Ancora sull'equiparabilitá degli effetti della sentenza c.d. Di patteggiamento a quelli di una sentenza di condanna

AutoreAnna Maria Siagura
Pagine74-78

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@1. Sulla natura della sentenza di condanna alla luce della normativa più recente e delle interpretazioni della giurisprudenza di legittimità

- La sentenza in esame costituisce un punto di partenza di sicuro interesse nella disamina degli effetti prodotti dall'applicazione di pena su richiesta di parte. In particolare, la decisione della II sez. pen. della Corte di cassazione in rassegna, solleva non pochi dubbi e perplessità in ordine ai risultati raggiunti, derivanti dall'efficacia del c.d. rito del patteggiamento. Nell'esame della fattispecie concreta, infatti, la Corte Suprema, sulla scia di alcune argomentazioni, peraltro già sostenute anche a Sezioni Unite, riprende la delicata questione dell'equiparabilità della sentenza applicativa di una pena su richiesta ad una sentenza di condanna. Tuttavia, attraverso un percorso argomentativo non compiutamente condivisibile, la pronuncia in commento disattende nella sostanza le conclusioni raggiunte da ultimo su tale tema; ciò, peraltro, citando - in modo conseguenzialmente improprio - quelle pronunce utili a giustificare una soluzione di segno opposto. In effetti, la Corte, con una pronuncia depositata il 23 maggio 2006, nell'affermare che la sentenza di applicazione della pena su richiesta costituisce un titolo idoneo alla revoca della sospensione condizionale della pena, precedentemente concessa, conferma il trend - giurisprudenziale, prima, e legislativo, poi - della perfetta sovrapposizione della sentenza pronunciata ex art. 444 c.p.p. con una sentenza di condanna, quanto meno relativamente agli effetti. Al contrario, la pronuncia in annotazione, nella sostanza esclude un processo di tal fatta, pur riconoscendone astrattamente la validità.

Per una migliore esegesi delle conclusioni raggiunte, quindi, appare necessario valutare la natura della c.d. sentenza di patteggiamento, anche alla luce delle più recenti modifiche legislative, in uno con la nozione degli effetti propri di una sentenza di condanna, al fine di valutare se la soluzione proposta sia effettivamente in armonia con il sistema normativo e dogmatico dell'istituto suddetto.

In primo luogo, quanto alla qualificazione giuridica della sentenza applicativa di una pena a richiesta, sembra opportuno ripercorrere i passi percorsi dalla dottrina e dalla giurisprudenza sul tema.

In effetti, tra le molteplici questioni di costituzionalità sollevate in ordine alla fattispecie disciplinata dagli artt. 444 ss. c.p.p., non poche sono quelle originate dalla scarsa chiarezza interpretativa sulla reale natura giuridica della sentenza di patteggiamento. I frequenti interventi giurisprudenziali, soprattutto della Suprema corte, danno ulteriore conferma della disputa al riguardo, nonché della mancanza di un'unicità di vedute.

Per dissipare tutti i dubbi al riguardo sia la Corte costituzionale sia la Corte di cassazione si sono pronunciate - entrambe nel 1990 - con due sentenze che, in apparenza dal contenuto risolutorio, hanno sollevato ulteriori critiche ed obiezioni, tanto da risultare necessari successivi interventi chiarificatori.

Il problema, in realtà, non era nuovo alla giurisprudenza, tanto di merito, quanto di legittimità, dal momento che già per le sanzioni sostitutive applicate su richiesta di parte erano emersi dubbi non dissimili, che avevano determinato l'intervento delle Sezioni Unite. La Corte di cassazione aveva optato per la qualificazione della sentenza applicativa delle suddette sanzioni nei termini di una formula di proscioglimento. Si ritenne, infatti, in quella occasione che, non sussistendo alcun accertamento formale di responsabilità penale dell'imputato, non si potesse in alcun modo parlare di condanna in senso stretto 1.

Si tratta di capire, se le conclusioni raggiunte allora per l'istituto affine possano valere anche oggi per il più recente modulo dell'applicazione di pena su richiesta di parte. In realtà, le due figure giuridiche, benché simili, non sono completamente sovrapponibili; se co-Page 75muni appaiono, infatti, le tendenziali finalità di deflazione, diverse sono le modalità attraverso cui le stesse si realizzano.

Tornando, dunque, alla citata decisione della Corte di cassazione, un indirizzo dottrinale 2 ha ritenuto di poterne estendere le conclusioni anche al c.d. istituto del patteggiamento. Il comune denominatore starebbe, da un lato, nell'assenza di una esplicita qualificazione legislativa nei termini di condanna e, dall'altro, nella mancanza, in tale forma estintiva del processo, di tutti gli effetti tipici di una condanna, appunto. A sostegno di tale impostazione dottrinaria militerebbero più elementi. Tra questi, la mancata definizione della pronuncia ex art. 444 c.p.p.: l'ambiguità terminologica sarebbe, piuttosto, una riprova di una voluntas legis precipua. Del resto, ragionamento affine varrebbe per il successivo articolo, dato che la precisazione del legislatore in ordine all'equivalenza, per così dire, tra la pronuncia ex art. 444 c.p.p. e la condanna sarebbe una conferma della non identità giuridica delle due fattispecie. Infine, l'esclusione, altresì, della efficacia della sentenza su accordo delle parti in altri giudizi, civili od amministrativi, sarebbe un elemento discriminante chiaro rispetto alle pronunce di condanna, propriamente dette, per cui tale precisazione non avrebbe senso 3.

Alla luce di queste premesse, la Suprema Corte si è pronunciata, quindi, nel senso di una reiterazione di quanto già espresso a proposito dell'art. 77 L. n. 689 del 1981, dichiarando che «la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti, ..., non è un sentenza di condanna perché, venendo a scindere il nesso «riconoscimento della responsabilità-applicazione della pena», non si accerta dal giudice l'effettiva offesa dell'interesse protetto e la colpevolezza dell'imputato, con esonero per l'accusa dell'onere della prova di responsabilità e con accettazione da parte dell'imputato stesso, per sue personali valutazioni di convenienza, della definizione anticipata del procedimento con conseguenti effetti premiali» 4. Si dà rilievo, quindi, alla funzione dell'istituto in esame che, come nel caso delle sanzioni sostitutive su richiesta, mira ad una primaria esigenza.

L'obiettivo è, si legge ancora nella sentenza citata, l'offerta di un «premio-incentivo», che renda «particolarmente attendibile l'acquiescenza alla definizione anticipata del procedimento penale».

Tornando, infine, a quel nesso tra accertamento della responsabilità ed applicazione della pena, di cui nella massima suriportata, viene ribadito, appunto, che, nel procedimento ai sensi degli artt. 444 ss. c.p.p., questo viene meno. Al giudice, in tale sede, è preclusa persino la possibilità di un accertamento iniziale; egli dovrà limitarsi, al contrario, ad una verifica, allo stato degli atti, sull'assenza di condizioni per il proscioglimento.

La chiosa della decisione fa menzione, poi, del genere delle c.d. «sentenze in ipotesi», e in particolare di quelle «in ipotesi di responsabilità», per delineare uno schema in cui eventualmente sussumere tale pronuncia sui generis. Si tratta di una figura mutuata dal processo civile, a proposito dell'efficacia vincolante per il giudice di rinvio dei principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione. Quest'ultimo riferimento, però, oltre ad apparire di indubbia estensione al caso di specie, si presenta oggi come facilmente criticabile.

Se, infatti, è vera la scelta del legislatore, nelle più recenti novelle, di rivendicare la «presunzione di innocenza» quale criterio-guida del giudizio penale, non si vede come non possa riconoscersi un contrasto con la...

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