L’esercizio dell’azione civile nel processo penale: il Sindacato dei lavoratori come parte civile

AutoreFrancesco Palumbo
Pagine563-569

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La recentissima decisione della Suprema Corte dell’11 giugno 2010 e l’ordinanza del Gup del Tribunale di Verona del 16 dicembre 2008 offrono l’occasione per alcune riflessioni sulla costituzione di parte civile del sindacato nel processo penale per lesioni o morte da infortunio sul lavoro.

La particolarità della vicenda sta, sia nell’un caso che nell’altro dei due presi in considerazione dai giudici, nella richiesta di ammissione della costituzione di parte civile anche per l’ipotesi di lavoratore non iscritto al sindacato.

Nella fattispecie sottoposta al giudice di Verona, infatti, accanto alla FIOM, sindacato di appartenenza del lavoratore deceduto, chiedeva -separatamente - di costituirsi parte civile anche la CGIL.

Nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, invece, si erano costituite parti civili tutte e tre le maggiori sigle sindacali dei metalmeccanici. In un vecchio volume (del 1971) avente ad oggetto “Azione civile e processo penale si dà resoconto di un convegno, dello stesso tema, tenutosi in Lecce, cui avevano partecipato i più valenti giuristi dell’epoca (solo per ricordarne alcuni Amodio, Beria D’Argentine, Candian, Conso, Dall’Ora, Delitala, Dell’Andro, Dominioni, Fazzalari, Grevi, Liebman, Mantovani, Pisapia, Siracusano), nel quale si era dibattuto del progetto di riforma del codice di procedura penale, ed in esso veniva richiamata l’opinione del Guardasigilli Rocco autore del vigente codice (del 1930) a proposito dell’azione civile nel processo penale.

In buona sostanza, nella previsione progettuale del primo codice repubblicano, gli eminenti giuristi convenuti affrontavano la questione -per l’appunto non nuova - se un processo di stampo accusatorio potesse accettare o meno una parte civile.

Se sì, con quali limiti.

Non stiamo qui a riassumere i termini dell’appassionante dibattito, basti solo rilevare che il nuovo codice, venuto alla luce nel 1988, avrebbe risentito dell’incertezza delle opinioni, e dell’intento compromissorio che si sarebbe fatto avanti.

La parte civile non è, né è mai stata, ben accetta nel processo penale. Nella maggioranza dei Tribunali essa è - anche fisicamente - messa in un angolo, il proscenio è conquistato e mantenuto dalla pubblica accusa e dalla difesa dell’imputato.

Solo in alcuni la parte civile (il suo difensore) è seduta accanto al Pubblico Ministero, in una interazione di colloquio e di strategia processuale, che lascia sorpreso chi dal nord vi sia coinvolto.

La difesa dell’imputato, del tutto ragionevolmente, ha visto la parte civile come il fumo negli occhi, stante il supporto da essa offerto al Pubblico Ministero ai fini pratici (ed economici) la difesa dell’imputato talvolta teme di più la parte civile che la pubblica accusa.

Il legislatore è stato portato, dalla stessa evoluzione della giurisprudenza costituzionale, a porre al centro del sistema penalprocessualistico l’imputato, a scansare l’accusa di non tutelarne efficacemente i diritti.

Di qui, la più o meno aperta indicazione della strada più giusta al danneggiato dal reato quella dell’azione civile davanti ad un Tribunale civile.

Annotava G.D. Pisapia, nella relazione introduttiva di quel convegno in Lecce, che la parte civile doveva rivendicare pari dignità e che, purtuttavia, la presenza della stessa parte civile era incompatibile con un processo di stampo accusatorio, quale quello che si stava progettando.

Questo perchè - ripetendoci - se al centro del processo poniamo l’imputato, quello che gli gira intorno (parte civile, la stessa pubblica accusa) diviene accessorio il rapporto non è più tra lo Stato (Pubblico Ministero) ed imputato, ma tra imputato e giudice, che ha il dovere - al di là del contributo offerto dalle altre parti - di verificare se l’accusa sia fondata o meno.

Lo stesso Pubblico Ministero non è più il padrone del processo, ma una parte equiparata a tutte le altre parti.

Ora che - affermiamo - la tutela della presunzione d’innocenza dell’imputato può dirsi compiutamente realizzata, sia per gli interventi della Corte Costituzionale sul nuovo codice, sia per ben più pesanti interventi del legislatore, siamo a chiederci, a chiedere, se non sia il caso di rivalutare, sostanzialmente e processualmente, la vittima del reato.

Se scelta è stata effettuata, nella predisposizione del progetto del nuovo codice di procedura penale, e nella sua successiva applicazione, per il sacrificio della parte civile, è stata - a nostro avviso - una scelta dissennata.

E ciò, chiariamo, non già per la negazione del diritto della vittima del reato ad aver riconosciuta la riparazione, quanto per i tempi e le modalità in cui questa riparazione si potrebbe realizzare.

Prendiamo i familiari di un lavoratore deceduto per infortunio aperto il procedimento penale a carico del datore di lavoro, essi possono intervenire nella fase delle indagini come persone offese, in chiave meramente propositiva verso il Pubblico Ministero.

Non possono esercitare, in sede civile, l’azione risarcitoria in attesa degli sviluppi delle indagini in corso da parte del Pubblico Ministero. Non possono esercitare, inPage 564 sede penale, la costituzione di parte civile perchè, e fino a quando, non sarà richiesto il rinvio a giudizio dell’imputato da parte del Pubblico Ministero.

Attendono.

E sono le vittime!

Al deposito degli atti da parte della Pubblica accusa, possono estrarne copia e quindi decidere se e per quale azione avviarsi:

- possono avviare l’azione civile in sede civile, con l’incubo di non poter partecipare - ex art. 75 c.p.p. - all’imminente processo penale, e quindi della possibilità di una assoluzione dell’imputato ostativa alla proficua prosecuzione della causa;

- possono costituirsi parte civile per l’udienza preliminare, ed attenderne la conclusione.

Se a questa udienza l’imputato riterrà di patteggiare la pena, mediante il consenso e l’accordo con il Pubblico Ministero, non saranno neppure interpellate, rimarranno in un angolo e solo - facendosi coraggio e timidamente, forse un po’ vergognandosi - esibendo la nota spesa al giudizio, ne otterranno la spesso simbolica liquidazione.

Inoltre, come sovrapprezzo, la sentenza di patteggiamento non farà stato nella causa civile (da iniziare), tutta l’attività istruttoria verrà a ricadere sulle loro spalle.

Se l’imputato, invece, riterrà di non patteggiare, esse parti civili saranno loro si condannate a seguirlo nei tre gradi di giudizio, ottenendo - al termine del primo grado e sempre che l’imputato sia condannato - una provvisionale sul risarcimento definitivo.

All’esito dei tre gradi di giudizio, se la condanna sarà confermata anche in Cassazione, potranno iniziare la causa civile, in questo aiutati da una sentenza (penale), che non permetterà di rimettere in discussione i fatti di colpa.

Questa è l’ipotesi di esercizio dell’azione civile nel processo penale. Iniziare allora la causa civile davanti al giudice civile.

Osservazione corretta ma con quale animo ci si avvia ad una causa civile sapendo che, alle spalle, si sta svolgendo un processo penale, nel quale il datore di lavoro imputato si proclama innocente?

E quale aspettativa potrà mai essere nutrita che la causa civile si concluda prima del processo penale?

Riteniamo che - ai tempi odierni - l’azione civile non solo si possa, ma si debba svolgere all’interno del processo penale, e questo per una prima, essenziale ragione che l’imputato sia molto più indotto ed incoraggiato a risarcire la parte civile in cambio della revoca della costituzione (oltretutto usufruendo di un’attenuante specifica), di quanto il convenuto della causa civile ritenga conveniente raggiungere una transazione con le parti attrici. Non solo: ma è lo stesso atteggiamento del giudice che cambia. Per il giudice civile è pressoché indifferente che attore e convenuto raggiungano una transazione, per il giudice penale è l’inverso viene guardato con favore l’imputato che abbia risarcito i danni rispetto ad uno che non l’abbia fatto.

Azione civile, dunque, all’interno del processo penale ma con pari dignità. Questo significa - a nostro parere -due cose fondamentali...

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