Esame e controesame delle parti: spunti sistematici

AutoreAngelo Mambriani
Pagine453-477

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@I. Presupposti dogmatici dell'esame diretto: da strumento di attuazione del principio di oralità ad alibi per un processo parzialmente scritto?

Nella disciplina dell'esame diretto - estesa, come è noto a testimoni, periti, consulenti, parti, imputati in procedimento connesso e prevista inizialmente solo con riferimento alla fase del dibattimento, salvi i casi eccezionali di incidente probatorio - si condensano molti degli obiettivi e dei principi originariamente perseguiti dal codice del 1988, obiettivi e principi che fungono da presupposto logico o da scopo del regime positivo originariamente conferito all'istituto. Non per nulla uno degli aspetti salienti della normativa - la regolamentazione degli effetti delle contestazioni sub specie di utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai testi in sede di indagini preliminari - è stato oggetto di modifiche, prima di ordine costituzionale e poi di carattere normativo ordinario, che hanno mutato tanto profondamente quanto ineluttabilmente i precedenti equilibri codicistici.

Mette conto dunque, per comprendere appieno finalità, rilevanza, portata e limiti anche attuali dell'istituto, illustrare preliminarmente e brevemente quali ne siano stati, sul piano dogmatico, i fondamenti causali e teleologici.

La legge delega, premesso che il processo doveva attuare i principi della Costituzione ed adeguarsi alle Convenzioni internazionali, aveva imposto di improntare il processo all'attuazione dei caratteri del sistema accusatorio, definendoli peraltro in modo dettagliato nei punti di cui si compone l'art. 2 L. n. 81/1987, anche per armonizzarli con i principi costituzionali e convenzionali medesimi. Sul punto è significativa anche la Relazione al testo definitivo del codice, dove, in premessa, si legge: «Già nella "bozza" redatta nel 1963 da Francesco Carnelutti erano prefigurate in larga misura le linee lungo le quali si sarebbe dovuto muovere il nuovo processo penale, abbandonando gli schemi inquisitori che caratterizzano il codice vigente. Era netta in quella "bozza" la separazione tra la fase preliminare, denominata "inchiesta preliminare", rimessa esclusivamente al pubblico ministero, e il giudizio; ed erano rigidamente contenuti i poteri del pubblico ministero, con il chiarimento, nella "introduzione", che l'inchiesta differiva nettamente dall'istruzione sommaria, perché questa "tende ad offrire immediatamente i suoi risultati al giudice del reato affinché se ne serva al dibattimento, mentre l'inchiesta preliminare li offre soltanto al pubblico ministero"».

La volontà di cambiare in modo radicale il processo penale, già manifestata nella «bozza» Carnelutti, prosegue la Relazione, è stata recepita sia dalla legge delega del 1974, sia da quella del 1987: «Il preambolo dell'art. 2 indica una tendenza che si sviluppa "secondo i principi ed i criteri" indicati di seguito nello stesso articolo e che deve armonizzarsi più in generale con altri principi anche di rango costituzionale, quali quelli sull'obbligatorietà dell'azione penale e sulla posizione ordinamentale del pubblico ministero. È in questo quadro che il nuovo processo risulta improntato dai "caratteri del sistema accusatorio"; caratteri che emergono attraverso la netta differenziazione di ruolo tra pubblico ministero e giudice, l'eliminazione del segreto negli atti del giudice e nella formazione della prova, l'accentuazione dei poteri delle parti e la parità tra queste, la valorizzazione del dibattimento e dell'oralità. Questi principi espressi dalla legge delega hanno trovato ulteriore svolgimento nel codice, che ha sviluppato un processo di parti, curando di collocare le indagini preliminari del pubblico ministero in uno stadio preprocessuale, di garantire nel modo più ampio la parità e di riconoscere, in tutti i casi in cui è risultato possibile, alla concorde volontà dell'imputato e del pubblico ministero il potere di semplificare lo svolgimento del processo». Individuati i motivi a favore dell'opzione verso il sistema accusatorio nella «maggiore aderenza agli schemi democratici» e nella maggiore efficacia nel «coniugare garanzie ed efficienza», la Relazione aggiungeva: «Le ragioni della scelta risultano inoltre rafforzate dalla convinzione che le probabilità di una decisione giusta sono maggiori quando la prova si forma nella dialettica processuale anziché nella solitaria ricerca dell'organo istruttore, sia esso un pubblico ministero o un giudice, le cui acquisizioni diventano fonti di pregiudizio ineliminabile per il giudice del dibattimento. Nel nuovo codice è scomparsa l'istruzione: il giudizio è preceduto dalle indagini preliminari del pubblico ministero, che hanno carattere investigativo e sono funzionali alle "determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale".

Gli atti delle indagini preliminari normalmente non costituiscono prova, data la posizione di parte del pubblico ministero. . . Nel codice risulta ben posto in evidenza lo stadio preprocessuale delle indagini preliminari. Rispetto a queste infatti si è usato il termine "procedimento", mentre si è riservato quello di "processo" per la fase che inizia con la definitiva formulazione dell'imputazione, alla quale si lega la qualità di imputato. . . Emerge così la centralità del dibattimento, luogo in cui l'accusa è chiamata a superare la presunzione di non colpevolezza e si forma la prova nel contraddittorio tra le parti ed attraverso l'esame incrociato. . .».

Esiste dunque una trama di principi e «criteri» della legge delega, richiamati dalla Relazione, lungo la quale si snoda il percorso processuale che porta sino alla previsione dell'esame dibattimentale incrociato. Queste le direttive ri-Page 454levanti: n. 2, adozione del metodo orale, id est immediato contatto tra fonte di prova costituenda, parti e giudice nel momento dell'acquisizione della prova; elaborazione verbale della prova ad opera delle parti; nn. 3, 69, 75, affermazione della partecipazione paritaria delle parti in ogni fase del procedimento e del loro diritto alla prova; n. 37, funzione autoreferenziale delle indagini; nn. 57 e 58, distinzione del fascicolo del pubblico ministero da quello per il dibattimento; n. 76, facoltà di utilizzo degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero ai fini di contestazione e limitazione del novero degli atti suscettibili di allegazione al fascicolo per il dibattimento e di lettura. La direttiva n. 73 prevedeva infine l'«esame diretto dell'imputato, dei testimoni e dei periti da parte del pubblico ministero e dei difensori» disciplinando in modo piuttosto particolareggiato le garanzie che dovevano circondare tale modalità di acquisizione della prova orale.

Il recupero di terzietà e del ruolo più schiettamente giurisdizionale del giudice è stato dunque attuato - oltre che comprimendo decisamente, ma non azzerando (artt. 506, 507, 508 c.p.p.), i suoi poteri istruttori d'ufficio - conferendo alle parti l'iniziativa nella ricerca, introduzione ed elaborazione della prova e soprattutto affermando il principio della formazione orale della prova (in pubblico, nel contraddittorio delle parti, di fronte al giudice).

Un principio quest'ultimo garantito, sotto il profilo del presupposto logico, dalla separazione funzionale della fase delle indagini da quella del dibattimento (artt. 326, 358, 526 c.p.p.) e dalla conseguente, essenziale, disinformazione o scarsa informazione del giudice in ordine agli elementi raccolti in fase di indagine.

Sotto il profilo operativo, la garanzia è costituita dalla nuova forma conferita alla dialettica probatoria esterna 1, cioè alle modalità di acquisizione della prova (rectius degli elementi di prova su cui si deve formare il convincimento giudiziale), proprio con l'introduzione dell'esame incrociato in dibattimento, istituto del tutto nuovo e mutuato, con i necessari correttivi, dall'esperienza anglosassone 2.

Invero, l'iniziale disinformazione del giudice, che istituzionalmente affronta il processo non sapendo nulla o sapendo molto poco e certamente meno delle parti in ordine ai fatti oggetto del processo, ha conseguenze logiche immediate che consentono anche un efficace paragone con la situazione che esisteva vigente il codice del 1930.

Oggi al giudice, diversamente da quanto accadeva prima, è pressoché impossibile precostituirsi sia una conoscenza precisa dei fatti oggetto del processo sia, e tantomeno, alcun convincimento circa la responsabilità dell'imputato prima del dibattimento.

Si è osservato che, in precedenza, poiché il giudice aveva a disposizione tutti gli atti istruttori ed era perciò completamente informato di quanto raccolto dall'accusa in fase di indagini, e, nel caso di istruttoria formale, anche del motivato convincimento del giudice istruttore circa la concludenza degli elementi raccolti rispetto all'imputazione, l'imputato non era garantito dal rischio di trovarsi di fronte ad un giudice «prevenuto», cioè ad un giudice il cui giudizio era in gran parte confezionato prima del dibattimento, in base ad elementi di prova, pienamente utilizzabili per la decisione, acquisiti non innanzi a lui ma in segreto, in assenza dell'imputato e del difensore. Ne discendeva una crisi di effettività del principio di non colpevolezza proprio all'interno della fase dibattimentale - in teoria improntata ai principi accusatori - 3 ed una correlativa difficoltà nell'esercizio del diritto di difesa su un piede di parità rispetto all'accusa.

L'impostazione di fondo era tale da produrre effetti coerenti anche sulla modalità di acquisizione delle prove. Si iniziava con l'interrogatorio dell'imputato, poiché questi, gravato degli elementi raccolti in istruttoria, doveva (se vi riusciva) discolparsi, «purgare gli indizi» come si diceva in lessico inquisitorio. Seguivano i testi, con precedenza per l'offeso, nell'ordine stabilito dal giudice.

Questi - il presidente negli organi collegiali - perfettamente informato sulle acquisizioni processuali, conduceva per primo e direttamente...

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