, includendovi ogni valore e utilità economica di cui il danneggiato possa disporre.

Tale impostazione avrebbe un suo fondamento se si accedesse ad una concezione di danno non patrimoniale, quale quella enunciata dall'art. 2059 c.c., in cui vadano compresi soltanto i danni morali subiettivi, quei danni arrecanti un dolore morale alla vittima ed in nessun modo riguardanti il patrimonio, escludendosi così a priori la distinzione fra danno morale e danno non patrimoniale.

Diversamente, superando l'equazione danno non patrimoniale-danno morale, sottolineandosi la maggiore latitudine da attribuire al primo, si potrebbe propendere per una configurazione di danno comprensiva di qualsiasi conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaristica basata su criteri di mercato, non possa essere oggetto di risarcimento, bensì di riparazione 2.

La giurisprudenza ha seguito questa seconda strada ridisegnando l'intero sistema di responsabilità civile fino alla enucleazione del danno esistenziale, la cui funzione dovrebbe essere quella di coprire uno spazio vuoto, ovvero una intera area di danni attualmente privi di tutela risarcitoria 3, non catalogabili nella tricotomia danno biologicodanno morale-danno patrimoniale, propria ormai del nostro sistema risarcitorio.

Il lento cammino che ha condotto alla espansione dell'ambito del danno risarcibile, ha avuto la sua tappa fondamentale nell'individuazione e, specialmente, nell'attribuzione di tutela alla figura del danno biologico. Tralasciando le disquisizioni inerenti alla qualificazione di questa tipologia di danno, nonché le singole tappe del percorso seguito dalle Corti che per prime l'hanno, il punto di partenza nella ricostruzione giurisprudenziale è certamente la sentenza n. 184 del 14 luglio 1986 della Corte costituzionale, in tema di danno biologico, per la quale distinguere, anche nel diritto privato (specie a seguito del riconoscimento di diritti, inviolabili costituzionalmente, validi anche nei rapporti tra privati) l'evento materiale, naturalistico, che, pur essendo conseguenza del comportamento, è momento od aspetto costitutivo del fatto, dalle conseguenze dannose, in senso proprio, legate all'intero fatto illecito (e quindi anche all'evento) da un ulteriore nesso di causalità. Vale, infatti, distinguere da un canto il fatto costitutivo dell'illecito civile extracontrattuale e dall'altro le conseguenze, in senso proprio, dannose del fatto stesso.

Quest'ultimo si compone, oltreché del comportamento (l'illecito è, anzitutto, atto) anche dell'evento e del nesso di causalità che lega il comportamento all'evento. Ogni danno è, in senso ampio, conseguenza: anche l'evento dannoso o pericoloso è, infatti, conseguenza dell'atto, del comportamento illecito. Tuttavia, vale distinguere, anche in diritto privato (specie a seguito del riconoscimento di diritti, inviolabili costituzionalmente, validi anche nei rapporti tra privati) l'evento materiale, naturalistico, che, pur essendo conseguenza del comportamento, è momento od aspetto costitutivo del fatto, dalle conseguenze dannose, in senso proprio, di quest'ultimo, legate all'intero fatto illecito (e quindi anche all'evento) da un ulteriore nesso di causalità. Non esiste comportamento senza evento: il primo è momento dinamico ed il secondo momento storico del fatto costitutivo dell'illecito.

Da quest'ultimo vanno nettamente distinte le conseguenze, in senso proprio, del fatto, dell'intero fatto illecito, causalmente connesse al medesimo da un secondo nesso di causalità. Il danno biologico costituisce l'evento del fatto lesivo della salute mentre il danno morale subiettivo (ed il danno patrimoniale) appartengono alla categoria del dannoconseguenza in senso stretto. La menomazione dell'integrità psico-fisica dell'offeso, che trasforma in patologica la stessa fisiologica integrità (e che non è per nulla equipara-Page 888bile al momentaneo, tendenzialmente transeunte, turbamento psicologico del danno morale subiettivo) costituisce l'evento (da provare in ogni caso) interno al fatto illecito, legato da un canto all'altra componente interna del fatto, il comportamento da un nesso di causalità e dall'altro, alla (eventuale) componente esterna, danno morale subiettivo (o danno patrimoniale) da altro, diverso, ulteriore rapporto di causalità materiale 4.

Consegue a questa ricostruzione che la lesione giuridica al bene salute si concreta nel momento stesso in cui si realizza, in interezza, il fatto costitutivo dell'illecito e, pertanto, va esclusivamente provato che la menomazione biopsichica del soggetto offeso in concreto abbia impedito le attività extra-lavorative. Invece, il danno morale subiettivo si sostanzia nel transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso, esso è danno-conseguenza, in senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute e costituisce, quando esiste, condizione di risarcibilità del medesimo.

Afferma, inoltre, la Corte che il riconoscimento del diritto alla salute come diritto pienamente operante anche nei rapporti di diritto privato, non è senza conseguenza in ordine ai collegamenti tra lo stesso art. 32, comma 1 Cost. e l'art. 2043 c.c.: l'ingiustizia del danno biologico e la conseguente sua risarcibilità discendono direttamente dal collegamento tra gli artt. 32, comma 1, Cost. e 2043 c.c.; più precisamente dall'integrazione di quest'ultima disposizione con la prima.

Se la Corte costituzionale, affermata l'autonoma tutela del diritto costituzionalmente garantito alla salute, ne ha garantito dal combinato disposto tra l'art. 2043 c.c. e l'art. 32 Cost. la risarcibilità del danno alla salute prima di quelli in senso stretto patrimoniali, secondo l'ormai nota formula del danno-evento, non si vede perché non debba essere risarcito il danno da lesione di altri diritti secondo questo modello (in questo caso l'art. 2043 c.c. sarà da ricollegarsi direttamente all'art. 2 Cost., fondamento del diritto in questione).

Il sintagma danno ingiusto, quindi, collegherebbe l'art. 2043 c.c. alla lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante che assuma una sua giusta collocazione nella gerarchia dei valori costituzionali, la cui lesione costituirà un danno ingiusto, risarcibile ai sensi degli artt. 2043 c.c. e 2 Cost.: ad argomentare diversamente sarebbe palese la disparità di trattamento per due posizioni ugualmente garantite.

@2. Il danno esistenziale come danno derivante da lesione dei diritti della personalità

- Il clima di crescente interesse verso la figura del danno esistenziale trova un ideale sbocco nell'imprimatur dato dalla Cassazione secondo la quale:

la vigente Costituzione, garantendo principalmente e primariamente valori personali impone, infatti, una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2043 c.c. (che non si sottrarrebbe altrimenti ad esiti di incostituzionalità), «in correlazione agli articoli della Carta che tutelano i predetti valori», nel senso appunto che quella norma sia «idonea a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell'illecito», attraverso «il risarcimento del danno (che) è sanzione esecutiva del precetto primario ed è la minima delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la tutela di un interesse».

Il citato art. 2043 c.c., correlato agli artt. 2 e ss. Cost., va così «necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma di tutti danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana».

Per cui, quindi - essendo le norme costituzionali di garanzia dei diritti fondamentali della persona pienamente e direttamente, operanti «anche nei rapporti tra privati» (c.d. drittwirkung) - «non è ipotizzabile limite alla risarcibilità», della correlativa lesione, «per sè considerata» (n. 184/1986 cit.), ai sensi dell'art. 2043 c.c.: che, per tal profilo la Corte veneziana ha per ciò correttamente applicato, riconoscendo all'attore il ristoro del danno (non già «morale» da illecito penale, ma) da lesione in sè di suoi diritti fondamentali, in conseguenza della riferita condotta del suo genitore 5.

La via da seguire sembra, allora, quella di valorizzare il valore uomo assorbendone la categoria del danno biologico...

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